Marco Melandri, ragazzo sensibile e intelligente
Ho conosciuto per la prima volta Marco Melandri nel 2011, ai test invernali di Portimão. Era un pilota proveniente dalla MotoGP. Erano gli anni della “guerra fredda” tra la Superbike e la GP, tra Infront e Dorna, e quindi la sua fu una decisione importante e sicuramente coraggiosa. In Portogallo non sapevo quale persona mi sarei trovato davanti, ma bastò scambiarsi qualche parola per capire che Marco è una persona gentile, educata e molto sensibile. In questi sette anni che ha trascorso nel mondiale delle derivate l’ho intervistato molte volte, ed ho sempre trovato in lui un professionista disponibile, ma anche un ragazzo molto corretto, a volte anche timido.
La notizia del suo ritiro non mi ha stupito per niente. Il Melandri di questa stagione è senza dubbio diverso da quello che ho sempre conosciuto. Ho scritto spesso che Marco si esalta nei momenti migliori e si abbatte in quelli difficili, ma non lo avevo mai visto triste e quasi rassegnato come quest’anno. Quando a Donington in Gara-1 ha allargato la sua traiettoria per fare spazio a Rea nell’ultima curva prima del traguardo, facendosi così doppiare, sono rimasto molto perplesso. Non era da lui.
Ha preso la sua decisione, così come la presero a suo tempo Biaggi, Checa e Bayliss. Tra i molti motivi per cui Marco ha deciso di smettere c’è senza dubbio quello che non riusciva più ad essere competitivo, e di conseguenza non si divertiva più. Lo stesso motivo per cui nel 2010 decise di lasciare la MotoGP, dove molto concretamente comprese che non avrebbe più avuto spazio, per approdare in Superbike, dove ritrovò subito la gioia di correre e di lottare per la vittoria. Linfa vitale per un campione come lui. Perché che Melandri sia un campione non è in discussione, ed è il motivo per cui i miei giudizi su di lui sono stati a volte negativi. Da lui mi sono sempre aspettato tanto, perché lui era in grado di dare tanto. Certo se guardiamo indietro e scorriamo la sua carriera in Superbike, non possiamo certo dire che la fortuna sia stata dalla sua parte. Nei primi quattro anni ha dovuto cambiare quattro squadre diverse. Nel 2011 ha corso con la Yamaha, che però a ha deciso di interrompere a fine anno il proprio impegno nel mondiale delle derivate. Passato in BMW, Marco ha corso nel team ufficiale un solo anno, perché in quello successivo la squadra non è stata più quella ufficiale, ma quella di BMW Italia. Squadra a mio parere non meno competitiva, ma senza dubbio diversa da quella dell’anno precedente. E nel 2014 ha corso in Aprilia, ma al termine della stagione la Casa di Noale ha deciso di mollare la SBK a favore della GP, costringendo Marco a ritornare in quel mondo che aveva abbandonato.
L’unico anno nel quale il ravennate ha potuto correre con lo stesso team e la stessa moto dell’anno precedente è stato il 2017, quando venne confermato dalla Ducati alla guida della Panigale V2. Non fu una grande stagione, ma non lo è mai stata per la Panigale, la moto meno vincente nella storia della Casa bolognese.
Un poco mi stupisce che abbia comunicato il suo ritiro quasi cinque mesi prima che avvenga realmente, ma Melandri è sempre stato molto rispettoso del lavoro della sua squadra, e quindi ha voluto che anche loro, così come la Yamaha, che gli ha teso una mano dopo che la Ducati gli aveva preferito Bautista, fossero informati di una decisione che ormai era stata presa.
Spero che ora che ha deciso del suo futuro possa essere più sereno, e forse, come lui stesso ha detto, anche più competitivo, con la gioia di godersi queste sue ultime 15 gare in Superbike. Voglio chiudere questo articolo con un pensiero che condivido, ed è quello di Alberto Vergani, che da oltre venti anni segue Melandri nel mondo delle corse, e che è quindi una delle persone che lo conosce meglio: “Marco è troppo sensibile ed intelligente, e questo lo porta a ragionare molto, facendogli a volte ingigantire le proprie sensazioni”.
Riguardo alle parole di Alberto Vergani, c'è da dire che la storia delle corse è piena di giovani magari un po' timidi e sensibili che non sono stati supportati adeguatamente, quando sarebbe stato necessario affinché credessero in se stessi. Melandri è stato un privilegiato per molti anni, ma non ha saputo sfruttare buona parte delle occasioni che ha avuto, forse anche grazie a un manager come Vergani.
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