Da Sydney a Phillip Island e ritorno. In viaggio per la SBK attraverso la meravigliosa Australia [VIDEO]
E’ stata la mia diciassettesima volta nella terra dei canguri, e per la seconda volta ho potuto visitarla (solo in parte ovviamente, vista la vastità del continente oceanico) in moto. Uso il plurale perché il mio compagno di viaggio è stato il collega Gordon Ritchie, un decano e il miglior giornalista (a mio parere) del mondiale Superbike. Gordon è scozzese ed è un motociclista vero. Qualche anno fa partì da solo con la propria moto da Edimburgo alla volta di Assen, Estoril e Portimao per seguire in autodromo i round del WorldSBK e ogni volta che voglio organizzare un viaggio trovo in lui un entusiasta alleato.
E’ la seconda volta che organizziamo un tour in Australia. Nel 2020 (proprio poco prima che scoppiasse il Covid19) girammo quasi tutto lo stato di Victoria, con partenza ed arrivo a Melbourne, attraverso splendide montagne e percorrendo l’indimenticabile Ocean Road.
Quella volta utilizzammo due moto che ci furono prestate dalla Suzuki di Melbourne, mentre questa volta è stata la Yamaha di Sydney a consegnarci due Tracer: una 7 per me ed una 9 GT per Gordon. In Australia la 7 non viene importata nella versione GT, riservata alla sola 9, ma i gentilissimi responsabili di Yamaha Sydney sono riusciti a montare due borse sulla moto a me destinata, ed il resto lo hanno fatto l’indispensabile ragno elastico ed una borsa impermeabile, fissata sulla parte posteriore della sella.
Il nostro viaggio è iniziato il 14 febbraio: prima tappa Canberra, la capitale dell’Australia. Qui abita Brian Davidson un connazionale di Gordon, appassionato motociclista con un grande garage dove oltre ad una BMW 1000 e ad alcune KTM da cross ed enduro, fa bella mostra di sé una curiosa collezione di Honda Monkey 125, parcheggiate su grandi scaffali che riempiono un’intera parete.
Per raggiungere Canberra, la Capitale, abbiamo optato, per la prima ed ultima volta, per una superstrada. Per tutto il resto del nostro viaggio, come potete vedere dal video, abbiamo “scientificamente” scelto strade di collina o di montagna, sia per divertirci nel percorrere le curve, che per evitare il traffico. Obiettivi pienamente raggiunti. Per il divertimento vi dovete fidare, mentre per il traffico controllate nel video quante macchine o camion abbiamo incrociato.
Siamo partiti da Canberra il 15 mattina e siamo risaliti su colline che sono poi diventate montagne. Da queste parti a febbraio sta finendo l’estate e quindi niente neve ed impianti sciistici e di risalita ovviamente chiusi, ma proprio per questo le strade per raggiungerli sono prive di traffico, un vero Paradiso: tante curve e un asfalto quasi perfetto. L’ideale per mettere alla prova la Tracer7 sul misto e sui tornanti.
Abbiamo pernottato a Jindabyne e la mattina dopo abbiamo ripreso la strada per Melbourne. Ancora tornanti e curve, fino a quando la strada ha iniziato a scendere e siamo arrivati a Sale, tipica cittadina australiana molto tranquilla, con tutte le casette basse e la chiesa al centro del paese.
Gli australiani sono molto gentili e cordiali. Capitava spesso che dopo aver parcheggiato le nostre moto qualcuno si avvicinasse per sapere chi eravamo e dove stessimo andando, dispensando consigli sempre ben accetti sulle strade da percorrere e a volte sulla presenza o meno della Polizia stradale locale che in realtà non ci ha mai fermato.
Tante le moto che abbiamo incrociato e in prossimità di Melbourne abbiamo trovato due nutriti gruppi di motociclisti con i quali abbiamo percorso una cinquantina di km, prima che le nostre strade si dividessero. Il 17 pomeriggio siamo arrivati a Cowes, che può essere considerato il capoluogo di Phillip Island. Il tempo di trovare la casa che avevamo affittato e siamo subito andati in giro per l’isola. Conosco molto bene Phillip Island ma ne sono sempre affascinato, per il clima di serenità che si respira, per le bellissime spiagge, ma soprattutto per il fantastico autodromo che è unico al mondo, con il mare azzurro che fa da sfondo alla pista.
Trascorso il weekend di gare ci siamo regalati una giornata che avrebbe dovuto essere di riposo, ma che in realtà è servita per portare a termine alcuni articoli e scrivere delle interviste realizzate durante il primo round del WorldSBK 2024.
Il viaggio di ritorno
Martedì 26 abbiamo rifatto i bagagli ed abbiamo lasciato l’Isola di Filippo: prima tappa Mansfield. Girando alla larga dalla caotica Melbourne abbiamo percorso le “solite” stradine di montagna, alcune delle quali rappresentano gli abituali ritrovi dei motociclisti locali.
Il giorno seguente, da Mansfield siamo arrivati a Corryong, attraversando paesaggi bellissimi e colline che degradavano in valli delle quali non si vedevano i confini. Di questa giornata, oltre alla bellezza della natura, ricordo il gran numero di canguri trovati purtroppo morti sulle strade. Alcuni erano molto grandi, e bisognava fare attenzione a non metterci le ruote sopra per evitare di cadere. Numerosi i cartelli stradali che invitano non solo alla prudenza, ma anche a fare attenzione agli animali selvaggi, che oltre ai canguri possono essere koala o wombat.
Il 29 febbraio abbiamo raggiunto Canberra, attraversando i boschi che furono devastati dagli incendi del giugno 2019. Decime di chilometri su strade circondate dagli scheletri di alberi bruciati. Per fortuna la natura sta tornando ad avere la meglio, con tanti alberi giovani e tanto verde, ma in alcuni punti il paesaggio è davvero triste. Siamo ripartiti da Canberra il primo marzo per riportare le nostre Tracer alla Yamaha ed il giorno dopo siamo saliti sull’aereo che ci ha riportati in Europa.
L’abbigliamento
Caberg Horus X Flip Up
La caratteristica maggiormente positiva del casco Horus X di Caberg è senza dubbio la comodità. Dopo averlo utilizzato per oltre 2 settimane ed aver percorso quasi 3.000 km. penso che se dovessi fare il giro del mondo utilizzerei questo prodotto di Caberg.
I modelli apribili sono indubbiamente pratici, ma possono avere dei difetti che riguardano la calzata e soprattutto il bilanciamento. Se un flip up è comodo e ben bilanciato si rischia di tenerlo in testa per tutta la giornata. Per fare benzina o per chiedere un’indicazione non bisogna toglierselo, basta sollevare la mentoniera. Allo stesso tempo però un casco scomodo è da evitare come un paio di scarpe strette e non vediamo l’ora di scalzarlo.
Ho tenuto in tesata il mio Horus X per giornate intere, senza avvertire mai il minimo disagio, nessun contatto doloroso con la testa o con le orecchie, che godono dello spazio necessario per un’ottima acustica. La taglia era perfetta e si è sempre rivelato facile da indossare e da togliere, manovre che consiglio di fare a mentoniera sollevata. Facile agire sul pulsante di sganciamento della mentoniera e per quanto riguarda la chiusura ho sempre spinto verso il basso con decisione, non tanto perché non mi fidassi del meccanismo che ne regola il movimento, ma perché ritengo indispensabile utilizzare il mio casco come integrale e quindi è sempre meglio chiudere con decisione la mentoniera, affinché resti solidale con la calotta. La visiera è molto ampia e questo è un fattore molto importante anche ai fini della sicurezza. Ho montato il pin lock anti appannamento all’interno della visiera, che non si è mai appannata, anche perchè le temperature non sono mai state basse.
La chiusura del cinturino è facile da utilizzare e non dà fastidio alla gola dell’utilizzatore. Ho guidato sotto la pioggia per una mezz’ora circa e l’acqua non è filtrata attraverso le guarnizioni. Volendo fare i pignoli l’unico punto migliorabile di questo Horus X è l’impianto di ventilazione. Quando la presa d’aria superiore è aperta l’aria entra nella calotta, ma mi sarei aspettato in quantità maggiore. Il mio Horus è il modello M6 bianco-rosso-blu-azzurro. Per conoscere le caratteristiche tecniche di questo casco visitate il sito Caberg all’indirizzo: https://www.caberg.it/caschi/apribili/horus-x
Alpinestars Andes V3 Drystar Jacket
Una giacca eccezionale, che va bene in tutte le stagioni. Nel nostro viaggio non abbiamo mai trovato temperature troppo basse, ma la mattina sulle montagne l’aria era decisamente fresca, mentre poi in pianura e vicino al mare abbiamo dovuto sopportare anche 37-38 gradi. In entrambi i casi la nostra giacca V3 è stata perfetta. Bastava aprire o chiudere le zip delle prese d’aria. Chiuse quando era fresco ed aperte quando faceva caldo. In questo caso anche alle basse velocità il flusso d’aria era ben avvertibile grazie al sistema DVS, munito di prese d’aria anteriori e di altre di sfogo sulla parte posteriore della giacca. Ottima l’impermeabilità anche se per fortuna non l’ho messa alla prova per molto tempo.
La giacca è realizzata in politessuto rinforzato ed è dotata della membrana Drystar che fa passare l’aria, ma non l’acqua. Le imbottiture removibili sulle spalle e sui gomiti ci sono, ma non danno fastidio nell’utilizzo di questa Andes V3, che è stata progetta e realizzata per resistere alle abrasioni. Tante e comode le tasche, sia sul petto (compresa quella per i documenti) che più in basso, tutte impermeabili, facili da aprire e da chiudere anche con i guanti. Non sapendo di preciso quale clima avrei trovato durante il viaggio, mi sono portato dietro la giacchetta interna imbottita, ma è rimasta in valigia. Comoda e pratica la regolazione in vita a velcri, così come il cordoncino regolabile presente nella parte inferiore, insieme rendono la vestibilità quasi perfetta. E’ inoltre predisposta per alloggiare l’Air Bag Tech-Air® 5.
Sul sito www.alpinestars.com (dove potete trovare la scheda tecnica di questa giacca) ho letto che questi sono gli standard del prodotto: Indumenti completi per la guida in moto secondo il progetto di norma CE II categoria prEN17092 Classe A. Proteggi schiena Nucleon Alpinestars con certificazione CE di livello 2 EN1621-2:2014 disponibile come optional. Proteggi spalle e gomiti Nucleon Flex Plus Alpinestars con certificazione CE di livello 1 EN1621-1:2012. Al di là dei numeri e degli standard, la Andes V3 mi è piaciuta molto, da un gradevole senso di sicurezza, calza come un guanto ma non stringe, resiste alla pioggia, al caldo ed al freddo. La compagnia ideale per chi la moto la usa davvero.
Alpinestars Andes V3 Drystar Pants
Lo stesso discorso vale per i pantaloni a loro volta progettati utilizzando la costruzione Drystar® Alpinestars. Sarebbe inutile ripetere tutto quello che ho scritto per la giacca, ma devo rimarcare come questi pants siano dotati di protezioni aggiuntive in punti strategici, come ad esempio i fianchi e le ginocchia, ed abbiano anche una fodera termica rimovibile, che consente di adattare i pantaloni a tutte le condizioni meteorologiche. Hanno anche (ma io non le ho utilizzate) le bretelle removibili e regolabili, che in effetti assicurano che i pantaloni rimangano in posizione. Anche in questo caso trovate tutto sul sito www.alpinestars.com dove ho letto che questi sono gli standard che si applicano a questo prodotto: II categoria CE ai sensi del regolamento PPE prEN17092 – Classe A - Compatibili con proteggi ginocchia Nucleon Flex Plus e proteggi fianchi Bio-Flex Alpinestars con certificazione CE di livello 1 EN1621-1:2012 (proteggi fianchi Bio-Flex disponibili come optional).
Alpinestars Bogotà Drystar XF Gloves
Come ho scritto sopra non sapevo di preciso quale clima avrei trovato in Australia, soprattutto sapendo che saremmo andati anche in montagna e quindi nel dubbio ho optato per guanti impermeabili e lunghi: i Bogota DrystarXF mi sono piaciuti anche se a mio parere sono più godibili con temperature meno calde di quelle australiane. Sono ottimi secondo tutti i punti di vista ed offrono sensibilità, sono molto protettivi e comodi.
Sono dotati della membrana Alpinestars DrystarXF® che garantisce una grande traspirabilità e allo stesso tempo una perfetta impermeabilità del guanto. Dispongono inoltre dell’isolamento PrimaLoft® Silver da 80 g per la ritenzione del calore quando fa freddo. Le nocche sono sovrainiettate per proteggere dagli urti. Da rimarcare anche l’inserto elasticizzato sul palmo e la chiusura del polso senza cuciture per un grande comfort. Il ponte per le dita Alpinestars limita il rotolamento delle dita stesse ed impedisce la separazione in caso di incidente. E’ prodotto di Livello 1 KP.
Con il senno di poi avrei dovuto scegliere un paio di guanti più estivi, ma questo nulla toglie alla qualità ed al comfort che offrono questi Bogotà, comodi, sicuri, impermeabili e dotati di ottime chiusure e solide protezioni. Le utilizzerò molto di più in Europa.
Alpinestars SP-2 Scarpe Moto
Devo dire la verità: ho scelto queste scarpe tecniche perché sono molto belle e avendo la certezza che nel catalogo Alpinestars qualsiasi prodotto è ottimo ho scelto quelle che mi avevano colpito per il loro design. Che fossero molto belle lo sapevo, ma che fossero anche comode e protettive l’ho scoperto utilizzandole. Le calzavo la mattina e le toglievo la sera. Problemi? Dolorini vari? Meno di zero. Inizialmente ho fatto un poco di fatica a calzarle, la sinistra più che la destra (non so perché), ma poi con un poco di pratica le indossavo in pochi secondi. Io ho il collo del piede molto pronunciato e questo mi crea dei problemi anche con le scarpe “normali”. Non con queste SP-2 che calzano a pennello. Un altro mio problema (ma che piedi hai?) è che il mio piede suda, ma l’aerazione offerta da queste scarpe tecniche è davvero perfetta (Calzino OrthoLite®) e non ho avvertito nemmeno questo problema. Il sistema di chiusura con rotella micrometrica, che tira o rilascia un filo molto resistente, consente di adattare perfettamente la scarpa al piede. Ottima anche la suola suola sportiva, con una struttura interna molto flessibile Queste (e sono tante) le protezioni: dischi cavigliere a doppia densità con supporto in schiuma, montati sotto le protezioni esterne laterali in TPU, rinforzo esterno della punta in TPU (che offre anche una maggiore stabilità), tallone in TPU che protegge da urti e abrasioni, cursore esterno in TPU a doppia densità e rinforzo interno della punta stratificato sotto la microfibra, per una maggiore durata. Il mio piede non è mai stato avvolto da tanta tecnologia.
Veramente un gran prodotto.