Daijiro Kato, un ritratto a dieci anni dalla scomparsa
Daijiro Kato era nato a Saitama il 4 Luglio 1976. Introdotto alle due ruote con le minimoto, il piccolo Daijiro debuttò con le ruote alte nel 1992 e cinque anni dopo vinse il suo primo titolo All-Japan. Nel frattempo, come era pratica comune, si era fatto esperienza nel Mondiale correndo come Wild Card a Suzuka nel 1996 (terzo) dove tornò l'anno successivo vincendo la gara. Arrivò in pianta stabile al Mondiale nel 2000, vincendo quattro gare e finendo terzo dietro alle due imprendibili Yamaha del team di Hervé Poncharal. Nel 2001 vinse il titolo iridato facendo una strage: 11 vittorie, altri due podi e solo tre prestazioni dimenticabili, due su quel bagnato che era sempre stato il suo punto debole (al Mugello e ad Assen) e un ritiro a Motegi.
L'anno dopo si meritò una 500, con cui fece un gran campionato nell'anno di debutto. Soprattutto perché nel frattempo era arrivata la MotoGP: c'erano due Honda e due Yamaha a quattro tempi in pista, e con una 500 si faceva poco. Non che la cosa l'abbia scoraggiato: Kato salì sul podio in Sud Africa e poi fece secondo a Brno. Sul finale di stagione, quando la Honda diede anche a lui una RC211V (Barros ce l'aveva già...) non fece fatica a tenere il passo dei migliori. Nel 2003 gli venne affidata una moto ufficiale, gestita dal Team Gresini dove avrebbe corso anche Sete Gibernau in sella ad una 211 privata.
Alla fine del terzo giro del primo GP dell'anno, nella "sua" Suzuka, la RC211V di Kato derapò bruscamente all'uscita della curva 130R. Il posteriore riprese aderenza e invece di sbalzarlo in high-side fece scartare la moto a sinistra a velocità spaventosa, in pieno rettilineo, mandandolo ad impattare contro il muretto in una zona non coperta dalle protezioni air-fence. Il 6 aprile 2003 Daijiro entrò in coma e dopo quattordici giorni, il 20 aprile, morì senza aver mai ripreso conoscenza lasciando la moglie e due figli.
Non bastano però i dati anagrafici o le statistiche per capire quanto fosse grande l'affetto che tutto il Motomondiale provava per quel giapponese timido ma diabolico tutte le volte che si metteva alla guida di un mezzo a motore. Nella "sua" Porto Verde, paesino della costa fra Riccione e Cattolica, alla guida della sua Mercedes SLK aveva collezionato una caterva di multe, e la storpiatura del suo nome ad opera dei meccanici del suo team era passata nel giro di qualche gara da "Dai, Sciroccato!" a "Dagli un giro, Kato!" vista la superiorità che aveva saputo dimostrare tutte le volte che era sceso in pista.
Chi scrive ricorda bene una delle prime apparizioni pubbliche di Daijiro in Italia: era il 2000, il Team Gresini aveva scelto l'autodromo Santamonica di Misano Adriatico per la presentazione della squadra. Il giapponese, già ben noto a tutti per le sue prestazioni da Wild Card, era timido e impacciato. Al suo fianco Vincent Philippe, destinato alla carriera da carneade del motociclismo, al contrario era spigliato e a suo agio. Le risposte di Kato erano poco più che monosillabi, rigorosamente in giapponese, e il suo sguardo era quello di chi ancora non capiva bene cosa ci stesse a fare in una sala stampa. Gli ci volle un po' di tempo per sciogliersi e prendere confidenza con il mondo del paddock - non diventò mai un estroverso come l'amico Noboru Ueda, ma già dopo una stagione era difficile non vederlo sorridente.
Ennesimo "pilota d'allevamento" Honda, era considerato dai vertici di Tokyo il futuro del loro sport: l'HRC ne seguì attentamente la carriera, attenta a dargli il materiale migliore senza mai metterlo troppo sotto pressione. Nessuno, né a Tokyo né in qualunque paddock del motomondiale, aveva il minimo dubbio sul fatto che sarebbe diventato un vincente anche nella massima categoria, tutt'al più si speculava sul quando. La dinamica dell'incidente fu a dir poco inspiegabile e diede adito a tutta una serie di ipotesi che spaziavano dall'errore umano fino ad un malfunzionamento del ride-by-wire che si vociferava Honda stesse sperimentando sulla MotoGP.
Il successivo comunicato Honda che avrebbe dovuto fare chiarezza a valle dell'analisi dei dati telemetrici in realtà non chiarì nulla; alla fine, l'unica conclusione possibile fu che la responsabilità della morte di Kato andava attribuita ad un maledetto muretto che in quel punto, troppo vicino alla pista, non avrebbe dovuto esserci. Il tracciato di Suzuka restò chiuso per mesi, venne modificato nel suo layout in quel punto ma non ospitò mai più una gara motociclistica internazionale.
Il ricordo di Kato continua a vivere nel viale che il Comune di Misano Adriatico gli ha intitolato, che non a caso porta da Via del Carro al nuovo ingresso dell'Autodromo, nella bellissima manifestazione "DediKato" a cui i piloti tutti gli anni partecipano alla vigilia del Gran Premio di San Marino e della riviera romagnola, ma soprattutto in quel numero 74 (la data di nascita di Daijiro scritta all'anglosassone, 7-4) che continua a campeggiare su tante tute, cupolini e vetrate di locali in cui si coltiva la passione per le due ruote.
Il ricordo di Fausto Gresini
AUSTIN – L’ha accolto come un figlio nella sua squadra, lo ha coccolato, con lui ha vinto un titolo mondiale in 250 e con lui sognava di conquistare anche quello della MotoGP. Poi, però, 10 anni fa, qualche giorno dopo un terribile incidente a Suzuka, Daijiro Kato se ne è andato, lasciando in Fausto Gresini un vuoto difficile da colmare: ecco il ricordo del manager italiano.
«E’ sempre un momento triste ricordare che 10 anni fa è scomparso un amico, un pilota, una persona molto cara. Però vogliamo ricordarlo com’era, come ci ha fatto divertire, il suo modo di essere: ho dei bellissimi ricordi di Daijiro. E, soprattutto, non voglio che venga dimenticato».
Raccontacelo un po’ come persona.
«Era un ragazzo molto simpatico, introverso, a volte difficile da prendere. Quando non aveva voglia di fare qualcosa, diceva che non sapeva la lingua, che parlava solo giapponese… In realtà era solo un modo per nascondere la sua timidezza, il suo modo di essere, anche se poi era in realtà spigliato, gli piaceva divertirsi. Era un po’ bizzarro: ogni tanto gli “tiravano” le orecchie anche i suoi capi della Honda, per esempio per il suo modo di colorarsi i capelli o per altre stravaganze. Mi ricordo il primo giorno che arrivò in Italia: ebbe subito un incidente in macchina, in mezzo alla nebbia. Non era ancora arrivato a Misano e aveva già picchiato con l’auto, all’una di notte: ho pensato ‘cominciamo bene’. Un’altra volta mi ricordo che aveva sbagliato le dosi del detersivo dentro alla lavatrice: ci chiamò disperato, perché la camera si era riempita di schiuma. Gli piaceva divertirsi, ma era anche un vero professionista, molto preparato, con un gran fisico, sapeva bene quello che voleva. Aveva questa gran dote che riusciva a dormire anche nei momenti di maggiore stress per un pilota. Sono stati anni molto belli, credo abbia dato un grande contributo al motociclismo».
Domani, il 74 di Kato verrà posto sulle moto del team Gresini e della HRC.
Intervista di: G. Zamagni
Fede
Ci mancherebbe che non avesse un buon fisico si aper l'età che per l'allenamento, ci mancherebbe. Ma non aveva il fisico per quella classe.
Quindi credi che Pedrosa non ha il fisico, non sia un atleta e non si alleni?.
O è un modo come al solito per contrastare alla ..azzo quello che scrivo?
Vatti a vedere il palmares di KATO, non era un pilota che veniva e vinceva, ma saliva piano piano. Un bravissimo pilota, ma non il fenomeno che annunciavano e di cui parlano ancora. Nella classe regina doveva e aveva iniziato a fare i conti con ben altre paste.
piega