MotoGP. Dall'Igna (Ducati): "Abbiamo cambiato il metodo di lavoro"
MOTEGI – Gigi Dall’Igna, quanto è importante questa pole position?
«Molto, sia psicologicamente sia materialmente, anche perché era un po’ che la Ducati non la conquistava (da Valencia 2010, Casey Stoner, NDA)».
All’inizio dell’anno, credevi di arrivare a un risultato simile?
«Sinceramente no. Ma dopo aver visto quanto accaduto a Misano, prima di partire per Motegi speravo in un buon risultato, perché questa è una pista dove Dovizioso è sempre andato forte ed è adatta alla Ducati, perché ci sono tante staccate, che è uno dei nostri punti migliori. Sì dai, sognavo qualcosa di simile, anche perché se non sogni è meglio cambiare mestiere».
Ma come avete fatto a recuperare in così poco tempo uno svantaggio notevole rispetto a Honda e Yamaha?
«Io non so cosa si faceva prima del mio arrivo, ma già dal primo test ho cercato di creare un legame diretto tra il reparto corse e il box, con uno scambio continuo di informazioni. Questo è un aspetto che molti sottovalutano: a casa bisogna lavorare conoscendo perfettamente i problemi della pista, nel box bisogna avere informazioni dettagliate su quello che è stato fatto nel reparto corse, devi sapere perché sono state fatte determinate scelte».
I piloti, però, dicono che la GP14, adesso GP14.2, non è poi così diversa rispetto all’inizio dell’anno, ma il distacco è più che dimezzato…
«La realtà è che abbiamo evoluto tanti piccoli aspetti della moto: quando i piloti dicono che è sempre la stessa Desmosedici è perché i problemi principali sono rimasti, la moto tende sempre ad allargare la traiettoria in uscita di curva. Ma lo fa meno di prima, nel complesso accelera meglio, stacca meglio, si impenna di meno grazie a tanti piccoli aggiustamenti di messa a punto nel telaio, nel motore, che adesso è più potente, ma anche più guidabile. Tutto questo insieme, ha portato a un buon miglioramento, anche se è vero che la moto, di base, è sempre la stessa».
Ma prima cosa veniva sbagliato?
«Non lo so, non c’ero… Credo, però, che si cercasse la modifica che migliorasse immediatamente la moto di un secondo. Non funziona così, nelle corse è come nella vita, ti devi guadagnare le cose passo dopo passo: noi abbiamo migliorato un paio di centesimi in un punto, un decimo in accelerazione, un altro in frenata, altri centesimi da altre parti. Tutto insieme porta a questo risultato».
Una provocazione: non è un azzardo cambiare moto per il 2015, adesso che sono stati raggiunti certi risultati?
«No, perché si partirà comunque da questa base, l’assetto del primo test sarà simile a questo e poi si farà un percorso logico».
La moto nuova, però, debutterà solo a febbraio nei test in Malesia: non è troppo tardi?
«Sicuramente sarebbe stato meglio arrivare a Valencia, ma voglio essere sicuro, non voglio fare un lavoro per niente. E la 14.2 serve anche per questo: raccogliere più informazioni possibili per cercare di non commettere errori per l’anno prossimo. E sia chiaro: il 2015 non sarà l’anno della vittoria, ci saranno ancora tanti alti e bassi».
Ti aspettavi questi risultati a inizio stagione?
«Già da metà campionato avevo dichiarato che il nostro obiettivo era chiudere le gare con un distacco inferiore ai 10 secondi. Un obiettivo ragionevole che, credo, abbia avuto anche una spinta psicologica sui piloti, perché era raggiungibile. Adesso la nostra moto ha un assetto più “normale” e vicina alle altre».
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Lelehellas