Nico Cereghini: “Marquez, Spencer, la Honda e noi”
Ciao a tutti! La Honda che smette improvvisamente di vincere nella top class mi porta alle mente quanto accadde esattamente trent’anni fa, nella stagione in cui Freddie Spencer conquistò l’ultima doppietta dei tempi moderni. Maggio 1985: domenica 19, ad Hockenheim, Freddie prese paga due volte, in 250 da Wimmer e in 500 da Christian Sarron. Pioveva, quella domenica, era una delle mie prime trasferte per Mediaset e ricordo bene che faceva freddo; contro due veri specialisti come il tedesco e il francese non valeva la pena di prendere troppi rischi. Poi al Mugello, domenica 26, il pilota della Louisiana avrebbe rimesso le cose a posto battendo rispettivamente Lavado e Lawson. Con sette vittorie nella quarto di litro, ed altrettante nella 500, quell’anno Spencer fu una specie di eroe, pilota straordinario e innovatore ma uomo schivo, tormentato e misterioso: l’anno dopo, 1986, crollò al Jarama e basta, non avrebbe più vinto una gara in vita sua, non sarebbe mai più salito sul podio.
E’ incredibile come sia sottile l’equilibrio tra l’impresa e il fallimento. Da fenomeno a delusione in un lampo, e non soltanto nella considerazione del pubblico –che non ha memoria e poi non vede l’ora di abbattere i suoi miti per sentirsi bene- ma proprio nelle cose che più ami e meglio sai fare. Spencer da mito a brocco, Marquez da schiacciasassi che vinceva dieci gara di fila nel 2014 a funambolo in crisi di identità con una supermoto che non sa stare ferma. In comune c’è la Honda, con la sua enorme ambizione. E c’è il mestiere del motociclista, che non è mai facile.
Per quanto riguarda la Honda il discorso sarebbe lungo. La tesi è che laggiù si metta la tecnica davanti all’uomo in misura eccessiva, chiedendo troppo al pilota, ma ragionare in questa direzione ci porterebbe lontano e preferisco fermarmi al motociclista, argomento che ci interessa più da vicino. Quando tra te e il risultato c’è uno strumento, come capita nel motociclismo e in altri sport, sei tenuto a sviluppare due aspetti: una conoscenza approfondita del tuo mezzo e poi una speciale sensibilità, perché devi capire le cose anche “oltre” il tuo mezzo. Per esempio devi sentire il grip dell’asfalto oltre le gomme e le sospensioni, captando i minimi segnali che la moto ti passa. Luca Cadalora, per dire, vuole la sella dura sulla supersportiva anche in strada, altrimenti l’imbottitura fa da filtro e non si capisce più niente.
Noi lo sappiamo: ogni giorno è diverso dall’altro. Ci sono domeniche in cui senti la moto come fosse una propaggine del tuo corpo. E guidi bene, ed è una sensazione magnifica, ti pare di avere terminali dappertutto, sulle gomme e sugli ingranaggi del cambio, e una centralina efficiente che fa la sintesi senza sforzo. E giorni in cui ti senti inadeguato e quasi nulla funziona e la moto fa fatica quanto te. Figuratevi quanto è difficile andar forte sempre in pista, con una moto da 250 cavalli, il gomito a terra nelle pieghe, la lotta sul filo dei centesimi di secondo.
Ho visto e seguito Carl Fogarty, poi ho visto le staccate che gli tirava Giancarlo ( quelle che, poiché uniche, chiamo Falappate) , allora forse non ero in grado di capire, oggi mi rimane una domanda senza risposta: " ma come cacchio faceva?" .
Mi permetto di consigliare, a chi non li ricordasse, di andare a cercarsi qualche filmato delle sue gare, è una cosa che rimette in pace con il ns sport.
Ho anche letto da poco cosa e' successo con Di Pillo in occasione di un incidente, roba da brividi. Grande Giancarlo.
ottimo articolo, sei un motociclista dentro!