Nico Cereghini: “Mi avete rotto con il pilota-eroe”
Ciao a tutti! Non riesco a tacere quando si parla di sicurezza, così mi tocca tornare sulle vicende di domenica a Barcellona anche se, mi rendo conto, perfino voi sarete stanchi di sentirne parlare.
A Fabio Quartararo c’è poco da dire: se è stato maldestro, l’ha pagata cara e una gara che ancora poteva provare a vincere è sfumata in un sesto posto. Alla direzione gara (nelle sue varie forme) si potrebbe invece dire qualcosa in più. Come sottolineano diversi lettori, il pilota andava fermato subito, appena c’era la percezione della tuta aperta: c’è una regola precisa che stabilisce l’obbligo delle varie protezioni e Fabio per un motivo o per l’altro l’ha violata. Punto.
Zam fa bene a dire che c’è la regola però manca la sanzione, ma personalmente trovo addirittura opportuno che i giudici abbiano un certo margine di discrezionalità, e poi in un caso del genere la sanzione sarebbe automaticamente stabilita dalla necessità: ride through e poi via con la cerniera a posto. Anche se a Quartararo sarebbe costato ben più dei tre secondi, tante discussioni non ci sarebbero state.
Ecco, le discussioni. Questo è il punto che mi preme. Io trovo che tutte le posizioni siano legittime, non pretendo di avere la verità in tasca, su tutto sono pronto a discutere. Quello che mi dà veramente noia è la leggerezza con la quale alcuni portano avanti lo stereotipo del pilota duro, forte, temerario, sprezzante del pericolo come “deve” essere un vero eroe. Sono quelli che seguitano a dipingere le corse di moto e di auto come una corrida, il rischio come l’ingrediente principale, ineluttabile e necessario. Io dico: la pensate così? Bene, liberissimi anche di dirlo. Ma non fate finta di ignorare che questa tesi ha delle pesanti conseguenze.
Sapete quante volte, nelle prime battaglie per la sicurezza dei piloti, ho dovuto discutere con gestori di piste che, pur di non spendere pochi milioni per lo sbancamento di una curva, mi dicevano: “ma che cavolo vuoi? Ma se le moto corrono al Tourist Trophy!”. O quanti “federali” erano prontissimi a chiudere un occhio allargando le braccia e suggerendo: “Se non volete rischiare andate a giocare al biliardo!”.
Certo, nella leggenda delle corse motoristiche resta Omobomo Tenni che viene issato sulla sua Guzzi tutto ingessato, resta Tazio Nuvolari che perde il volante dell’auto e finisce la corsa guidando con una chiave inglese infilata nel piantone di sterzo. Ma ammesso che ci sia anche del vero (poco) in queste storie, non credete che i tempi siano diversi? Quanti piloti morivano come mosche su tutte le piste? E quanti spettatori travolti alla Mille Miglia, a Monza o a Le Mans?
Oh, certo. E’ molto più spumeggiante, è molto più divertente, chi inneggia all’eroismo del pilota e a tutto quel repertorio retorico che a molta gente piace. Che spasso! Invece siamo molto più pedanti e noiosi noi che ci chiediamo come si possa migliorare ancora il livello della sicurezza! Adesso che ci penso: che stupido che è stato quel Lino Dainese che ha buttato la sua vita a inventare il paraschiena e l’airbag: non si sarebbe divertito di più, che so, a uscire con gli amici e raccontare le storie impressionanti delle imprese di Saarinen, Pasolini e tanti altri piloti?
Mi sono venute in soccorso alcune pagine scritte da Walter Bonatti, dove dice che, una volta congedato dal servizio militare "a esclusione della domenica, che regolarmente trascorrevo in montagna sia col bello che il brutto tempo, tutti gli altri giorni furono per me ugualmente insignificanti, fatti delle stesse cose ripetute nel medesimo modo, e nell'immutabile ambiente. Quanto banale e triste è vivere così".
Ecco, ho capito che chi decide di dedicarsi ad attività pericolose, lo fa ascoltando un impulso primordiale che chiama dentro di se. Chi osserva, al sicuro (ne siamo convinti?) delle proprie quattro mura, fisiche e mentali, a volte ne rimane affascinato e li chiama eroi.
Vorrei mettere da parte l'ipocrisia, e dico che, nelle gare di velocità, la sicurezza non è una priorità. Non lo è per chi le organizza, non lo è per chi costruisce bolidi sempre più performanti, no lo è per chi guarda e non lo è per chi quei bolidi li guida.
Due anni fa nei miei pellegrinaggi malati mi sono recato Warwicksire a portare una rosa presa dal mio giardino sulla isola Croata a Mike.
Anno scorso ho portato la rosa al posto dove ho perduto la mia anima e amici durante la guerra civile in Yugoslavia.
Nei due posti,mentre stavo riflettendo, due persone (uno con la Guzzi leman 850 e uno che ha perso frstello, hanno detto stese parole che mi hanno colpito:"non ci sono ne vincitori ne vinti,campioni o perdenti, ci sono solo sopravissuti"!
Confesso, sono vecchio e stanco,ho visto troppo dolore sulle strade e circuiti,sabato durante la diretta,ho pianto e non mi vergogno.