Quarant'anni fa il titolo di Marco Lucchinelli: “Ho smesso troppo presto”
Nell’agosto di quarant’anni fa Marco Lucchinelli conquistava il suo titolo mondiale della 500. Era il 1981, Ago aveva conquistato il suo ultimo mondiale sei anni prima, Marco correva con la Suzuki RG ufficiale affidata al team Nava Olio Fiat di Roberto Gallina. La punta italiana veniva da una tripletta di vittorie consecutive: Assen, Spa-Francorchamps e il San Marino di Imola; aveva già vinto anche in Francia, al Castellet, invece Randy Mamola aveva solo due centri, ma con l’altra Suzuki ufficiale del team Heron era stato molto costante e in classifica restava vicino.
Il mese cominciò molto male: domenica 2 a Silverstone Marco cadde al primo giro per evitare dei piloti a terra e Mamola fu terzo, dietro a Middelburg e Roberts. Randy ridusse il gap a soli sei punti. Sette giorni dopo, a Imatra in Finlandia, Lucchinelli si prese la pole e la gara con il giro più veloce, ma l’americano fu secondo (a 19 secondi) e il suo svantaggio salì a meno 9. Allora la vittoria valeva 15 punti, il secondo posto 12 e il terzo 10. Il titolo restava in bilico per l’ultima gara ad Anderstorp, il GP di Svezia del 16 agosto.
E in Svezia, con il bagnato, Marco partì molto male, scivolando sulla riga bianca del via. Tuttavia in qualche modo si riprese, Randy era partito meglio ma andò in crisi quando scoprì che l’italiano recuperava terreno. E il muretto italiano disperava, alla fine Marco si piazzò soltanto nono dietro Uncini e Graziano Rossi, ma fu sufficiente: Mamola non prese punti, Lucchinelli era campione del mondo.
Ciao Marco, dove sei?
In Veneto, dal bimbo… .
Quarant’anni fa il tuo titolo mondiale: ti chiamo per celebrare l’anniversario, almeno a parole.
E’ un ricordo lontanissimo, certo abbiamo fatto una cosa grande ma siamo diventati vecchi. Ho visto di recente alcune mie gare, quelle successive con la Honda, e non andavo piano. Vero, magari in qualche gara… come in Inghilterra credo nell’83, ero fermo…Ma guidavo, il problema era Spencer che arrivava davanti, ma io non andavo piano. Mi sono riguardato dei GP che non avevo mai visto prima.
Torniamo all’81 del titolo.
L’81 ma anche l’80, che andavo anche più forte. L’81 è stata una stagione dove tutto ha girato per il verso giusto, ci vuole anche quello, a parte l’Inghilterra dove sono caduto senza colpe e Monza che un pezzo di gomma mi è finito nel carburatore… Lo sai? Con la Suzuki ero anche più bello che sulla Honda. Plastico, bello da vedere, lineare, facevo delle belle traiettorie. Mi divertivo, ecco, mi divertivo.
Tante le disavventure dell’80: il motore che ti fermò quando eri in testa a Misano e in Finlandia, la gomma in Inghilterra e gli occhiali ad Assen. Fosse girato tutto per il verso giusto, i titoli sarebbero due o forse addirittura tre… Ma rimpianti ne hai? Passare alla Honda no, quella fu una mossa giusta: non avevamo dubbi che quel tre cilindri valesse il quattro degli altri…
Fu un passo grande, effettivamente, e se restavo in Suzuki, forse… Ma è sempre un forse: perché magari cadevo la prima gara e non vincevo il titolo. Ma quando ti chiama la Honda… ai tempi specialmente, con Spencer, pilota ufficiale… La differenza è grande, fai fatica a dirgli di no. E non avevo sbagliato: se non facevo a Salisburgo quella cagata dell’ultimo giro… Sono caduto perché c’era Uncini davanti, Uncini con la mia moto e mi si è chiusa la vena. Se c’era un altro forse me ne sbattevo il cazzo, ma c’era lui con la mia moto… E la caduta mi ha cambiato poi il resto della mia carriera. Ma se andava bene a Salisburgo li mettevo tutti in silenzio, tutti, i tecnici che dicevano che non mi sarei nemmeno qualificato, Ago che diceva che ero andato lì per i soldi….
Tornando a quarant’anni fa. In Finlandia il 9 agosto pole, vittoria e giro veloce. Eri a più nove. Poi la Svezia con quella sofferenza, la gara interminabile…
E’ stata come una roulette, potevo buttar via anche quel mondiale lì, era un attimo… E’ che alla partenza sono scivolato sulla linea bianca del traguardo, sono partito dietro, credo quattordicesimo o una roba così. Quando mi segnalavano Mamola secondo, poi terzo… lui era il campione in quel momento, io stavo perdendo il mondiale, io che normalmente sul bagnato andavo fortissimo… Lì mi è venuto il braccino… Ma lo presi e lo passai, Mamola andò in crisi, e devo dire che quella gara un po’ fortunata compensa la disavventura dell’Inghilterra, quando sono caduto per evitare chi era caduto davanti a me e non ho preso punti.
Con Gallina eri andato forte già nel ’76. Ma poi cambiasti strada, forse era difficile credere che la squadra giusta per te fosse proprio quella, che stava lì, a poche centinaia di metri da casa…
Erano tempi diversi, per esempio se Virginio Ferrari avesse azzeccato l’ultima gara del ’79 forse non avrei avuto la moto ufficiale nell’80. Ma se Gallina fosse venuto con me alla Honda… ecco sarei andato meglio, la mancanza di Gallina è stata determinante, l’ho sempre detto. La proposta gliela feci, ma lui era innamorato della Suzuki….
Nell’84 con la Cagiva, poche gare come del resto nell’85. E con i GP chiudesti lì.
Poi le quattro tempi derivate e la SBK. Daytona e la vittoria nella battle of the twins del 1987, i due successi in SBK… Devo dirti che sono state garettine, non all’altezza del mondiale velocità, ma per me Daytona è stato un sogno, poi Laguna Seca e le prime due gare SBK nell’88 che ho vinto io per la Ducati. Fino al titolo con Roche nel ’90, da team manager….
Ho letto da qualche parte una tua intervista: uno dei tuoi rimpianti era che hai smesso troppo presto. Vero?
Sì. Ho smesso troppo presto. Guarda, è questo l’unico rimpianto. I fratelli Castiglioni avevano preso la Ducati e Gianfranco mi convinse: fai il manager e non il pilota, che è troppo pericoloso. Mi offriva gli stessi soldi e così mi decisi. Però mi è dispiaciuto, mi è rimasto un po’ dentro, e allora ogni tanto facevo una garetta, una cosa così. Correvo il monomarca Ducati: chi me lo faceva fare? Come se Valentino andasse a fare l’europeo… Perché mi mancava qualcosa: io nel trofeo non prendevo soldi e neanche punti…Lo facevo solo per l’anima del cazzo (per passione ndr)…
Insomma, a smettere si fa fatica: era il ‘95 e correvi l’europeo Supersport con la 748 Ducati…
Sì, giusto, con Batta. Ho chiesto anche il permesso di poter correre la prima gara Stock a Monza, quando il limite era 22 anni, con una Yamaha colorata come quella di Haga. Ho fatto queste cose da ragazzino, mi divertivo come un ragazzino. Del resto mi sono proprio divertito ad andare in moto in generale.
Stiamo parlando del ’95, cioè quattordici anni dopo che hai vinto il titolo mondiale…
Sì, ne avevo ancora voglia. Fino a rompermi una clavicola a Imola per andare dietro a mio figlio Cristiano che correva il monomarca Ducati e a Matteo Campana. Ero partito male, ed ero in pole, volevo riprenderli e via, sono caduto.
In conclusione, come lo festeggi il quarantesimo?
In moto, sulla Suzuki RR con a Fausto (Ricci ndr) e la nostra scuola: domani abbiamo dodici o quattordici clienti che ci aspettano. Il 16 agosto? Sarò qui con Giuliana e il bimbo… Ecco, magari lo ricorderò a mio figlio che non mi ha mai visto correre in moto. Lui è del 2009, ha grande stima di Valentino naturalmente, ma non lo ha mai visto vincere, e chiaramente come tutti i bimbi lui è per Marquez che ha vinto così tanto…”.
Molti di noi erano ragazzi all'epoca e Lucky era un eroe.