SBK Evo, le quasi-stock che piacciono ai team
Evo, ovvero la pietra dello scandalo. La prima mossa – dicono i detrattori di DORNA e del suo operato – per sterilizzare la Superbike, tagliarle le unghie e ridurre prestazioni pericolosamente vicine, per questioni di immagine, a quelle delle MotoGP. Una modifica regolamentare che, continuano, ucciderebbe la Superbike riducendo lo spettacolo e penalizzandola troppo pesantemente in termini di tempi sul giro. Ciò la renderebbe anche poco attraente per piloti di alto livello – la vera cosa di cui, e qui concordano tutti, in Superbike di questi tempi c’è un gran bisogno.
A prescindere dalle considerazioni di cui sopra, sulle quali si potrebbe discutere a lungo (lo spettacolo non è certo figlio dei tempi sul giro, anzi, l’evidenza empirica dice chiaramente che mezzi meno potenti e più facili da portare al limite danno vita a gare più incerte, combattute e spettacolari) ci sentiamo comunque di guardare con favore l’evoluzione proposta da DORNA, naturalmente in attesa di dichiarazioni più precise in merito ai contenuti tecnici del regolamento.
Perché questo ottimismo? Dopotutto, da bravi addetti ai lavori di lungo corso abbiamo maturato un sano scetticismo nei confronti di conigli estratti dal cilindro, panacee e soluzioni facili a problemi universali. Il fatto è che DORNA sta semplicemente andando sul sicuro basandosi su un’esperienza di successo: il regolamento EVO è già stato applicato nel campionato britannico, con buon successo e soddisfazione dei partecipanti. Vi pare che la BSB possa essere definita poco spettacolare o di scarsa attrattiva per i piloti?
Di che si tratta?
Il regolamento Evo nasce nel 2010 per sostituire la Privateer Cup, ovvero la classifica riservata ai privati. Per iniziare a sperimentare la nuova formula, gli organizzatori (MotorSport Vision Racing, che ha rilevato la BSB guarda caso proprio da DORNA) hanno creato una sorta di CRT all’interno della classe Superbike nazionale per contenere i costi dei team privati, da sempre classificati nella serie britannica tanto nella classifica assoluta quanto in una a loro riservata, con in palio premi e prestigio per squadra e pilota.
Visto il successo della formula il regolamento tecnico è stato esteso a tutta la griglia: a partire dalla stagione 2012 la categoria Superbike è stata trasformata in questa via di mezzo fra Stock e Superbike, aggiungendo spruzzate di Supersport qua e là; di fatto, è stato praticamente adottato quello in uso nel Mondiale Endurance. Rispetto alla versione iniziale infatti il livello di preparazione concesso per il propulsore è stato leggermente aumentato, per consentire a chi usa propulsori più datati da un punto di vista progettuale di colmare il gap con quelli più recenti.
Vediamo nel dettaglio cosa comporta. La ciclistica resta quella in uso sulla SBK attuale, ovvero in buona parte prototipale – telaio e telaietto devono restare di serie, ma sospensioni, forcellone e impianto frenante sono (o meglio, possono essere) sostanzialmente diversi dal modello di produzione.
Per quanto riguarda il motore invece le modifiche sono molto limitate, pur essendo più permissive rispetto a quanto prescrive il regolamento Superstock. E’ possibile naturalmente sostituire scarico e filtro dell’aria, lavorare la testa per aumentare il rapporto di compressione e i condotti di aspirazione e scarico. Si può anche modificare la distribuzione, variando alzata e durata delle camme, ma restando il vincolo di pistoni, valvole e relative sedi e molle originali oltre un certo limite non ci si può fisiologicamente spingere.
E’ permessa anche la sostituzione delle bielle per questioni di affidabilità (quindi non possono essere più leggere delle originali) e di frizione, pompa dell’olio e dell’acqua nonché del cambio, anche se viene introdotto il vincolo di un solo set di rapporti per tutta la stagione. In generale, tutte queste modifiche hanno determinato una diminuzione di circa 15 cavalli nella potenza massima rispetto ai motori usati in precedenza, preparati secondo il regolamento del Mondiale.
L’aspetto forse più importante però sta nella gestione elettronica: la BSB ha introdotto la centralina unica (nel loro caso la Motec M170, con software standard) che non prevede nessuna assistenza al pilota e limita il regime massimo a 750 giri oltre quello massimo del modello di serie. Sono spariti controllo di trazione, anti-impennate e launch control, con un accento decisamente più marcato sulle capacità del pilota piuttosto che sul valore del mezzo. I comandi ride-by wire inoltre sono permessi solo se presenti sul mezzo di serie, con la possibilità per chi non ne dispone di adottare sistemi ad infiltrazione d’aria all’aspirazione per limitare il freno motore.
Poca spesa, tanta resa
Vista la larga componente discrezionale che resta nella preparazione è difficile stimare quali benefici in termini di costi possa portare una modifica regolamentare del genere, ma da un’indagine informale effettuata al tempo dell’introduzione della normativa in sostituzione della Privateer Cup è emerso un costo di preparazione e manutenzione dei propulsori abbattuto fino all’80% sull’arco della stagione.
Le moto non hanno perso troppo da un punto di vista prestazionale – si parla comunque di 190 cavalli alla ruota anche per le moto meno recenti, Honda e Suzuki – d’altra parte, dato che come recita un ben noto adagio delle corse le curve in pista sono più dei rettilinei, è normale che ciclistica e gommatura abbiano un peso nettamente più rilevante del motore nelle prestazioni complessive del mezzo. Non siete convinti? La nostra teoria trova riscontro nell’evidenza empirica che scaturisce dal confronto diretto.
Nell’ultima gara del 2011, in cui le Evo si sono scontrate con le Superbike a regolamento WSB, Shane Byrne in sella alla Honda ufficiale del team HM Plant ha completato i 20 giri della gara in 29 minuti netti con un giro più veloce in 1’26”2. Graham Gowland, primo delle Evo ed in sella anche lui ad una CBR1000RR, ha tagliato il traguardo solo 16 secondi dopo con un miglior tempo di 1’26”9. Un distacco di sette decimi a giro e sedici secondi su 20 giri, considerando anche la differenza di abilità fra Byrne e Gowland è davvero contenuto.
A chi piace?
Il regolamento è piaciuto a tutti, anche se i team impegnati con moto meno recenti (Honda, Suzuki, Yamaha) hanno faticato un po’ nel tirare fuori la cavalleria necessaria a stare con gli altri. D’altra parte è emerso che, con un regolamento del genere, i propulsori più spinti ed affinati nella loro versione di serie (BMW e Kawasaki) guadagnano davvero poco: sono talmente ottimizzati già come prodotti dalla fabbrica che portandoli a tolleranza – ovvero come si fa nella stock – si raggiunge già quasi interamente il loro potenziale. Per andare oltre servono interventi molto pesanti che, come sostengono alcuni, travalicano ampiamente lo spirito della Superbike per non dire il concetto di “derivata di serie”.
Piace molto soprattutto ai privati, che rivolgendosi ad un buon motorista possono ottenere prestazioni pari a quelle dei primi della classe. Peraltro, con l’adozione della centralina unica, sono rapidamente sparite certe erogazioni nervosissime che nel Mondiale vengono rese gestibili solo dal massiccio intervento dell’elettronica; i preparatori si sono concentrati sulla qualità della risposta all’acceleratore – fondamentale per sfruttare al massimo la trazione in uscita di curva – andando così a ottenere propulsori più longevi, durevoli e sfruttabili.
A chi non piace?
In prospettiva mondiale è facile che un regolamento del genere – nato comunque per equilibrare la situazione fra ufficiali e privati – possa far storcere il naso alle Case costruttrici, che già ora faticano molto a giustificare un impegno ufficiale nel Mondiale Superbike, e private della possibilità di fare la differenza rispetto ai “normali” preparatori potrebbero non trovare motivo per impegnarsi in prima persona. In primis, naturalmente, chi usa la SBK per sviluppare l’elettronica del proprio prodotto di serie; ovvero, non nascondendoci dietro ad un dito, Aprilia e in maniera molto minore BMW (che ha comunque di fatto rinunciato all’impegno ufficiale), dal momento che tutti gli altri si limitano ad utilizzare versioni meno aggiornate o sofisticate del materiale impiegato in MotoGP.
Aprilia stessa, stando alle voci che circolano e ad alcune implicite conferme dell’ingegner Dall’Igna in persona, potrebbe comunque ritornare a lavorare sullo sviluppo nella categoria prototipi (come del resto ha sempre fatto, dato che la sua gestione elettronica nasce dal sistema a piattaforma inerziale nato sulle sue 250GP) con la nascita della nuova categoria di Production Racers, dove potrebbe lavorare con la massima libertà per poi creare la versione stradale della sua RSV4 che, adeguatamente preparata, andrebbe a correre in Superbike.
Uno sviluppo dell’elettronica esasperato è purtroppo imprescindibile per la MotoGP, dove per giustificare l’impegno economico ormai non più coperto dai reparti marketing ma da quelli ricerca e sviluppo le Case devono trovare ricadute su prodotti di serie non necessariamente sportivi – quelli su cui l’elettronica e il consumo ridotto sono fondamentali – e spingono quindi per il regolamento attuale. Sulle derivate di serie ne facciamo volentieri a meno, dato che non viene impiegata comunque quella del modello di produzione: l’assenza di controllo di trazione e diavolerie varie rende la serie più spettacolare, non certo più noiosa. Per questo ci permettiamo un cauto, moderato, ottimismo. Ai posteri l’ardua sentenza.
Foto: BritishSuperbike.com, Bonnie Lane, David Holland
SBK --> MotoGP
Quello che è però evidente è che questa iniziativa serve solo a spingere le case a passare in MotoGP, mentre la SBK che era una degna alternativa verrà ridotta a un campionato amatoriale.
Quindi nel futuro chi vorrà vedere le sue case e piloti di riferimento dovrà probabilmente farlo pagano Sky. Gli altri si guarderanno gli amatori, dignitosissimi ma con un appeal un po minore, che correranno su moto non ufficiali con nomi ben poco blasonati.
punto 10
Esprime perfettamente il mio pensiero!!