Gli scooter dimenticati. Italiani e non
Per diverso tempo in passato l’Italia è stata la più importante produttrice mondiale di scooter.
In genere si pensa subito a quelli della Innocenti e della Piaggio, costruiti in numeri impressionanti da grandi complessi industriali e fabbricati anche all’estero su licenza.
La Lambretta LC è stata addirittura prodotta in Germania, e nientemeno che da parte della NSU, famosa casa dai cui stabilimenti tra il 1950 e il 1956 ne sono usciti oltre 110.000 esemplari. In India la Vespa è stata prodotta su licenza dalla Bajaj.
Nell’ex-Unione Sovietica l’hanno copiata direttamente e l’hanno chiamata Viatka.
Anche diversi costruttori di moto hanno tentato, con differenti risultati, di crearsi uno spazio nel settore degli scooter. E in alcuni casi anche i loro prodotti sono stati costruiti su licenza all’estero: è accaduto alla Bianchi, con il suo simpatico e sfortunato Orsetto che è stato prodotto dalla Raleigh in Inghilterra (dove era noto come Roma), alla Rumi, il cui Formichino è stato fabbricato in Belgio dalla Sarolea e alla Parilla con il Levriere prodotto anche in Svezia, dalla Husqvarna (che lo ha dotato di un proprio motore).
Quello dalla moto è un mondo ben differente da quello dello scooter e questo contribuisce a spiegare perché varie proposte dei costruttori motociclistici, alcune delle quali sicuramente valide e interessanti, non abbiano avuto alcun successo.
Sono diversi gli utenti e sono diverse le teste ai vertici delle aziende. Le case motociclistiche sono nate assai spesso sulla spinta della passione, mentre i produttori di scooter hanno costruito solo quelli e li hanno sempre intesi come semplici mezzi di trasporto e come puri prodotti industriali.
C’è anche da dire che le Vespe e le Lambrette sono sempre state impeccabili sotto il punto di vista della qualità e quindi della robustezza e della affidabilità, il che non sempre si poteva dire di certi prodotti delle nostre case motociclistiche degli anni Cinquanta (cioè del periodo al quale ci stiamo riferendo). Piaggio e Innocenti inoltre potevano contare su di una rete di vendita e di assistenza realmente capillare e straordinariamente efficiente.
Alcuni costruttori di moto hanno effettuato più di un tentativo di inserimento nel settore scooteristico, con risultati in genere deludenti, mentre ad altri ne è bastato uno per rendersi conto che era meglio non insistere.
C’è stato però anche chi ha avuto un buon successo. È questo ad esempio il caso della Iso di Bresso, alle porte di Milano, il cui Isoscooter, presentato nel 1949 e prodotto fino al 1956, è stato venduto in numeri considerevoli.
Era robusto e andava bene e questo spiega la diffusione ottenuta. Il motore era a due tempi con cilindro sdoppiato (sistema Puch, con biella madre e bielletta). Aveva una cilindrata di 125 cm3 ed erogava 6,7 CV a 5200 giri/min. Il cambio era a tre marce, con comando a pedale, e tanto la trasmissione primaria quanto quella finale erano a catena.
Il raffreddamento era ad aria forzata. Questa soluzione era d’obbligo quando il motore, all’interno della carrozzeria, non poteva essere raggiunto agevolmente dal vento della corsa.
Un altro scooter costruito da una casa motociclistica che ha ottenuto un buon successo commerciale è stato il Formichino della Rumi, del quale ci siamo occupati circa un anno fa.
Aveva il classico motore a due tempi a due cilindri orizzontali della casa bergamasca ed è stato realizzato anche in una versione sportiva denominata Bol d’Or per commemorare le sue vittorie di classe nella famosa 24 ore francese.
La Parilla è stata per diverso tempo una delle più importanti aziende nazionali nel settore delle due ruote. Alla produzione motociclistica ha aggiunto nel 1952 quella scooteristica con un modello nel quale la meccanica era completamente celata dalla carrozzeria. Denominato Levriere, questo scooter ha avuto una buona diffusione ed è rimasto in listino fino al 1958. Il motore monocilindrico a due tempi inizialmente aveva una cilindrata di 125 cm3, ma ben presto è arrivata anche una versione di 150 cm3, che in seguito è stata l’unica a rimanere in produzione.
Le potenze erano rispettivamente di 6 e di 7 cavalli, a un regime dell’ordine di 6000 giri/min.
La MV Agusta ha tentato più volte la strada dello scooter, ma senza ottenere mai risultati davvero esaltanti. Al massimo è andata discretamente, dal punto di vista commerciale. Le sue realizzazioni erano comunque valide, sotto l’aspetto tecnico. La casa ha puntato in due direzioni: quella del veicolo completamente carrozzato e quella dello scooter più essenziale, con il motore in bella vista.
La cilindrata era in entrambi i casi di 125 cm3, con potenze dell’ordine di 5 cavalli, erogati a un regime leggermente inferiore a 5000 giri/min. Il robusto monocilindrico a due tempi era lo stesso impiegato su alcune moto della stessa casa e in seguito anche sul Pullman, mezzo che può essere considerato quasi intermedio tra lo scooter e la moto (ne parleremo prossimamente, assieme al Guzzi Galletto e al Motom Delfino, che appartengono più o meno alla stessa “razza”).
La produzione degli scooter carrozzati è iniziata nel 1949 con il modello B ed è proseguita fino al 1951 con il C e il CSL. Gli scooter con motore in vista erano in pratica eguali ad essi, ma privi della parte posteriore della carrozzeria. Sono stati costruiti dal 1950 al 1952. La casa del conte Agusta ha realizzato anche lo scooter Ovunque, ancora più essenziale e dotato di un nuovo telaio monotubo, che è stato in listino fino al 1954.
Il motore era invariato ma aveva solo tre marce.
Diversi anni dopo la MV ha tentato nuovamente la strada dello scooter, stavolta dotato di una scocca portante in lamiera e di un inedito motore a cilindro orizzontale di 155 cm3. Denominato Chicco, è stato prodotto dal 1960 al 1964.
-
BaldoGambanera, Senigallia (AN)Mio padre aveva un Orsetto e ne ha ancora nostalgia. Ancora mi racconta le avventure... “...di più non si poteva e meglio costava troppo...”