I favolosi Anni 60. Non sempre però...
Dopo un’epoca di grandi fasti, sul finire degli anni Cinquanta sulle nostre Case e sullo sport motociclistico nazionale si è improvvisamente abbattuta una forte e imprevista crisi. Dopo il difficile periodo della ripresa postbellica le condizioni economiche erano migliorate, ed erano diventate disponibili vetture utilitarie di basso costo e comodamente acquistabili a rate. Per le moto, mezzi di trasporto assai meno confortevoli e con una ridotta capacità di carico, che avevano dominato la scena negli anni più difficili, era diventata assai dura. Non si vendevano che in numeri estremamente modesti; a salvarsi quindi erano solo le aziende che da un lato avevano una rete commerciale e di assistenza capillare ed efficiente, e dall’altro disponevano di modelli adatti alla rinnovata situazione di mercato. Entro la prima metà degli anni Sessanta sono state costrette a chiudere i battenti aziende importanti, come la Bianchi, la Parilla e la Rumi, mentre altre si sono trovate in serie difficoltà.
Ricaduta negativa nelle competizioni
Di questa situazione desolante in campo nazionale era ovvio che risentisse anche lo sport. Per i campionati mondiali stava iniziando un’epoca straordinaria, con l’ingresso in grande stile delle pluricilindriche Honda e con la graduale affermazione dei motori a due tempi, resa possibile dalla tedesca MZ, che aveva indicato una strada poi percorsa fruttuosamente dalla Suzuki e dalla Yamaha. In Italia, però, l’attività sportiva stava vivendo un periodo difficile. I piloti seniores, che correvano con le moto da Gran Premio, bene o male se la cavavano, grazie soprattutto alle gare della “Primavera Romagnola”, che si svolgevano su improvvisati circuiti cittadini adiacenti al mare. Per i piloti juniores però le cose andavano tutt’altro che bene. La passione era tanta, ma in quegli anni i partecipanti alle competizioni erano ben pochi e i mezzi con i quali gareggiavano in molti casi erano allestiti con molta buona volontà, ma lasciavano assai a desiderare sotto l’aspetto della tecnica e delle prestazioni.
Uscite di scena al termine del 1957 la Mondial, la Gilera e la Guzzi, le Case che ancora si impegnavano nel campionato mondiale erano ridotte alla MV Agusta e alla Benelli, alle quali si aggiungevano, più o meno saltuariamente, la Morini e la Bianchi (che, sempre più in crisi sotto l’aspetto economico, si stava avviando alla chiusura). In ambito nazionale, mentre stavano scomparendo le classi 100 e 75, facevano qualcosa con modelli derivati dalla serie, destinati ai piloti juniores e alle gare in salita, solo la Motobi e la Aermacchi, alle quali si aggiungeva (per qualche tempo) la Demm. Si trattava in ogni caso di un numero molto limitato di moto e di un impegno decisamente modesto, in attesa di tempi migliori.
La Morini aveva portato al limite l’evoluzione del suo Settebello 175, e la Ducati, dopo aver costruito un ridottissimo numero di moto di “Formula Tre”, si era defilata, cessando l’attività agonistica ufficiale. La decisione era venuta dall’alto, e tanto l'ingegner Taglioni quanto gli uomini del reparto esperienze, a cominciare da Franco Farnè, avevano dovuto a malincuore smettere di lavorare sulle moto da competizione. Ma a Borgo Panigale il fuoco covava sotto la cenere…
Corse fai da te
Chi voleva correre e non poteva contare su di una moto ufficiale o assistita da un concessionario, si doveva arrangiare. Per fortuna alcuni costruttori fornivano parti speciali per potenziare i loro motori (alberi a camme più spinti di quelli di serie, pistoni ad alta compressione, tubi di scarico con terminale a megafono) e per quanto riguarda la parte ciclistica erano reperibili ottimi freni da competizione (Amadori e Oldani inizialmente e in seguito Fontana e Ceriani), forcelle e ammortizzatori assai simili se non eguali a quelli utilizzati dalle moto da corsa ufficiali.
Per alcune case italiane sono state una grande risorsa le esportazioni negli USA. L’Aermacchi addirittura era per metà di proprietà della Harley-Davidson (dal 1960) e diversi suoi modelli erano nati specificamente per il mercato americano. Le sue monocilindriche ad aste e bilancieri sono state sviluppate anche in versioni da competizione (Ala d’Oro), che nella prima metà degli anni Sessanta hanno iniziato a diffondersi anche a livello internazionale tra i piloti privati nelle classi 250 e 350. Avevano importanti importatori negli USA sia la Ducati (Berliner) che la Benelli (Cosmopolitan Motors, che per diverso tempo ha importato le Parilla).
Svariate gare hanno continuato a essere vinte da piloti che utilizzavano moto nate diversi anni prima. Ancora nel 1963 il campionato seniores nella classe 125 è stato conquistato da Francesco Villa con una Mondial bialbero costruita nel 1957. E Gli ultimi campionati della montagna della classe 75 sono stati conquistati da mezzi che risalivano a oltre dieci anni prima (Laverda, Ceccato e Itom, rispettivamente nel 1964, 1965 e 1966).
La situazione ha iniziato a cambiare solo attorno alla metà degli anni Sessanta, quando anche il mercato nazionale ha cominciato a dare segni di risveglio. E le cose, per i piloti e i costruttori, hanno preso una piega ben diversa.
Per la Mondial mi viene un dubbio: può essere una 250 e non una 125?
Mi sembra che cilindro e testa sia abbondanti per essere solo 125 cc: mi sbaglio?
Grazie per la risposta.