I Racconti di Moto.it: "C'è un limite a tutto"
Luigi giurò a se stesso che un giorno, un prossimo fottutissimo giorno, lo avrebbe preso, stanando dal suo covo quel maledetto truffatore che nessuno aveva finora assicurato alla giustizia.
Il Pavese, lo chiamavano, e non si sapeva con chiarezza che volto avesse, né se fosse veramente di Pavia. Era furbo come una faina e sfuggevole come un’anguilla; ingannava e affascinava le sue vittime col suo charme inimitabile scegliendo nomi beffardi e travestimenti curatissimi.
Il soprannome glielo affibbiò un quotidiano romagnolo, quando qualche anno fa si scoprì la terribile vicenda delle moto Emiliane abilmente contraffatte e prodotte, su commissione del Pavese, da un’azienda orientale, fatte passare per originali e restituite alla Casa da fantomatici clienti infuriati – da lui inventati con documenti falsi, in realtà persone inesistenti- con richieste giudiziali di restituzione del denaro per gravissima difettosità nel periodo di garanzia.
La casa Emiliana ci cascò con tutte e due le scarpe e in cambio di oltre 200 motociclette inspiegabilmente fuori dai parametri di progetto e del silenzio sulla vicenda da parte dei – fantomatici- clienti, versò a questi ultimi –in realtà i soldi finirono nelle tasche del Pavese – un risarcimento che la mandò quasi a gambe all’aria e la costrinse a svendersi ai tedeschi.
L’inganno fu scoperto un paio di anni dopo, ma solo perché dalla motorizzazione di Bologna qualcuno parlò, un pesce piccolo, forse l’unico prezzolato e corrotto complice, svelando il trucco per fare entrare in Italia ed immatricolare i farlocchi mezzi falsificando il prestigiosissimo Marchio bolognese. Ma nel Bel Paese uno scandalo dura il tempo di scaricare le perdite su qualcun altro e, dato che i falsi clienti avevano dichiarato di risiedere a Pavia ed erano difesi tutti dallo stesso avvocato iscritto all’albo dei professionisti della stessa provincia, il Preg.mo Avv. E. Lentini poi risultato il responsabile della truffa, i giornali chiamarono quest’ultimo “Il Pavese”. Si accertò poi la sua inesistenza e fu inutile ogni tentativo di rintracciarlo, nessuno si ricordava il suo volto, nessuno sapeva dove risiedesse né, ovviamente, il suo vero nome. Volatilizzato, evaporato come benzina da un gigleur.
Il Pavese negli anni ’90 turbava gli studi legali associati di tutt’Italia quando con la sua prestigiosissima HRD Vincent Black Shadow d’epoca vi giungeva millantando di conoscerne il socio anziano, sempre stranamente assente per qualche ragione quando Il Pavese bussava alla porta e, con fare distinto e colto che noi buzzurri attribuiamo sempre ad un aristocratico e mai ad un truffatore, fingeva di esserne grande amico e di passare di lì per una visita di cortesia. Era un copione che funzionava sempre: avvertito dalla immancabilmente servizievole segretaria dell’assenza del suo presunto amico, il pavese si congedava galantemente per poi tornare pochi minuti dopo asserendo di avere smarrito il portafoglio e di avere la necessità di avere subito del denaro contante per tornare nella sua lontana città, e ne avanzava garbatamente richiesta alla segretaria dello studio con promessa di rapidissima restituzione; affascinata, la signorina diligentemente faceva colletta tra gli avvocati, certa e sicura che un signore così distinto non sarebbe potuto essere che oltremodo onesto e poi, porca miseria, era uno dei migliori amici del capo! In questo modo Il Pavese truffava una decina di studi legali per volta, cambiando spesso città. Non fu mai riconosciuto, mai identificato né denunciato, anche perché i truffati si vergognavano non poco di essere stati raggirati con cotanta facilità.
Luigi era stato uno di questi, ingannato dal Pavese quando era un semplice praticante avvocato rimettendoci quelle cinquantamila lire che oggi valgono meno di un pieno europeo nella sua motocicletta ma allora erano il lasciapassare per un fine settimana felice a scorrazzare per le colline in sella alla sua monocilindrica TX 550, la stessa che lo ha accompagnato prima all’Università, lo ha trasportato nelle vacanze con la morosa e nelle sere ubriache di risate ed alcol prima della presa di coscienza che tutto ha un limite, pure il culo di non farsi male guidando non sobrissimi, e che ancora oggi lo serve fedelmente.
Quando il pavese irruppe nello studio legale dove era praticante, il Sanguedolce&Partners, Luigi lo intravide da una finestra parcheggiare la sua HRD Vincent e solo la compostezza necessaria a non farsi richiamare dai colleghi pettegoli gli vietò di fiondarsi fuori e sbavare attorno al quel capolavoro di motocicletta. Posseduto da una smania solidaristica verso un motociclista – tra l’altro un vero intenditore e amante della bella meccanica - come lui, Luigi fu il primo a versare orgogliosamente cinquantamila lire per la colletta a favore dell’avvocato Lentini – Il Pavese -, senza sapere che ovviamente non le avrebbe più riviste. Mentre il truffatore ineffabilmente risaliva in moto col bottino in tasca e scalciava sulla leva di avviamento, lo seguì con lo sguardo sognante dalla finestra della sua stanzetta arredata con una fotocopiatrice e un 486 di terza mano al piano terra della palazzina interamente adibita a studio legale; la Vincent stentava ad avviarsi e Luigi intuì il suo momento di gloria. Lasciò incompiuta sulla scrivania la stesura della comparsa conclusionale per una causa di minimo valore e andò in strada, dove Il Pavese con scarsa grazia e nullo rispetto si accaniva selvaggiamente sulla vetusta motocicletta, apostrofandola con epiteti irriferibili e smozzicando ogni tanto qualche bestemmia, che c’è chi proprio non le tollera nonostante il dichiarato agnosticismo. Va bene tutto ma insultare una vecchia signora come la Black Shadow e per soprammercato prendersela pure con chi te la può fare pagare cara appena tiri le cuoia… c’è un limite a tutto, come dicevamo prima.
Luigi fece ricorso al tutto il suo aplomb per inserirsi garbatamente nell’impari scontro tra Il Pavese e la Vincent, tenendo a bada la sua rabbia nel vedere trattare in modo così indegno una gloria degli anni ’50, ma Il Pavese non capiva, tutto preso dall’inframezzare minacce di demolizione con propositi di vendita a sospiri di fatica e accenni d’asma che in quella calda mattina di settembre del 1999 rapidamente lo coprirono di sudore mentre il suo elegante completo risultò pezzato come un bovino. Luigi chiese quasi sottovoce se potesse essere d’aiuto e per tutta risposta ricevette un’occhiataccia con un invito a provarci lui, se era così bravo. Ci provò e gli fu sufficiente una singola scalciata, avvezzo com’era ad avviare la sua monocilindrica 550 senza decompressore automatico e consegnò al pavese la moto borbottante, dissimulando un po’ di sano orgoglio; Il Pavese, incredulo, manco ringraziò mentre stizzito saliva in sella. Fece una cosa, però; il suo unico errore in tanti anni di truffe e raggiri: evidentemente fuori di sé per la fatica, se la prese con una donna, inelegantemente apostrofandola con l’epiteto di “gatta secca”; quasi una reazione automatica, ricorrente ed inconsulta.
Davvero una grande differenza con la persona che nello studio legale, nel pieno controllo di sé, aveva fatto sfoggio di savoir faire, garbo, eleganza, signorilità e alterigia quasi regali.
L’indomani, come sappiamo, si scoprì che l’avvocato Lentini non esisteva e Luigi chiese udienza al socio anziano per sapere se per caso lo studio associato potesse rifondergli le cinquantamila lirette ma l’avvocato Sanguedolce rispose attraverso un avviso nella bacheca dello studio che non era solito dare udienza ai sottoposti per questioni di cinquantamila lire e Luigi – mortificato e deriso dai colleghi - capì che quei soldi erano un prestito annotato nel ghiaccio: la prese male per un po’ di giorni poi archiviò la vicenda e ci mise una pietra sopra, doppiamente umiliato: prima dal pavese, poi dall’avvocato Sanguedolce dal quale si sentì trattato peggio di un miserabile.
Nel 2012 il nostro Luigi è il rispettabile avvocato Russo, a libro paga dello studio Sanguedolce&Partners e alla soglia dei quaranta non ha ancora avuto il cuore di vendere la sua bellissima monocilindrica TX 550 che lo segue ancora con affidabile fedeltà ma, dato che i ricambi iniziano a scarseggiare e le risorse per una moto nuova continuano a non trovarsi, decide di acquistare una moto identica alla sua da cannibalizzare.
In studio tutto regolare: Sanguedolce continua a non ricevere i sottoposti e a lavorare blindatissimo nella sua stanza all’ultimo piano curando cause ultramilionarie; spesso politici in vista e grandi imprenditori giungono scortati e vengono sottoposti ad un’anticamera anche di ore, ma si dice che l’avvocato Sanguedeolce sia capace di risolvere a favore dei clienti le questioni più intricate e prive di speranza senza mai muoversi dal suo studio, una specie di Nero Wolfe in toga d’avvocato.
Luigi ha trovato su internet una TX550 come la sua, già privata della targa, ma il prezzo è alto, forse troppo: chiede al venditore un contatto telefonico per poterci capire qualcosa di più. Bastano poche e-mail e il venditore “sb55”, che dice di chiamarsi Santo, lo contatta via telefono cellulare, iniziando una schermaglia dove una parola tira l’altra e gli animi si scaldano: nessuno dei due vuole cedere un euro alla controparte e “sb55” inizia a farsi pressante, minacciando di fare “marcire quel rottame in un granaio pur di non venderla a te, pezzente!”.
Rottame? Granaio? Pezzente? A queste parole Luigi elabora un concetto universale che finisce per vaffanculo e sta per mettere giù; c’è un limite a tutto che l’inutile animosità del suo interlocutore ha decisamente travalicato; ma succede una cosa che colpisce Luigi allo stomaco come un pugno a sorpresa: a Santo sfugge un’imprecazione già sentita tredici anni prima sotto lo studio, mentre il pavese tentava di avviare la HRD Vincent con in tasca le cinquantamila lire che gli aveva truffato;
Gatta secca! E va bene! Va bene! Dammi mille euro e non ne parliamo più!
E’ il pavese. E’ il fottutissimo avvocato Lentini. E’ quel figlio di una meretrice del postribolo di Malta magnificato nelle litanie del porto di Catania...
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Adesso, caro lettore, è il tuo turno. Ti lascio il manubrio di questa storia: portala dove ti pare, il motore è in moto, le gomme sono calde e la strada degli eventi è tutta davanti a te, libera e senza limiti di velocità;
a presto.
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Evviva le "Gatte secche"!
Luigi si trova quindi a gestire lo studio legale, visto che il capo non ha resistito all'umiliazione e si è ritirato a vita privata. Avendo tanti soldi da potersi permettere di diventare socio di maggioranza della casa emiliana, ne convertirà una parte per costruire pezzi di ricambio per moto d'epoca, un mercato in forte espansione, e diventerà a sua volta irreperibile, girovagando in moto per i colli toscani in sella a moto rigorosamente d'epoca. P.s. il marchio della ditta includerà una HRD Vincent Black Shadow stilizzata come sfondo e “Gatta secca” sarà il nome commerciale o parte del motto della casa.