Tecnica e storia

L'età dell'oro dei grossi “mono” inglesi

- Vediamo come erano fatti i grandi monocilindrici inglesi degli anni d’oro. I migliori BSA, AJS, Norton e Velocette che furono d'esempio per tutti
L'età dell'oro dei grossi “mono” inglesi

Dopo aver introdotto il tema in un precedente articolo, torniamo sugli splendidi motori a cilindro verticale di 500 cm3, prodotti dalle case inglesi negli anni Cinquanta e Sessanta, che ebbero praticamente tutti le loro origini nell’anteguerra. I loro antenati con il passar del tempo avevano subito una graduale ma profonda evoluzione; le varie rivisitazioni però non avevano tutto sommato modificato di molto le scelte tecniche di base e l’architettura d’assieme. Le molle delle valvole sono state racchiuse, le alettature si sono estese e a un certo punto nuove teste in lega di alluminio hanno preso il posto di quelle in ghisa. Questo è avvenuto con certo ritardo rispetto agli italiani e (specialmente) ai tedeschi. Pure le misure di alesaggio e corsa sono rimaste spesso immutate, nel corso dello sviluppo dei vari modelli, al punto che in certi casi si parlava di valori tipici delle specifiche case. Ad esempio, per i monocilindrici Norton di serie le misure erano invariabilmente 79 x 100 mm. Del resto, qualcosa del genere è accaduta anche da noi: le classiche Guzzi 500 a volano esterno hanno sempre avuto un alesaggio di 88 mm e una corsa di 82 mm, e nelle Gilera 500 monocilindriche queste misure erano rispettivamente 84 e 90 mm.


 

Il motore della BSA Gold Star 500 visto dal lato della trasmissione primaria. Questo monocilindrico aveva un alesaggio di 85 mm e una corsa di 88 mm. Il cilindro in lega di alluminio aveva la canna riportata in ghisa
Il motore della BSA Gold Star 500 visto dal lato della trasmissione primaria. Questo monocilindrico aveva un alesaggio di 85 mm e una corsa di 88 mm. Il cilindro in lega di alluminio aveva la canna riportata in ghisa

I vari monocilindrici inglesi possono sembrare piuttosto simili tra loro, con l’unica eccezione degli ultimi BSA con cambio in blocco. E in effetti l’architettura d’assieme è complessivamente analoga in tutti i casi, e questo vale anche per le principali scelte tecniche di base, come la distribuzione ad aste e bilancieri. Esistono però differenze di notevole portata a livello di particolarità significative, procedimenti costruttivi e materiali impiegati. La biella del motore Royal Enfield 500 monocilindrico, per fare un esempio di un certo interesse, era forgiata in lega di alluminio e alla testa lavorava su di una grossa bronzina anulare. A rendere davvero unica la soluzione adottata era il fatto che quest’ultima era flottante; in altre parole, veniva inserita con gioco sia sul perno di manovella che nell’occhio della biella.

In tutti gli altri grossi mono la biella era in acciaio, quasi sempre da bonifica e quindi con anello del cuscinetto montato con interferenza nella testa. Già negli anni Cinquanta i costruttori tedeschi e italiani (con un paio di eccezioni) avevano abbandonato questo schema costruttivo per adottare quello, certamente più razionale, che prevedeva bielle in acciaio da cementazione, senza alcun anello riportato. In questo secondo caso infatti, grazie alla elevata durezza ottenuta per mezzo del trattamento, la pista di rotolamento per i rullini poteva essere ricavata direttamente nell’occhio della testa.

Tipica della scuola inglese era un’altra soluzione tecnica che in passato era stata impiegata diffusamente in Italia e in Germania, ma che negli anni Cinquanta in tali paesi non si usava più (solo due o tre modelli italiani hanno fatto eccezione ancora fino a circa metà dl decennio); prevedeva un albero a gomito costituito da ben cinque parti, con il perno di manovella che veniva unito ai volantini per mezzo di superfici di accoppiamento troncoconiche e grossi dadi di ritegno. Questo stesso sistema veniva quasi sempre impiegato (facevano eccezione i motori BSA Gold Star e B 44/B 50) anche per vincolare i perni di banco ai relativi volantini; in tal caso però le superfici di accoppiamento erano spesso cilindriche e il montaggio si effettuava con l’ausilio di una pressa. Una soluzione largamente impiegata dai costruttori inglesi per i loro mono prevedeva che le punterie non scorressero in fori direttamente ricavati nell’alluminio del basamento ma venissero inserite in apposite guide riportate.

La famosa BSA Gold Star

Sezione del motore BSA DB 32, versione di 350 cm3 della Gold Star. Si possono notare i tre cuscinetti di banco (due a rulli più un terzo, di minori dimensioni, a sfere) e l’albero a gomito in cinque parti
Sezione del motore BSA DB 32, versione di 350 cm3 della Gold Star. Si possono notare i tre cuscinetti di banco (due a rulli più un terzo, di minori dimensioni, a sfere) e l’albero a gomito in cinque parti

Le famose BSA Gold Star della serie culminata con la DBD 34 hanno sempre avuto sia la testa che il cilindro in lega di alluminio. Entrambi questi componenti sono stati rivisitati più volte,nel corso degli anni, e hanno visto via via aumentare le dimensioni della loro alettatura. Le moto di eguale cilindrata della stessa casa di impostazione più turistica, cioè le B 33 (e anche le B 31 di 350 cm3) hanno continuato ad avere la testa in ghisa, oltre al cilindro, anche dopo la metà degli anni Cinquanta!

Nel motore delle Gold Star la canna del cilindro era in ghisa austenitica, materiale che ha un coefficiente di dilatazione termica notevolmente più alto di quello della classica ghisa grigia e quindi abbastanza vicino a quello della lega di alluminio. In questo modo si minimizzava il rischio di distacco della canna a caldo.

Il motore aveva una struttura molto semplice, come si conviene a un monocilindrico, era ben curato in tutti i dettagli ed era realizzato con eccellenti materiali. Si trattava di un mezzo destinato non solo agli sportivi più esigenti, ma anche ai piloti privati che impiegavano queste moto nel clubman racing o comunque nelle gare nazionali di velocità di livello appena inferiore ai GP. La distribuzione prevedeva due alberi a camme, dotati di un eccentrico ciascuno, posti sul lato destro e azionati mediante ingranaggi. Il moto veniva trasmesso alle valvole, i cui assi formavano un angolo di 66°45’, da punterie a piattello, aste e bilancieri a due bracci in acciaio forgiato. Per il richiamo delle valvole si impiegavano molle a elica. Ciascun perno di banco veniva inserito nel relativo volano con interferenza ed era poi assicurato ad esso mediante chiodatura. La testa della biella lavorava su due file di rullini ingabbiati, secondo una soluzione tipica della scuola inglese, per quanto riguarda i grossi mono. L’albero poggiava su due grossi cuscinetti di banco a rulli, più un terzo a sfere di minori dimensioni, posto dal lato della trasmissione primaria.

AJS e Matchless 500

Il motore delle AJS/Matchless di 350 e 500 cm3 era caratterizzato tra l’altro dall’impiego di bilancieri realizzati in tre parti. I due alberi a camme collocati sulla destra del basamento agivano su punterie a piattello
Il motore delle AJS/Matchless di 350 e 500 cm3 era caratterizzato tra l’altro dall’impiego di bilancieri realizzati in tre parti. I due alberi a camme collocati sulla destra del basamento agivano su punterie a piattello

Più tranquilli a livello di modelli stradali, ma in grado di impegnare e talvolta anche di battere le Gold Star nelle gare di cross e in quelle nei deserti americani erano le 500 monocilindriche Matchless/AJS. Pure in questo caso venivano impiegati due alberi a camme che agivano su punterie a piattello. Tra le caratteristiche più interessanti di questi robusti motori, dal disegno molto lineare, vi era l’impiego di bilancieri che non erano forgiati in un sol pezzo, come vuole la soluzione classica, ma erano realizzati in tre parti. Ciascuno di essi infatti era costituito da un perno (che si inseriva in due bussole montate nel coperchio della testa) e due bracci, ricavati da una lastra d’acciaio, che venivano vincolati alle sue estremità mediante apposite scanalature e dadi di ritegno. Un’altra particolarità si ritrovava a livello dei cuscinetti di banco: dal lato della trasmissione primaria ce ne erano due, a sfere, mentre dal lato del comando distribuzione veniva impiegata una bussola in bronzo. Le sedi delle valvole non erano montate con interferenza ma venivano incorporate nella testa all’atto della fusione.

 

Decisamente più compatti e leggeri degli altri monocilindrici inglesi di analoga cilindrata erano i BSA della serie con cambio in blocco, ovvero i famosi Victor 441 e l’ultimo della stirpe, il B 50. Questo era logico, in quanto discendevano direttamente da un “umile” 250, il modello C 15 apparso nel 1958 e accreditato di una potenza di 15 cavalli. Mentre questo quarto di litro continuava il suo sviluppo, con una serie di versioni successive, da esso è stato derivato un modello di 350 cm3, contraddistinto dalla sigla B 40 e apparso nel 1961. Cinque anni dopo è stata la volta del B 44, ossia la versione stradale del Victor, che abbinava un alesaggio di 79 mm a una corsa di 90 mm. Ultima della linea evolutiva è stata la B 50, dotata di tre cuscinetti di banco (prima erano due) e costruita dal 1971 al 1972 in due versioni stradali più una da cross. Il motore aveva un unico albero a camme che agiva su punterie a pattino arcuato. Una B 50 SS ottimamente preparata e ben condotta da Brown e Rollason è arrivata seconda assoluta, dietro la Laverda 750 di Brettoni e Angiolini, nella 24 ore del Montjuich del 1971, precedendo fior di moto giapponesi, anche di cilindrata nettamente superiore. È stato partendo dalla B 50 MX che Alan Clews ha iniziato la produzione delle sue splendide CCM da cross.

 

Il monocilindrico Norton di 500 cm3, semplice e robusto, aveva un alesaggio di 79 mm e una corsa di 100 mm. Le punterie erano alloggiate in bussole di guida riportate nel basamento in lega di alluminio
Il monocilindrico Norton di 500 cm3, semplice e robusto, aveva un alesaggio di 79 mm e una corsa di 100 mm. Le punterie erano alloggiate in bussole di guida riportate nel basamento in lega di alluminio

Gli altri grossi monocilindrici inglesi degli anni d’oro sono meno noti in quanto hanno avuto una minore diffusione a livello internazionale e non hanno avuto carriere agonistiche di particolare successo. Il Norton è stato anche costruito in una versione di 597 cm3, appositamente sviluppata per le moto con sidecar, nella quale la corsa era di ben 120 mm. Non si trattava di un motore studiato con l’obiettivo di ottenere prestazioni particolarmente elevate, ma piuttosto di un robusto e versatile tuttofare. All’epoca i modelli di punta di questa casa, per quanto riguarda la produzione di serie, erano i bicilindrici. Il mono Ariel di 500 cm3 era caratterizzato dall’impiego di un albero a camme con un singolo eccentrico per azionare entrambe le valvole (soluzione adottata dal 1954); compatto e leggero, questo motore è uscito di produzione alla fine del 1959 perché il gruppo AMC, del quale la casa faceva parte, aveva altri modelli di tipo analogo in listino, costruiti dalla Matchless/AJS. Per quanto riguarda la Ariel si era deciso di puntare tutto sulle bicilindriche a due tempi Leader e Arrow. Il Bullet 500 della Royal Enfield è stato costruito dal 1953 al 1962, senza arrivare mai ad avere una diffusione paragonabile a quella del modello di 350 cm3. Il monocilindrico Velocette Venom nella versione Thruxton è arrivato ad erogare una quarantina di cavalli. Dotato di misure caratteristiche perfettamente quadre (86 x 86 mm), aveva la distribuzione a camma rialzata. Non è mai stato molto popolare, ma in Francia e negli USA ne sono stati venduti svariati esemplari.  

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