La pressione media effettiva. Il numero magico dei motori
All’interno dei cilindri i pistoni “raccolgono” energia durante la fase di espansione, che è quella utile del ciclo. Parte del calore generato dalla combustione della miscela aria-carburante viene così convertita in energia meccanica.
I gas che premono su ciascun pistone generano una forza che viene trasmessa dalla biella all’albero a gomiti, mettendolo in rotazione. Nasce in questo modo la coppia, costituita da una forza per un braccio di manovella (distanza tra l’asse di rotazione e il punto di applicazione della forza stessa). Moltiplicando la coppia erogata dal motore per la velocità di rotazione si ottiene la potenza.
Una energia (ovvero un lavoro) ha le stesse dimensioni fisiche del prodotto di una pressione per un volume. Nel nostro caso abbiamo a che fare con la pressione media che agisce sul pistone, mentre il volume corrisponde ovviamente alla cilindrata. La coppia, che ha le stesse dimensioni di una energia, è quindi il prodotto della cilindrata per la pressione media effettiva (PME). Naturalmente si tratta di una pressione “fittizia”, che serve come riferimento e per i calcoli; quella reale cambia infatti di continuo.
La PME viene in genere definita come la pressione media teorica che, se agisse sul pistone durante tutta la corsa di espansione, farebbe erogare al motore la stessa potenza che, a quel dato regime di rotazione, esso realmente produce. Ci informa insomma in merito alla “vigoria” (per unità di cilindrata) delle fasi utili che si svolgono nel motore.
Fermi restando il potere calorifico del carburante, la densità dell’aria e il rapporto di miscela, la PME (che di norma si esprime in bar) dipende soltanto dal prodotto dei tre rendimenti: termico, volumetrico e meccanico.
Fornisce quindi indicazioni precise per quanto riguarda la bontà della respirazione del motore, la sua efficienza come trasformatore di energia e le perdite per attrito e per pompaggio che hanno luogo al suo interno. La PME si calcola con grande facilità, una volta note la potenza, il regime di rotazione e la cilindrata del motore.
Si tratta di un parametro di straordinaria importanza e di grande utilità perché consente di effettuare confronti tra motori molto diversi tra loro, anche come cilindrata, di conoscere il grado di “sfruttamento” di ciascuno di essi e di valutare le sollecitazioni in gioco. Quando si parla di PME ci si riferisce sempre a quella calcolata al regime di potenza massima. La curva che mostra il suo andamento in funzione del regime di rotazione ha lo stesso andamento di quella di coppia.
È evidente che tra due motori di eguale cilindrata, funzionanti alla stessa velocità di rotazione, fornisce una potenza più elevata quello che ha una PME più alta.
Analogamente a quanto si fa per la potenza, si può dividere la coppia prodotta dal motore per la cilindrata in litri e ottenere così la coppia specifica, che si esprime in Nm/litro ha le dimensioni di una pressione. Pure il lavoro specifico, ovvero l’energia raccolta dai pistoni a ogni ciclo per unità di cilindrata (che si misura in kJ/dm3), ha le dimensioni fisiche di una pressione. In effetti in tutti e tre i casi si tratta fondamentalmente della stessa cosa.
Il seguente esempio mostra chiaramente il legame che esiste tra questi tre parametri. Un motore di 500 cm3 che eroga una coppia di 50 Nm ha una PME di 12,57 bar, una coppia specifica di 100 Nm/litro e fornisce un lavoro specifico di 1,257 kJ/dm3.
La PME ha una importanza fondamentale ai fini delle prestazioni. Ferma restando la cilindrata, la potenza erogata dal motore dipende esclusivamente dal prodotto tra la PME e il regime di rotazione.
Nei motori aspirati i cavalli vengono ottenuti sia con i giri (raggiungendo regimi elevati) che con la PME. Quest’ultima deve essere la più alta possibile. Nei motori molto veloci questo è un obiettivo non facile da raggiungere, dato che i tempi a disposizione per le fasi di aspirazione sono estremamente ridotti e che, soprattutto, le perdite meccaniche tendono ad aumentare in misura esponenziale al crescere del regime di rotazione.
Nonostante questo, i risultati ottenuti sono straordinari.
Nelle Formula Uno aspirate dei primi anni Duemila, che raggiungevano velocità di rotazione dell’ordine di 19.000 giri/min ed erogavano anche oltre 300 CV/litro, le PME erano arrivate in alcuni casi a superare leggermente i 14 bar. Nelle odierne MotoGP le PME arrivano a valori più o meno analoghi, con regimi di rotazione che sono però inferiori, risultando dell’ordine di 17.000 giri/min o poco più.
Nei motori dotati di compressore si raggiungono potenze specifiche elevatissime perché la sovralimentazione consente di ottenere PME molto alte. I cavalli vengono quindi ottenuti più con la “vigoria” delle singole fasi utili che con i giri. Le Formula Uno turbo degli anni Ottanta sono arrivate a fornire oltre 500 CV/litro, con PME dell’ordine di 45 bar. I diesel automobilistici attuali erogano la potenza massima a circa 4.000 – 4.500 giri/min. Girano quindi piano, ma possono fornire anche attorno a 100 CV/litro, grazie a PME che possono superare i 20 bar.
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noveundici, Empoli (FI)altro dato fondamentale per la potenza...il n° di fasi utili: 500 GP fine anni 90 = 200 cv = 400 CV/litro...senza turbo. nostalgico