Approfondimenti

La storia di Ducati Corse

- L’avvicinarsi dell’inizio della stagione 2013 è l’occasione per ripercorrere cinquantasette anni di storia per il reparto corse della casa di Borgo Panigale
La storia di Ducati Corse

 Quando si dice Ducati l’appassionato casuale pensa alla MotoGP, mentre i motociclisti di corso (un po’) più lungo o di passione più verace sogna (o mastica amaro) pensando alla lunga serie di vittorie della Casa di Borgo Panigale nel massimo campionato riservato alle derivate di serie. Non tutti però sanno che a Bologna hanno iniziando dalle piccole cilindrate, conquistando punti e qualche vittoria anche agli albori delle competizioni iridate.

 

L’esordio nei GP

La storia Ducati nei GP parte naturalmente con l’ingresso dell’Ingegner Fabio Taglioni in Ducati, nel 1954. Solo due anni dopo Degli Antoni porta una “Marianna”, ovvero una 125 Gran Sport, alla vittoria nel GP di Svezia che pur non essendo gara valida per il Campionato del Mondo fa da banco di prova per la monocilindrica di Borgo Panigale. L’appetito vien mangiando, come si suol dire, e la stessa moto pochi mesi più tardi conquista i primi punti iridati con un quinto posto nel Gran Premio delle Nazioni a Monza.

Degli Antoni, autore della prima vittoria Ducati nei GP
Degli Antoni, autore della prima vittoria Ducati nei GP

La prima vittoria arriva nel 1958, con Gandossi a Spa-Francorchamps. Il bergamasco torna alla vittoria a Hedemora (Gran Premio di Svezia) precedendo il compagno di squadra Taveri, poi fa secondo a Monza e a fine stagione chiude il Mondiale al secondo posto dietro alla MV di Carletto Ubbiali. A Monza, Ducati compie tra l’altro un’impresa che ha dell’incredibile, piazzando cinque Gran Sport ai primi cinque posti. L’ordine d’arrivo recita Bruno Spaggiari, Alberto Gandossi, Francesco Villa (il fratello del più famoso Walter), Dave Chadwick e Luigi Taveri.

 

Le classi superiori

Nel 1960 Hailwood sale sulla 250 desmodromica (bicilindrica in linea) e regala a Ducati i primi punti nella quarto di litro iridata. L’interesse in azienda però cala, e bisogna aspettare dieci anni perché la storia abbia un reale seguito, in questo caso con la 500 bicilindrica con cui Read conquista – sempre a Monza – i primi punti mondiali nel Mondiale. Sembra l’inizio di una storia di successi, ma nel frattempo le gare per derivate di serie prendono sempre più piede, e la storica vittoria di Paul Smart davanti a Bruno Spaggiari alla 200 Miglia di Imola sembra indicare la strada al reparto corse della Casa di Borgo Panigale, che per i successivi trent’anni tralascerà completamente i Gran Premi.

Il che non vuol dire che a Bologna smettano però di vincere. Nel 1973 la 860 derivata dalla (sfortunata) GT vince la 24 Ore di Barcellona con Grau e Canellas, conquistando la prima di una lunga serie di vittorie nell’Endurance. Cinque anni dopo arriva anche il primo successo al TT, con il rientrante Mike Hailwood in sella ad una 900SS preparata F1 da NCR, vero e proprio “braccio armato” Ducati nel periodo di gestione statale. Nello stesso anno, curiosità, il futuro tre volte iridato FreddieSpencer porta lo stesso modello al terzo posto nella 200 Miglia di Daytona. La classica californiana sarà in seguito teatro di tante altre grandi vittorie per la casa di Borgo Panigale.

Nel 1981 arriva anche il primo titolo Formula 2, con Tony Rutter (padre di quel Michael che con Ducati ha vinto in BSB e diverse corse stradali) in sella alla leggendaria Pantah TT2. La Casa di Borgo Panigale conquisterà altri tre titoli prima che la categoria venga progressivamente abbandonata.

 

L’era del quattro valvole

Donington, 1988: Lucchinelli vince la prima manche del neonato Mondiale SBK
Donington, 1988: Lucchinelli vince la prima manche del neonato Mondiale SBK

E’ il 1986 quando Ducati schiera una “strana” 750F1 al Bol d’Or. Sotto le carenature della due valvole (di grande successo nell’Endurance e BOTT) pulsa infatti il primo esemplare di Desmoquattro da 748cc, pensato e realizzato quasi in segreto da Gianluigi Mengoli e Massimo Bordi. La gara termina con una rottura (cappellotto di biella) ma la moto va forte. Portata ad 851cc, nelle mani di Marco Lucchinelli, la nuova bicilindrica vince la Battle of the Twins a Daytona. L’anno successivo, la stessa moto vince a Donington Park la prima manche mai disputata del Mondiale Superbike. A fine stagione, Lucchinelli e la Ducati chiudono il campionato al quinto posto pur non avendo preso parte alle ultime prove in Oceania.

Dopo un 1989 interlocutorio, in cui la 851 paga ancora un’affidabilità relativa, la moto diventa 888 (ma per aumentare la confusione ha una cilindrata effettiva di 926cc…) e vince con Raymond Roche il primo titolo iridato Superbike per la Casa di Borgo Panigale. Nel 1991 e ’92 il testimone passa a Doug Polen che fa letteralmente piazza pulita, per poi tornare negli Stati Uniti e conquistare il primo titolo AMA Superbike in sella alla 888 del team Fast By Ferracci. In quegli anni nasce la stella di Giancarlo Falappa, pilota dalla generosità e velocità uniche, fermato solo quando un terribile incidente in una sessione di test privati in Spagna ne stronca la carriera.

Nel Mondiale, il neoacquisto Fogarty perde un controverso mondiale contro la Kawasaki di uno Scott Russell in stato di grazia. Il binomio anglo-bolognese si rifà l’anno dopo schierando la 916 che vince all’esordio e si ripete nel 1995. Nel 1996 tocca a Troy Corser (già campione AMA l’anno precedente con la 888 spinta però dal 955cc della 916 Racing usata in Europa) vincere il suo primo titolo iridato Superbike in sella appunto alla 916. Nel 1998 Fogarty, tornato in Ducati dopo la parentesi Honda, vince il suo terzo titolo iridato che bissa poi nel 1999. Nello stesso anno viene fondata Ducati Corse, a cui passa la gestione di tutta l’attività sportiva della casa madre.

Troy Bayliss, entrato (e mai uscito) nel cuore dei Ducatisti
Troy Bayliss, entrato (e mai uscito) nel cuore dei Ducatisti

Nel 2001, dopo che l’anno prima un incidente al GP del Sud Africa ha chiuso la carriera di Fogarty, arriva colui che diventerà, dopo "King" Carl, la seconda bandiera Ducati: Troy Bayliss. L’australiano vince il titolo, per poi dare vita l’anno successivo ad un Mondiale entrato nella storia, che si conclude con la leggendaria gara di Imola in cui deve cedere lo scettro a Colin Edwards.

 

2003: l’ingresso in MotoGP

Dopo un anno di prove private, Ducati fa il grande passo schierando la Desmosedici al via del Motomondiale. Capirossi domina i test di Barcellona facendo segnare velocità massime sbalorditive, per poi condurre il primo giro della prova d’esordio, a Suzuka, chiudendo sul terzo gradino del podio. La stagione prosegue su ottimi livelli con la prima vittoria (sempre per Capirossi) già al GP di Catalunya.

Il 2004 è decisamente più difficile, e solo l’anno successivo con il passaggio alle Bridgestone la Desmosedici torna alla vittoria sul finale di stagione. Il gommista giapponese risponde perfettamente alle richieste del reparto corse Ducati, e Loris Capirossi conquista due splendide vittorie a Motegi e Sepang. Carlos Checa, che ha sostituito Bayliss, sale due volte sul podio.

Loris Capirossi sulla Desmosedici
Loris Capirossi sulla Desmosedici

Nel 2006 Ducati punta seriamente al titolo: Capirossi conquista tre vittorie ed otto podi chiudendo terzo un campionato che, senza il terribile incidente di Barcellona, forse avrebbe potuto vincere. La stagione si chiude sulle note della splendida vittoria a Valencia di Troy Bayliss, che rientra in MotoGP dopo due anni d’assenza e domina prove e gara con una facilità quasi sconcertante.

 

2007: il primo titolo e l’era Stoner

Il 2007, primo anno della categoria 800, è una vera doccia fredda per le Case giapponesi: Stoner domina la prima gara, la Desmosedici divora il rettilineo di Losail con una superiodità che fa sorgere addirittura qualche sospetto di irregolarità, e il resto del campionato è quasi leggenda. Dieci vittorie, quattro podi e cinque pole position fruttano a Casey Stoner il suo primo titolo iridato e porta a Bologna un Mondiale (anzi due, perché con il contributo di Capirossi e della sua vittoria a Motegi Ducati conquista anche l’iride nella classifica costruttori) su cui nessuno, fino al giorno prima, avrebbe mai scommesso. Ducati diventa la prima Casa non giapponese a vincere un titolo mondiale dal 1973.

L’anno successivo Stoner continua dove aveva lasciato, vincendo la prima gara e lottando per tutta la stagione con Valentino Rossi nonostante la Desmosedici si riveli meno competitiva per tutta la prima metà del mondiale. Alla fine i postumi di un infortunio e tre scivolate (fra cui quella della controversa gara di Laguna Seca, dove Casey riesce comunque a chiudere secondo) relegano la coppia Stoner-Ducati al secondo posto.

Il 2009 sembra l’anno del riscatto: in sella alla nuova Desmosedici Stoner vince la prima edizione della

Stoner e Ducati campioni del mondo a Motegi
Stoner e Ducati campioni del mondo a Motegi

 gara in notturna della storia della MotoGP, in Qatar, prosegue con un podio a Jerez e regala la vittoria al Mugello alla Ducati per la prima volta. Purtroppo è anche l’anno del problema fisico – poi attribuito ad un intolleranza al lattosio – che spinge l’australiano a prendersi una pausa di riposo che lo vede saltare tre gare. Il rientro è di quelli clamorosi, con il podio all’Estoril e due vittorie consecutive a Phillip Island e Sepang.

Nel 2010 Ducati torna alla configurazione Big-bang per il motore, nel tentativo di rendere più guidabile una Desmosedici che dall’avvento del monogomma fatica a sfruttare i suoi punti di forza. Stoner e Hayden faticano per tutta la stagione fino alla svolta di Assen, dove l’australiano inizia una serie di podi per poi vincere ad Aragon e chiudere il mondiale in crescendo, con tre vittorie interrotte solo da due cadute in Malesia e Portogallo. A fine anno, come del resto annunciato da inizio stagione, Stoner abbandona Ducati per passare in Honda e si apre l’era Rossi con un generoso Nicky Hayden a fare da trait d’union verso la nuova avventura.

 

Nel frattempo, in Superbike…

Con l’ingresso in MotoGP Ducati non molla certo la presa in SBK. La debuttante 999 domina il Mondiale 2003 con Neil Hodgson Campione del Mondo e Xaus vice; il titolo viene bissato l’anno successivo con James Toseland e Régis Laconi protagonisti di un duello durato fino all’ultima gara, a Magny Cours, che vede il britannico diventare il più giovane iridato di tutti i tempi in Superbike.

Il 2005 non sorride alla Superbike di Borgo Panigale, che vince qualche battaglia ma perde la guerra. Nel 2006 però il discorso cambia radicalmente: il ritorno di Troy Bayliss porta in casa Ducati dodici vittorie di manche e un altro titolo piloti. L’anno successivo però, Bayliss si infortuna nel tentativo di tenere la scia delle ormai superiori quadricilindriche e deve rinunciare al titolo iridato. Risolleva un po’ il bilancio Niccolò Canepa, che con la debuttante 1098 vince il titolo Superstock.

La 999 iridata con Neil Hodgson
La 999 iridata con Neil Hodgson

Nel 2008 la 1098 bissa il titolo SSTK nelle mani di Brendan Roberts, ma è Bayliss ad infiammare i cuori dei ducatisti. L’australiano chiude con il terzo titolo iridato (Ducati conquista anche quello marche) una carriera che lo ha visto salire sul podio 94 volte – di cui 52 sul gradino più alto – con tre generazioni di Ducati Superbike. Troy, amatissimo dal popolo rosso, resterà ancora fra i ranghi della Casa bolognese in veste di collaudatore ed istruttore della prestigiosa scuola guida DRE.

Il 2009 vede l’arrivo di Noriyuki Haga nel team ufficiale. Il giapponese, con otto vittorie e diciannove podi complessivi, lotta per il titolo ma un rocambolesco finale – complice lo “sgarbo” del compagno di squadra Michel Fabrizio a Imola – lo vede perdere sul filo di lana contro Spies. La terza vittoria consecutiva in Superstock, con Xavier Simeon, non riesce a cancellare l’amaro in bocca di un titolo della categoria superiore che a metà stagione sembrava ormai cosa fatta.

Il 2010 del team Superbike è durissimo: Haga e Fabrizio conquistano una manciata di manche e diversi podi, ma la classifica finale è impietosa e non all’altezza del blasone Ducati. La Casa bolognese a fine stagione decide di ritirare la squadra ufficiale dopo ventidue anni di partecipazione ininterrotta, per concentrare le risorse sullo sviluppo della nuova generazione della Superbike – quella Panigale che verrà svelata l’anno successivo e debutterà in gara nel 2012.

 

L’era Rossi

Quella che nelle intenzioni di molti avrebbe dovuto essere la consacrazione di un dream team, di un binomio da sogno, fin dall’inizio si dimostra avventura più difficile del previsto. Rossi soffre dei postumi dell’infortunio alla spalla nei test di Valencia, ridotti a poco più di una passerella per qualche giro, e l’operazione successiva lo lascia in forte necessità di recupero. Due podi, uno per Hayden a Jerez e l’altro per Rossi a Le Mans, entrambi in condizioni meteo quantomeno particolari, sono stati il magro bottino per la squadra bolognese per tutta la stagione.

Ducati e Rossi: un binomio mai decollato
Ducati e Rossi: un binomio mai decollato

Ducati ha costantemente evoluto la Desmosedici, vincolata però dai forti limiti ai test privati, arrivando ad anticipare sulla 800 diverse soluzioni nate per la 1000 in arrivo l’anno successivo. Nessuna delle operazioni ha sortito i risultati sperati: la Desmosedici è rimasta molto impegnativa da guidare, e non si è mai rivelata realmente competitiva essendo penalizzata da scelte tecniche particolari non più assecondate da uno sviluppo ad hoc degli pneumatici.

Tutt’altra stagione ha vissuto la Superbike, in cui Checa e la 1198 gestita dal team Althea di Genesio Bevilacqua sono tornati alla vittoria forti di ben 15 vittorie di manche. Per Ducati è stato il quattordicesimo iride in Superbike, sia pure conquistato con una squadra privata che integrava, comunque, diverse risorse precedentemente interne al team ufficiale.

Il 2012 parte sotto auspici ben diversi: nei test di Sepang pare che la Desmosedici, ancora più profondamente rivoluzionata rispetto all’anno precedente, abbia trovato la strada della competitività. In Qatar arriva però la doccia fredda: i problemi del 2011 continuano ad essere presenti, e Rossi vive un’altra stagione difficilissima.

Checa iridato nel 2011 con la 1198
Checa iridato nel 2011 con la 1198

I due secondi posti di Le Mans (sul bagnato) e Misano, dove però mancano Stoner e Pedrosa, e la squadra bolognese ha potuto provare nelle settimane precedenti, non bastano a risollevare il bilancio di una stagione di segno opposto a quello che era nelle intenzioni di tutti. L’avventura con Rossi si chiude così nel peggiore dei modi, con nessuna vittoria all’attivo e una separazione piena di rimpianti. Anche in Superbike non va meglio: la 1198, alla sua ultima stagione prima dell’avvicendamento con la rivoluzionaria Panigale, viene penalizzata da una zavorra di 6kg che impedisce a Carlos Checa di stare costantemente con i primi. Alla fine dell’anno lo spagnolo è solo quarto.

 

Il futuro?

L’arrivo della nuova proprietà Audi lascia ben sperare per le stagioni che verranno: in Germania sembrano avere idee chiare e, fallito il tentativo di tenersi stretti Valentino Rossi, procedono immediatamente ad una ristrutturazione del Reparto Corse Ducati.

La Superbike vede una riorganizzazione dello sforzo, con il team Alstare di Francesco Batta a gestire le 1199 ufficiali per Checa e Badovini. In MotoGP Hayden viene affiancato da Andrea Dovizioso, mentre il team Pramac viene “internalizzato” in veste di squadra test forte dei neoacquisti Ben Spies e Andrea Iannone. Non resta che attendere qualche settimana per l’avvio dei test MotoGP e della stagione Superbike vera e propria, consci che a nessuno, né a Bologna né ad Ingolstadt, piace perdere.

 

  • gas09
    gas09, tarano (RI)

    ducati ferrari!

    La ducati è quello che per le auto è la ferrari . esclusività immagine etc etc , cose che le altre case non hanno, tecnologicamente e anche sul piano prestazionale non sono minimamente inferiori anzi a volte la superano.Senza nulla togliere all'aprilia non c'è niente di più lontano dalla ferrari proprio per via del'immagine e dell'esclusività al massimo si puo' equiparare all'alfa romeo , tanto i suoi modelli passano di moda ed inosservati già poco dopo pochi giorni averli acquistati! E ve lo dice uno che ama l'aprilia, contentissimo della mia rsv 1000 r,ma questo cmq la accomuna alle altre case ! La ducati è la moto da avere quella che fa fermare ragazzini vecchi e ragazze ad ammirarla ,le stesse persone che si accorgerebbero di un altra moto solo se ci sbattessero contro mentre camminano. certo ora il solito pilotino dirà ma al vero appassionato queste cose non interessano ! si come no !!! a tutti piace fare il figo sulla propria moto,inutile negarlo, perciò se qualcuno vi si affianca con una ducati ,e di colpo la vostra moto sembra diventare invisibile....dai non prendetevela male, come si dice a Roma non rosicate!!!!!
  • varamolo
    varamolo, Montalto di Castro (VT)

    Il valore.....

    ....delle case italiane in campo sportivo non si discute. Quello che lascia perplessi è la loro politica aziendale che vuole essere di nicchia con moto che costano tantissimo e per pochi. Inoltre che senso ha fare moto da 20.000 euro se poi l'affidabilità e l'assistenza lasciano molto a desiderare? La mv agusta ad esempio, storia gloriosa alle spalle ma è passata più volte di mano per via degli elevati costi d'acquisto, le poche vendite, l'affidabilità e la penosa rete di assistenza. Pure Ducati è passata più volte in mani diverse. Stessa cosa per Aprilia che, come Guzzi fa capo alla Piaggio. Non bastano le corse per vendere occorre anche una valida politica ziendale se si vuole continuare nel tempo ad essere grandi anche perchè sono le vendite che ti permettono di investire e crescere in campo sportivo. In questo i Giapponesi sono maestri. I loro prodotti costano il giusto, sono per una fascia più ampia di clienti, sono affidabilissimi e supportati da una rete di assistenza capillare. Inoltre se si vuole andare in pista lo si può fare lo stesso senza spendere 20.000 euro , anche perchè sfido chiunque a tirar fuori da una Cbr 1000 tutto il suo potenziale se non si è piloti. La Honda costa 5000 euro meno della Panigale è un mezzo validissimo sia per strada sia in pista e soprattutto una moto che da confidenza ma non per questo meno sfiziosa da guidare. Insomma devi avere parecchi soldi da spendere se vuoi un'italiana e questo non avvicina certo i giovani alla moto, specie in un momento di crisi come quello attuale. Le Giapponesi poi riesci a portarle a casa anche con buoni sconti. Le aziende giapponesi non sono mai passate di mano sono sempre rimaste in casa. In conclusione: bellissime le italiane, prestigiose, tecnologiche ma per quanto ancora potremo essere orgogliosi di questo? Ducati non è più patrimonio italiano bensì teutonico.
Inserisci il tuo commento