Massimo Clarke: a Varano le più belle moto da corsa degli anni '50 e '60
Certi grandi personaggi e certe moto straordinarie si vedono solo a Varano, e non solo in esibizione statica ma anche in azione. L’evento organizzato dall’ASI sta assumendo una importanza sempre maggiore anche a livello internazionale, come confermato dalla presenza di piloti e mezzi provenienti dalla Germania, dalla Svizzera e dalla Francia, che sono andati ad aggiungersi a eccellenti rappresentanti della grande scuola britannica.
Non c’erano però solo le splendide moto da competizione degli anni d’oro, ma anche numerosi modelli stradali, alcuni dei quali davvero molto rari. Impossibile ovviamente elencare tutto, ma ecco alcune “chicche”, senz’altro meritevoli di attenzione.
I modelli più rari
Davvero bella e rara, anche se realizzata dalla casa senza la pretesa di farne un pezzo di grande pregio o
destinato a diventare particolarmente ambito, una Aermacchi-Harley Davidson 250 prodotta in un numero decisamente limitato di esemplari subito dopo la metà degli anni Sessanta e destinata agli appassionati americani. Si tratta di un modello studiato per le gare nel deserto e per quelle di short track, con una estetica entusiasmante ed essenziale, e con diverse caratteristiche di grande interesse, a cominciare dalla presenza di un magnete di accensione, collocato sul lato destro e debitamente protetto dal coperchio laterale. Il cilindro era già in lega di alluminio (in Italia le 250 stradali della casa varesina lo hanno sempre avuto in ghisa), la frizione era a secco e la testa era del classico tipo “piccolo” (mentre la Sprint a corsa corta, prodotta solo per gli USA, aveva la testa “grande”, poi impiegata per un certo tempo sulle 350 prodotte anche per il nostro mercato).
Un’altra 250 di notevole interesse era una bella NSU Supermax, costruita dal 1956 al 1963, ultima versione della famosa Max. Questa moto è passata alla storia per le sue eccellenti caratteristiche complessive (per diverso tempo è stata sicuramente la migliore quarto di litro della intera produzione mondiale) e per la sua distribuzione monoalbero comandata non da una catena o da una serie di ingranaggi, ma da un sistema con due bielle. La versione da regolarità, che è stata costruita in pochissimi esemplari, ha ottenuto eccellenti risultati (alcuni piloti l’hanno impiegata anche abbinata a un sidecar) e disponeva di una ventina di cavalli.
Tornando alle moto italiane, davvero splendida una Paton-Mondial 175 realizzata in pochissimi esemplari nel 1958-1959 da Giuseppe Pattoni e da Lino Tonti (che disegnò la testa e il castello della distribuzione
bialbero). L’esemplare in bella mostra a Varano è stato ritrovato in Arizona dal noto specialista Altinier che giustamente ha intenzione di non restaurarlo ma di mantenerlo nelle condizioni attuali. Pattoni lavorava per il reparto corse della Mondial e quando la casa si ritirò dalla attività agonistica ottenne dal conte Boselli, titolare dell’azienda, alcuni esemplari della 175 monoalbero destinati ai piloti privati che gareggiavano nelle competizioni di gran fondo e nei circuiti minori e le trasformò in bialbero, facendole diventare le prime Paton.
Classiche e sempre eleganti le AJS 7R di 350 cm3 sono state per molti anni l’arma preferita dei piloti privati nella loro classe di cilindrata, e a Varano non mancavano alcuni eccellenti esemplari. Queste moto, che avevano la distribuzione monoalbero con comando a catena, sono state messe in vendita attorno al 1953 (prima erano riservate ai piloti ufficiali), con un alesaggio di 74 mm e una corsa di 81 mm e con una potenza dell’ordine di circa 37 cavalli a 7800 giri/min. In seguito le misure caratteristiche sono passate a 75,5 x 78 mm; grazie allo straordinario lavoro di sviluppo compiuto da Jack Williams, al termine della evoluzione la potenza è passata a 41 CV a 7800 giri/min.
Tra le tedesche, spiccava anche una BMW Rennsport 500, con telaio a doppia culla continua dal nitido
disegno e motore bicilindrico boxer caratterizzato dalla distribuzione del tipo definito “monoalbero sdoppiato”. L’albero a gomiti azionava un albero ausiliario munito di un ingranaggio conico, dal quale il moto veniva trasmesso a due alberelli ausiliari che raggiungevano le teste; ognuno di essi comandava, tramite una coppia conica, un albero a camme, in presa con l’altro, ad esso adiacente, per mezzo di una coppia di ingranaggi (un bell’esempio di meccanica raffinata ma al tempo stesso costosa). Il basamento era in lega di magnesio e la potenza superiore ai 50 cavalli a un regime di 8500 giri/min. Il progetto del motore era dovuto ad Alfred Boening; lo sviluppo è stato soprattutto merito di Alex von Falkenhausen. Di queste moto ne sono state costruite e messe in vendita alcune decine nel 1954-55. L’attività ufficiale della BMW è terminata alla fine del 1955, ma le sue bicilindriche hanno continuato a ben figurare per diverso tempo nelle mani dei piloti privati. I motori boxer con distribuzione del tipo monoalbero sdoppiato hanno dominato a lungo la scena in campo sidecarristico, vincendo ben 19 titoli mondiali tra il 1954 e il 1974.
L’industria motociclistica elvetica era rappresentata da alcune belle Motosacoche e da un paio di saporite Condor, munite di motore monocilindrico MAG (sigla impiegata per i motori sciolti che la stessa Motosacoche, azienda che per diverso tempo è stata tra le più importanti del mondo, forniva ad altre ditte). In Svizzera sono stati attivi oltre sessanta costruttori di moto. Tra di essi un posto di rilievo spetta proprio alla Condor, che è stata fondata nel 1901 e ha raggiunto volumi di produzione interessanti negli anni Venti e Trenta (quando ha realizzato anche delle buone monocilindriche di 350 e 500 cm3 destinate ai piloti privati). Nel dopoguerra ha costruito anche una bella bicilindrica boxer e infine, a partire dai primi anni Sessanta, ha cessato la produzione propria per dedicarsi alla importazione di moto italiane.