Massimo Clarke: “Nembo 32, la moto con il 3 cilindri sottosopra”
Basta guardarla per rimanere strabiliati, sia per l’estetica che per le soluzioni tecniche impiegate, ben evidenti dato che la meccanica di questa tricilindrica sportiva è (volutamente) in bella vista.
Si tratta della Nembo 32, nata dalla passione e dalla inventiva di Daniele Sabatini, che ha voluto realizzare qualcosa al di fuori di qualunque schema precedentemente adottato, perfettamente in linea con chi sostiene che il conformismo è nemico dello sviluppo, e lo ha fatto non tanto per il gusto di costruire qualcosa di diverso ma in base a considerazioni tutt’altro che banali. Tra l’altro è importante considerare che la realizzazione di questa moto ha avuto costi considerevoli; si tratta infatti di un progetto completamente inedito, con relativa fase di costruzione, tanto della ciclistica quanto del motore, e di successivo sviluppo. Non siamo di fronte, in altre parole, a una moto costruita da un assemblatore, per la quale si è impiegato un motore prodotto da un’altra azienda e normalmente reperibile in commercio. Qui tutto è stato fatto ex-novo (e non poteva essere diversamente, data l’esclusività degli schemi). Dunque, il motore è stato progettato ad-hoc, sono stati realizzati i modelli per la fonderia, molte parti sono state lavorate dal pieno e via dicendo…
L’idea alla base della Nembo 32 è quella di produrre qualcosa di assolutamente unico, in grado di fornire prestazioni entusiasmanti, in numeri limitati. Moto costruite a mano e straordinarie anche a livello di dettaglio per i pochi appassionati che se le potranno permettere. Come accade in campo auto con le hypercar.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, Sabatini ha voluto realizzare qualcosa di decisamente lontano dalle architetture convenzionali. Tanto per cominciare, ha deciso di sviluppare un motore di grossa cilindrata, in grado di erogare una potenza analoga a quella delle attuali 1000 sportive senza dovere ruotare a regimi molto elevati e di fornire una coppia impressionante su di un ampio arco di regimi, con una straordinaria trattabilità. Attualmente siamo attorno ai 170 Nm, ma il motore è ancora nella versione di 1800 cm3. Per quella definitiva verranno realizzate nuove fusioni di testa e cilindri (quelli attuali tradiscono la loro derivazione automobilistica); pure il basamento e i coperchi laterali subiranno delle modifiche. La cilindrata salirà a 2000 cm3, con una potenza dell’ordine di 200 cavalli a soli 7500 giri/min.
Per quanto riguarda il frazionamento, Sabatini ha optato per tre cilindri, disposti in linea, soluzione che consente di ottenere un motore dalla forte personalità e con un sound di scarico eccezionale. Il raffreddamento ad aria è stato adottato sia per ragioni estetiche (non c’è niente da fare, per le moto con la meccanica in vista un motore con le alette è un’altra cosa…) sia perché in effetti non ce ne era bisogno. Data la rilevante cilindrata, la potenza prevista può esser ottenuta tranquillamente senza dover ricorrere alla refrigerazione a liquido. Non sono neanche necessarie quattro valvole per cilindro e due alberi a camme. E infatti la distribuzione è monoalbero, con comando a catena (più coppia di ingranaggi) collocato lateralmente.
Le teste e i cilindri sono rivolti verso il basso perché in questo modo è possibile sostituire la parte principale del telaio con il basamento. Sabatini crede fermamente in questa soluzione, che in pratica consente di collegare direttamente, tramite il motore, il traliccio in tubi recante il cannotto di sterzo con il forcellone oscillante (il cui fulcro è ricavato nella parte posteriore del basamento).
È interessante osservare che lo schema costruttivo con cilindri e teste in basso ha avuto in passato un notevole successo in campo aeronautico. Per quanto riguarda i motori con cilindri in linea (longitudinale) e raffreddamento ad aria, sono rimasti particolarmente famosi quelli realizzati negli anni Trenta per aerei leggeri, da volo acrobatico e da addestramento da aziende come la De Havilland (Gipsy, costruito su licenza anche dall’Alfa Romeo), la Isotta Fraschini, la Menasco e, specialmente, la Argus e la Hirth, entrambe tedesche.
Come logico, la lubrificazione è a carter secco, con pompe di recupero di grande portata, non solo per mantenere bene asciutta la camera di manovella, ma anche per evitare un eccessivo accumulo di olio nella testa. Siccome i motori a tre cilindri in linea non sono perfettamente equilibrati, è stato adottato un albero ausiliario di bilanciamento dotato di due masse eccentriche. I condotti di aspirazione sono rivolti in avanti e confluiscono in un collettore, collocato superiormente, nel quale è collocata una singola valvola del gas a farfalla di grandi dimensioni (soluzione cara alla scuola automobilistica). I serbatoi del carburante e del lubrificante sono collocati sotto il finto serbatoio, che forma un’unica struttura (in fibra di carbonio) con la sella e il codino.
Grande attenzione è stata dedicata alla centralizzazione delle masse. Per questo motivo si è cercato di limitare per quanto possibile l’ingombro del motore, cosa non facile se si considera la cilindrata, in particolare per quanto riguarda la lunghezza. Nella parte ciclistica spicca il forcellone in fibra di carbonio della lunghezza di ben 680 mm. L’interasse è stato contenuto in 1450 mm e anche questo è un eccellente risultato, come pure quello relativo al peso, che nella versione definitiva dovrebbe essere di circa 160 kg.
Bella ma....
La ciclistica va contro gli ultimi dettami di scuola giapponese che prevedono un telaio a flessibilità laterale controllata indispensabile agli angoli di piega più elevati (vedi la saga Ducati motoGP....non ancora terminata!). La cilindrata le permette di confrontarsi con.....nessuno!
Non parliamo poi della potenza specifica... Comunque tanto di cappello per aver costruito una moto partendo da zero! Questo è notevolissimo.
Figurone.....
hahahahaha...... un vera figata.........!!!!!!!!!