Moto sovralimentate. Ma insomma, quando arrivano?
Se ne parla con una certa frequenza, da un po’ di tempo a questa parte.
Negli anni Ottanta, quando i costruttori giapponesi hanno messo in produzione le prime moto turbo, i tempi non erano ancora maturi, ma oggi la situazione è cambiata. Per quanto riguarda le potenze specifiche dei motori di serie, tutti aspirati, le possibilità di ulteriori incrementi appaiono ormai modeste.
Inoltre, aumentando le prestazioni di punta si riduce il campo di utilizzazione. Non per nulla sono stati sviluppati sistemi di aspirazione con trombette telescopiche e distribuzioni a fasatura variabile.
Utilizzando i compressori però si può fare ancor meglio anche sotto questo aspetto (come dimostrato dal settore automobilistico), oltre che per quanto riguarda la potenza massima.
Non sembra quindi improbabile che qualche costruttore stia pensando seriamente alla sovralimentazione, che del resto in campo auto sta vivendo un’epoca d’oro. Grazie a essa si può aumentare notevolmente la potenza massima senza variare la cilindrata del motore. Oppure si può ottenere una erogazione molto più corposa, con forte coppia anche ai medi regimi, ferma restando la potenza di punta. O tutte e due le cose… In campo auto certi motori hanno caratteristiche di erogazione straordinarie, con la coppia massima che rimane tale (già da un regime assai basso) per gran parte del campo di utilizzazione!
Che i costruttori giapponesi stiano lavorando da tempo anche sulla sovralimentazione è certo, ma non è chiaro con quale reale convinzione. Insomma pensarci è una cosa ma arrivare poi alla produzione di serie è un’altra.
A oggi la sola Kawasaki costruisce moto sovralimentate e lo fa ricorrendo a un compressore centrifugo azionato meccanicamente. La scelta che può lasciare un poco perplessi, soprattutto se si pensa che la stessa casa per le sue moto d’acqua più performanti utilizza un compressore volumetrico, ma pare che i risultati siano ottimi.
Per il momento si possono fare solo alcune considerazioni generiche in merito alla sovralimentazione nel nostro settore, ma prima occorre sottolineare che molte notizie delle quali possiamo disporre si basano sui brevetti e che le informazioni che si ottengono in questo modo vanno prese con grande “beneficio di inventario”. Basarsi su di essi è spesso fonte di errori e non di rado risulta addirittura fuorviante.
La maggior parte dei brevetti rimane sulla carta e in molti casi ciò può essere una fortuna. Nel bel libro di Cloosterman e Klasen sulle distribuzioni desmodromiche, frutto di uno straordinario lavoro di ricerca, viene riportato un considerevole numero di brevetti rilasciati nel corso degli anni a costruttori come Ford, Volkswagen, Porsche, Suzuki e Honda.
A parte il fatto che alcuni fanno semplicemente cascare le braccia (per la serie “ma cosa avevano bevuto?”), nessuno di essi ha trovato applicazioni pratiche. Questo tanto per rendere l’idea…
I brevetti dei costruttori giapponesi sembrano mostrare approcci differenti. Ognuno di essi propone cioè una strada diversa.
Piuttosto avanti con le sperimentazioni è la Yamaha, che in effetti ha giù realizzato un prototipo a tre cilindri di 850 cm3, dotato di turbo e di intercooler. Il motore bialbero con un alesaggio di 73 mm e una corsa di 67,5 mm è a iniezione diretta e ha la distribuzione a fasatura variabile, come la maggior parte dei motori automobilistici odierni. Per quanto riguarda le prestazioni, si parla di una potenza superiore a 175 CV a 8500 giri/min, corrispondenti a oltre 205 CV/litro, e di una coppia addirittura prossima a 180 Nm.
Gli attuali 1000 sportivi a quattro cilindri hanno potenze analoghe (o solo lievemente superiori) ma una coppia massima che generalmente non supera valori dell’ordine di 118 Nm. Che l’obiettivo dei tecnici sia quello di ottenere un campo di utilizzazione straordinariamente ampio, all’interno del quale poter disporre di un “tiro” mostruoso, è confermato dal fatto che tra i 3000 e i 7000 giri/min è disponibile oltre il 90% della coppia. Lo sviluppo procede ma prima di vedere una eventuale versione definitiva della moto pare che si dovrà aspettare almeno il 2022.
Anche la Suzuki sembra essere piuttosto avanti nello sviluppo di una moto turbo. Sette anni fa ha mostrato il manichino di un bicilindrico di 600 cm3 da 100 CV dotato di intercooler e in seguito ha presentato al salone di Tokyo un altro prototipo denominato XE 7, sempre bicilindrico ma con cilindrata di 700 cm3. Un recente brevetto mostra come la casa di Hamamatsu ipotizzi addirittura l’impiego di un telaio (in questo caso a culla doppia) con tubi di grande sezione, da utilizzare per il collegamento fluidodinamico al compressore del turbo.
Probabilmente l’ultima parola spetterà al marketing (tanto per cambiare), ma non sono da escludere novità in questa direzione entro un paio di anni.
Molto interessante, a giudicare dal brevetto, è la soluzione proposta dalla Honda. In questo caso la sovralimentazione viene ottenuta non per mezzo di un turbocompressore ma utilizzando un compressore volumetrico, a vite o con due rotori elicoidali (come quelli dei recenti Eaton, trilobati e con un avvitamento di ben 170°).
Questo dispositivo è piazzato dietro il blocco dei due cilindri in linea; nel disegno del brevetto inoltre non si nota la presenza di alcun intercooler.
L’impiego di un compressore volumetrico consente di ottenere una elevata pressione di alimentazione già ai bassi regimi e assicura sempre una pronta risposta all’azionamento del comando del gas; risulta quindi OK anche per i grandi enduro stradali. Spicca l’adozione di un sistema a doppia iniezione, con un iniettore che spruzza il carburante nel condotto di aspirazione e un altro che lo immette direttamente nel cilindro.
Diversa ancora, sempre stando ai brevetti, potrebbe essere la strada ipotizzata dalla BMW. La casa tedesca ha una esperienza straordinaria nel campo della sovralimentazione (basta pensare ai successi motociclistici d’anteguerra con i volumetrici a palette e al primo mondiale di Formula Uno dell’era Turbo, nel 1983).
Ora pare che stia pensando a un compressore centrifugo azionato da motore elettrico, cosa che consente di svincolarne la velocità di rotazione da quella del motore e assicura una grande prontezza di risposta. Proprio quest’ultima è la ragione che ha fatto adottare questi dispositivi in abbinamento ai turbocompressori in alcune vetture delle ultime generazioni.
Come ovvio un compressore di questo genere non può essere utilizzato continuamente, ma solo in determinate situazioni. Inoltre, ci vogliono un alternatore adeguato e batterie di notevoli dimensioni…
Giova ricordare che nel 1980 la BMW aveva presentato a Colonia una dream bike con ciclistica innovativa e il classico boxer sovralimentato da un turbocompressore. Rispetto alla versione aspirata la potenza del motore di 800 cm3 aumentava del 50%.
Certe volte viene spontaneo pensare che in Giappone si possa brevettare quasi tutto (e quindi anche ciò che esiste da tempo). Merita allora un cenno un brevetto della Kawasaki che prevede un motore a due tempi a lavaggio unidirezionale con distribuzione bialbero (a quattro valvole per cilindro e dotato di compressore) che aziona un generatore di corrente elettrica, la quale viene in seguito convertita nuovamente in energia meccanica.
Non è stato pensato per un impiego motociclistico (come del resto l’EXlink della Honda, nel quale il rapporto di espansione è maggiore di quello di compressione grazie a un manovellismo articolato), ma per installazioni fisse, usi industriali, etc…
Già, una bella soluzione ibrida, peccato che i locomotori diesel-elettrici (largamente impiegati negli USA) la usino fino dagli anni Trenta del secolo scorso.
Certo far lavorare il motore termico a un regime costante (o quasi) è vantaggioso ai fini del rendimento e quindi dei consumi.
Non si può non ricordare però che, a pari velocità di rotazione, nei due tempi dotati di valvole queste devono aprirsi un numero doppio di volte, rispetto a quanto accade nei 4T.
Insomma, questi motori devono girare decisamente piano.
da un Morimista come te mi aspetto qualcosa sulla bella Morini 500 Turbo.
La vidi al Salone e da possessore di un 3 1/2 gli occhi mi uscirono dalle orbite; ma piaceva anche ai nippomani e se non sbaglio fu ritenuta la più bella del salone.
Aveva un sistema interessante con la possibilità di escludere il turbo (immagino con quale esito, dato che sarebbe rimasto solo un aspirato poco compresso).
La Morini fu pioniera negli studi, applicando anche un volumetrico al 125, poi fu data la priorità al Kanguro che vendette moltissino e, come tutti i Morini, andava molto bene.
Conservo ancora il manifesto, con la moto di un bel verde metallizzato; diceva "Morini, è tutta italiana, e si vede!". Era vero.
Per fortuna non tutto è andato perso; la linea affascinante (la prima con il cupolino integrato al serbatoio e non appeso alla forcella) è stata trasferita, pur senza la finezza degli scarichi sotto sella, da Ricciuti sull'imponente Laverda 1000 RGS (per alcuni Real Gran Sport, per altri Ricciuti Giuseppe Studio, forse erano veri entrambi) che acquistai svenandomi e che ancora guido con grande piacere mio e di quelli che la vedono.
Saluti