Nico Cereghini: "La bici, la moto e la passione"
Ciao a tutti! Lo splendido video che il nostro sito ha pubblicato la settimana scorsa (guardalo qui), con Meò e Fontana, in moto e in bici, sui percorsi spettacolari dell’off road, mi ha suggerito un pensiero sulla doppia passione. Anch’io sono stato un amante della bici e però, nel mio caso particolare, la bicicletta è stata quasi del tutto abbandonata quando è arrivata la prima moto. Certo, tutti i ragazzini passano dalla bici inforcata nei giardinetti al motorino, ma non è questa la mia esperienza: io sono stato un ciclista “impegnato”, viaggi e imprese al limite, e poi un motociclista completamente diverso.
La bici, per me, era il mezzo per andare il più lontano possibile. Via da una famiglia troppo numerosa e rumorosa, via dalla città e dai libri di scuola, con la convinzione che il meglio fosse altrove. La bici per andare. Già con la biciclettina e le ruote da 14, invece di andare al parco sotto casa, pedalavo forsennatamente fino a che mi perdevo; il bello era trovare la via del ritorno da zone sconosciute della città. Poi uno zio mi regalò una sua vecchia bici con il cambio al mozzo, una cosa enorme e pesante, e con quella mi sciroppavo da 100 a 120 chilometri in un pomeriggio: andavo a Lecco, a Como, a Pavia, dove capitava.
Poi un conoscente cominciò a prestarmi, sempre più malvolentieri, una bici da corsa con dieci rapporti, e lì toccai il cielo con un dito. A quattordici anni partivo il sabato per Lugano, dove si era trasferito il mio migliore amico, e tornavo la domenica sera. Tre ore per andare e tre ore per tornare. Spesso si faceva buio e fari non ce n’erano. “Quando arrivi, chiama!” si raccomandavano i miei. Naturalmente non l’ho mai fatto. Un’estate andai a trovare degli amici a San Remo. Sono 270 chilometri e per fortuna mio padre mi convinse a tagliarne almeno 70, prendendo il treno fino a Tortona. Sul Turchino camminai a lungo di fianco alla bici. Andavo sempre solo, nessuno pareva ansioso di sciropparsi tutta quella fatica.
Con queste premesse, dico io, la moto avrebbe potuto trasformarmi in un grande viaggiatore.
Uno da giro del mondo. Invece è scattata tutta un’altra scintilla, e dopo le prime confuse esperienze (motorino da panettiere, Gilera 98 trasformata malamente da enduro e cose così) eccomi smanioso soltanto di correre, di correre in pista. Sì, qualche viaggetto l’ho anche fatto, negli anni, ma la moto è diventata per me soprattutto uno strumento per esprimermi. Non, come era la bici, per andare; ma piuttosto per migliorare, crescere, e alla fine anche campare.
Quanti modi per vivere le passioni a due ruote. Ci sono molti motociclisti che amano anche la bici, altri invece che non la possono vedere, e quando incrociano i velo- amatori che arrancano in gruppo occupando mezza strada meditano la vendetta. Poi si può essere ciclisti in un modo e motociclisti in tutto un altro. E anche tra noi motociclisti ci sono differenze sostanziali: tra il viaggiatore e il pistaiolo sembrerebbe esserci poco in comune, però ho conosciuto un fanatico Harleysta che la domenica andava a girare in pista con le supersportive. Niente è scontato.
dr. jekyll e mr hyde
Quando sono in moto su asfalto non sopporto i ciclisti che viaggiano appaiati - anche in 3 - sulle strade di montagna che portano ai passi alpini, o quelli che trasformano la lungolago in una tappa del tour (con tanto di ammiraglia al seguito..).
Quando pedalo nei boschi odio i motociclisti che scavano e rovinano i sentieri e smuovono le pietre sulle mulattiere, sgasando e non rallentando quando incrociano gente.
Un giorno o l'altro finisce che mi picchio...
sempre 2 ruote