Nico Cereghini ci racconta gli anni Settanta, 4ª puntata
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E’ del 1976 una delle Guzzi più popolari e di successo, una moto ricercata ancora oggi: la Le Mans. Di questa sportiva sono state prodotte quattro versioni: dalla I fino alla III con il motore 850, e poi l'ultima, dell’84, che salì a 1000, aveva i carburatori grossi e la ruota anteriore da 16 pollici che non convinse. Ma la prima Le Mans, con il suo cupolino, il faro tondo, il sellone monoposto, le ruote a razze e la frenata integrale fece davvero scalpore e in un certo senso raddrizzò la Guzzi, che il discusso Alejandro De Tomaso aveva spinto verso le frazionate anti-giapponesi… Che assurdità: invece quel grosso V dai cilindri imponenti aveva più di 70 cavalli, la moto filava a quasi 210 all’ora e non pesava troppo, sui 215 chili. Era stabile e sincera, una vera Guzzi.
Pensate, già allora si sussurrava che la Moto Guzzi avrebbe lasciato la sede di Mandello Lario, e che la galleria del vento e i vecchi capannoni sarebbero stati rasi al suolo per edificare un quartiere residenziale… Allarme! Speculazione! Invece per fortuna la Guzzi è ancora lì, ma certamente ha perso molti treni. Cosa sarebbe diventata nelle mani, mettiamo, di Giancarlo Morbidelli? Ecco un vero fenomeno del made in Italy!
Macchine per la lavorazione del legno, questo produceva Morbidelli a Pesaro. E vendeva in tutto il mondo. E allora, appassionato di moto e di meccanica, si mise a fare quello che davvero sognava: le moto da corsa Morbidelli. Reparto corse e bottega. Dalla piccola 50 di Lazzarini (1969) alla bicilindrica 125 che nel ’70 già vinceva i GP con lo sfortunato Gilberto Parlotti, morto al TT nel ’72 quando era leader in classifica. Poi arrivò a Pesaro il “mago” tedesco Jorg Moeller, potenza e affidabilità, e furono tre stagioni trionfali in 125 con Pileri e Bianchi e 25 vittorie. Giancarlo Morbidelli non ne aveva abbastanza e allora fece preparare la 250, subito iridata con Mario Lega al primo anno, 1977, davanti alle HD ufficiali di
Villa ed Uncini. E con quella 250, nel ’79, si fece ammirare Graziano Rossi; proprio lui, il babbo di Valentino. Tre vittorie, ma le Kawasaki erano superiori: l’estroso e intelligente “Grazia” fu vice-campione del mondo proprio con il numero 46 sulla carenatura, e intanto portò all’esordio la Morbidelli 500 quattro cilindri. Perché Giancarlo volle pure quella, ma il progetto era forse troppo ambizioso e tutto sfumò. Ma che bella storia che è questa! Soltanto negli anni Settanta, con quell’entusiasmo e i costi relativamente bassi, poteva succedere una cosa così.
Ma tornando alle moto normali, un altro mito di quegli anni è il Caballero della Fantic. Perchè le moto da regolarità non mancavano di certo (Puch, KTM, SWM, Zundapp erano già allora le più ammirate), ma fin da quando il Caballero era apparso al salone di Milano del 1969, fu chiaro che i 14enni avevano trovato finalmente la moto per loro. Brividi! Era alta, grande, con il motore Minarelli 4 marce, ma abbordabile. Sarebbe durato fino all’81, il fenomeno, e la terza versione del ’73, con la sua brava marmitta a sogliola sul lato
destro e la copertura cromata anti-scottature, e i parafanghi d’acciaio, è ancora adesso meravigliosa per molti. Da notare che la Fantic di Barzago salì di cilindrata, ma il Caballero 125 non ebbe la stessa fortuna e poi stava scoppiando il fenomeno del trial e ci si dirottò su quello.
L’enduro tirava (anche se lo chiamavamo Regolarità): Gritti e Brissoni e il loro capitano Taiocchi erano i nostri eroi pieni di polvere e fango, le punte della scuola bergamasca, le manette mondiali. Nel cross invece c’era un belga che dominava, Roger De Coster. Un Cairoli degli anni Settanta. Aveva iniziato con la CZ, Roger, poi passò alla Suzuki e cominciò a vincere: cinque titoli mondiali della 500 tra il ’71 ed il ’76, cinque medaglie d’Oro nel Cross delle Nazioni, quattro volte primo nell’AMA. Veloce, intelligente, innovativo, era spesso in Veneto per stivali e abbigliamento. Dal ’99 nella Hall of Fame.
anni '70
anni '70