Nico Cereghini: "Quando il rischio è un pezzo della passione"
Ciao a tutti! Sono tanti i commenti sulla vicenda di Dovi e il suo incidente di domenica. Tra i tanti leggo "l'allenamento col cross va bene, ma la gara proprio no", e ancora "la Ducati non doveva dargli il permesso". Quelli che lo criticano sono in netta maggioranza, anche se qualcuno gli viene incontro e dice: "Se non amasse il rischio si darebbe alla freccette". È il punto è qui.
Davanti a certi casi clamorosi, nel tentativo di capirli, noi banalizziamo la vicenda e la riportiamo al nostro livello di osservatori comuni. Ma questa non è gente comune. Non è comune il Dovi come non lo è Alex Zanardi che in questi giorni sta lottando in terapia intensiva circondato dall'affetto e dalla speranza di tutti. Come non lo è Schumacher.
Zanardi. Per lui l'handbike significa fare ancora dello sport ad altissimo livello, partecipare alle Paraolimpiadi e vincere tutte quelle medaglie; ma lui è il campione di uno sport come l'automobilismo, e naturalmente io non so come sia andata di preciso quel giorno sotto Pienza, ancora nessuno lo sa, ma se provo a mettermi nei suoi panni, da ex pilota, di sicuro so una cosa: che una bella curva in discesa, su un bel percorso misto, rappresenta una magnifica tentazione alla quale è quasi impossibile resistere. Alex è stato solo sfortunato? Oppure ha sbagliato e andava troppo forte? Chissà, ma non siamo all'altezza di giudicarlo.
E un altro campione come Schumi. La F1 e poi la moto e lo sci. Schumacher non ha forse tentato in tutti i modi di diventare pilota di moto, flirtando con il rischio, andando molto vicino a farsi male davvero, quando ha chiuso con la F1? E lo sci. Certo, per qualcuno è uno sport e per lui doveva essere un semplice hobby. Quel giorno c'era una bella pista liscia, larga, facile, per famiglie, e poi c'era un taglio un po' rischioso tra i sassi... Un taglio che chiamava, Schumi non andava forte, soltanto un piccolo brivido quotidiano per un campione. Purtroppo quel giorno è stato molto sfortunato.
Dovi ama il rischio e ama il motocross. È naturale per lui mettere le due cose insieme. Ma anche Ducati ama il rischio. Certo, adesso uno può dire: dovevano negargli questa gara. E qualcuno adesso in Germania lo sgriderà pure. Ma non era così facile, il Dovi avrà detto "state tranquilli, so quel che faccio, starò lontano dai guai". E magari Domenicali e i suoi non gli avranno creduto fino in fondo, probabile, ma hanno deciso comunque di correre il rischio, perché il rischio fa parte anche del loro DNA e di quello della Ducati, da sempre.
Nel 1972 cosa hanno combinato alla Ducati con la 200 Miglia di Imola, culla delle supersportive di oggi? Potevano anche fare come le altre case, di fronte a una formula nuova e difficile, potevano dire di no oppure partecipare indirettamente per non esporsi. Invece hanno rischiato, si sono impegnati come pazzi senza ragionare su budget e ritorni, per pura passione. E hanno vinto, e da lì è partita una storia di successi. E la MotoGP? Senza le grosse produzioni alle spalle come i giapponesi, e con tutto il gap da colmare, uno poteva anche dire "ma chi ve lo fa fare?". Per fortuna ci hanno provato comunque, assumendosi il rischio.
Insomma, giudicare è facile. Ma prendersi il rischio, fino a dove e fino a quando, è una impresa più difficile e però molto affascinante.
Se si porta la moto al limite che sia in un allenamento o in una gara non cambia nulla, il rischio è sempre lo stesso.
Del resto quanti sportivi si sono infortunati in allenamento?
A parte queste considerazioni mi dà fastidio l'ipocrisia di tanti.
Andare in moto è pericoloso, la caduta è in agguato in ogni momento, l'infortunio è una possibilità che tutti i motociclisti devono mettere in conto, anche i più "tranquilli".
Cosa vuol dire "se l'è andata a cercare"? Allora tutti i motociclisti che hanno avuto incidenti se la sono cercata?