SUZUKI GSF 650 Bandit
La "prima moto" perfettaLa Suzuki Bandit in tutte le versioni, sebbene non abbia mai incontrato il gusto dei motociclisti italici più “raffinati”, è comunqe sempre stata apprezzata come moto “entry level”. Comunque sia, i migliori consensi li ha ricevuti oltralpe, ove si bada meno all’apparenza e più alla concretezza.
Giusto o sbagliato che sia questo modo di concepire e giudicare la moto, la Suzuki anche in quest’ultima versione da 650 cc fa poco per scaldare gli animi dei motociclisti nostrani. Per i freni la Bandit 650 può contare su una coppia anteriore di dischi flottanti da 290 mm, con pinze a due pistoncini, mentre dietro è montato un disco da 240 mm con pinza a due pistoncini contrapposti.
Buono il livello delle finiture, soprattutto tenendo conto del prezzo di acquisto di 6.100 Euro quotazione allettante e probabilmente “trattabile” al momento dell’acquisto.
Abbastanza completa la strumentazione, con due superclassici strumenti circolari, uno analogico per il contagiri e l’altro che racchiude un display multi funzione a cristalli liquidi. Su quest’ultimo si visualizzano i due contachilometri (parziale e totale) il tachimetro, il livello carburante e l’orologio.
La posizione di guida è meno sportiveggiante di quanto non prometta il look. Busto eretto, pedane moderatamente arretrate e manubrio alto, mettono in chiaro la destinazione moto-turistica della 650 Suzuki.
Il quattro cilindri Suzuki si avvia senza problemi, ma pretende di essere ben caldo per esprimersi al meglio e regolarizzarsi nell’erogazione.
Una volta raggiunta la temperatura di esercizio, il propulsore della Bandit si fa apprezzare per la fluidità di comportamento e la buona coppia ai medi regimi.
Ottime le doti “slalomistiche” della Bandit nel caos cittadino, i 224 chili in ordine di marcia non si sentono più di tanto e complici la sella relativamente bassa da terra e l’ampio manubrio, è facile destreggiarsi nel traffico. La gommatura non esagerata, 120/60-17 e 160/60-17 rappresenta un ulteriore aiuto nelle curve più strette.
Come tutte le naked, anche la Bandit soffre le alte velocità, a causa della totale mancanza di qualsivoglia riparo aerodinamico. 130 km/h è il classico limite oltre il quale l’aria diventa fastidiosa e “martellante”. A peggiorare la situazione nei trasferimenti autostradali, però, ci pensano le vibrazioni, presenti sia sulle pedane (con rivestimento in gomma…) ma soprattutto sulla sella.
Esteticamente piacevole, la naked giapponese mette in mostra una linea sviluppata attorno al caratteristico telaio doppia culla in tubi d’acciaio, sul quale poggia il rastremato serbatoio della benzina. Sfuggente e spigoloso il codino, che slancia il posteriore del “Bandito”. Peccato solo per il maniglione dedicato al passeggero, che non spicca per ricercatezza nel design e stona con il profilo del posteriore.
Altro punto saldo nel look, è di sicuro il quattro cilindri in linea raffreddato aria-olio, protagonista estetico con la sua caratteristica “alettatura”.
Il bialbero sedici valvole da 656 cc non ha visto incrementare la potenza nei confronti del precedente 600, siamo sempre poco sotto i 79 cv, ma il dato riguardante la coppia ha subito un notevole incremento 59,2 Nm rispetto ai precedenti 54 sono già un buon risultato. Ma è soprattutto il regime a cui viene erogata la coppia che va sottolineato, 7.800 contro 9.000 rappresenta un miglioramento netto.
- Esteticamente piacevole, la naked giapponese mette in mostra una linea sviluppata attorno al caratteristico telaio doppia culla in tubi d’acciaio
Oltretutto questo propulsore, nei confronti del predecessore ha ricevuto una serie di modifiche per migliorare erogazione e piacere di guida. Prima tra tutte la sostituzione delle “vecchie” canne cilindro in ghisa con delle più moderne in alluminio con riporto superficiale SCEM, dotate di pistoni con segmenti anch’essi con rivestimento speciale, che, dissipando meglio il calore e contenendo gli attriti di funzionamento migliorano le prestazioni del propulsore. L’alimentazione è affidata ad una batteria di carburatori Keihin da 32 mm, mentre l’accensione è coadiuvata dal sistema TPS che regola l’anticipo in base all’apertura dell’acceleratore. A tenere a bada le emissioni inquinanti entro i limiti della normativa Euro 2, oltre all’immancabile catalizzatore, ci pensa anche il sistema Pair, che immette aria fresca direttamente nel condotto di scarico.
Pochi slanci ma molta concretezza per quanto riguarda il reparto sospensioni, forcella teleidraulica con steli da 41 mm regolabile nel precarico, forcellone ad azione progressiva con mono registrabile nel precarico e nel freno idraulico.
Il comportamento della ciclistica nell’utilizzo extraurbano e autostradale, è sempre sincero e poco impegnativo, l’importante è evitare di forzare troppo l’andatura guidando “sporchi”. Infatti la forcella mal digerisce la guida a scatti tipica dei ritmi “audaci”. Anche lavorando sul precarico l’avantreno tende sempre ad affondare troppo e …rapidamente. Meglio allora disegnare traiettorie rotonde e sfruttare la coppia del motore, piuttosto che tirare le marce allo spasimo e scomporre la moto in inserimento e percorrenza di curva.
Gli spazi di frenata non sono male, anche se la tendenza al bloccaggio del pneumatico anteriore di primo equipaggiamento sono una costante nelle staccate più tirate, mentre lo sforzo da applicare alla leva è superiore alla media. Migliore il comportamento del freno posteriore, pronto e potente ma sempre modulabile.
Questa moto rappresenta un’ottima entry level, la classica prima moto, ma anche la moto di tutti i giorni, solida, facile ed affidabile.
Per il motociclista che bada al sodo piuttosto che alle apparenze , che a dirla tutta non sono poi così male…anzi.
- Rapporto qualità-prezzo
- Vibrazioni ai medi e alti regimi
Non sarà una delle moto più ammirate, ma la sua stretta cerchia di estimatori se l’è creata