Intervista

EWC 2015. GP d’Italia. Parla Antoine Meo

- Il Trofeo assegnato dal Moto Club Bergamo ad Antoine Meo parla chiaro: l’ufficiale KTM è stato il più veloce di tutti. Non è la prima volta, ma questa è davvero speciale, come il Gran Premio d’Italia
EWC 2015. GP d’Italia. Parla Antoine Meo

Rovetta. La coppa più grande del Gran Premio d’Italia è un affare privato tra il Moto Club Bergamo e il più veloce nella somma delle prove speciali del mondiale di Rovetta, in questo caso Antoine Meo. Per una volta ufficiale, seppure con l’escamotage del premio specifico della 42esima Valli Bergamasche, la coppa che premia la prestazione superlativa del Pilota ufficiale KTM-Farioli è un trofeo particolarmente ambito, che il campione francese culla e apprezza come un certificato, il documento della sua supremazia. Una supremazia ri-ottenuta con molto sacrificio. E passione per l’enduro.

 

Antoine, gara bellissima, livello eccezionale. Di questo livello crescente dell’enduro mondiale tu sei uno degli artefici. Come mai ti sei fatto batter il primo giorno, e come hai reagito il secondo?

«Eh, eh, erano tre giornate che perdevo. Certo, il livello si è alzato molto. Renet si è allenato tanto ed è sempre più vicino. A dire la verità è dal 2009 che non combatto così per una vittoria. Adesso l’Enduro è diventata una guerra sulle speciali ma anche psicologica. Direi che nelle sconfitte c’è stato il voler fare un po’ troppo, e quindi perdere un po’ il controllo della situazione. Forse ci tenevo troppo a far vedere che sono il più veloce e sbagliavo. Invece domenica a Rovetta sono riuscito finalmente a fare una gara perfetta. La mattina ho preso subito un po’ di vantaggio, e l’ultimo giro, con 15 secondi di vantaggio da gestire, sono riuscito a guidare ancora meglio. Una giornata molto forte, e credo che in quella circostanza ho prevalso su Renet sul piano mentale. Bello, però, così è ancora più bello».

 

L’estrema era bellissima, il cross test molto tecnico. E qui il controllo “tirato” è sempre mitico. All’inizio si faceva ancora bene, poi si è scavato ed è diventato più pericoloso. Gli organizzatori hanno reagito bene

E davvero così bello il Gran Premio d’Italia? Parlo di livello tecnico ma anche dell’atmosfera

«Sì. Direi proprio dio sì. L’estrema era bellissima, il cross test molto tecnico. E qui il controllo “tirato” è sempre mitico. All’inizio si faceva ancora bene, poi si è scavato ed è diventato più pericoloso. Gli organizzatori hanno reagito bene e, subito, hanno aggiunto un po’ di tempo ed è tornato perfetto. L’Enduro test, la “linea”. Quando l’ho “camminata” la prima volta mi sono detto: “Porco cane, questi sono matti!”. Ma alla fine è venuta fuori una vera speciale. Una salita molto veloce, ma larga, e una discesa da “pelo”, faceva paura. E dell’atmosfera neanche parlare, è incredibile. Bellissima gara!».

 

Ecco, siamo in argomento. Dici che la discesa della “linea” faceva paura, ma a vederti giù in picchiata quello che faceva paura eri tu. Su quella discesa hai reso evidente quel fossato che c’è tra pochissimi piloti, e tutti gli altri

«In Grecia, l’avevamo già visto. Ho perso due volte per meno di cinque secondi. Ci siamo accorti che abbiamo alzato il livello e che Alex aveva già preso un po’ di distacco. A Bergamo, quando guardi la classifica assoluta, il divario fa paura. Siamo tutti e due, Renet e io, ad un livello che non possiamo ritenere al limite perché nessuno dei due è caduto. Ma ci siamo vicini, spingiamo sempre di più. Domenica a Rovetta Renet apriva la speciale, e io dietro potevo vedere dalle sue tracce come si comportava. Per la prima volta ho “visto” che Renet “sporcava” la sua guida e giocava qualche jolly».
 


Altro argomento clou, importante. Livello cresciuto, cresciuta la velocità e, di conseguenza, anche la pericolosità? Situazione ancora sotto controllo?

«Per me, il fatto è che le moto sono evolute moltissimo. Una volta non potevi andare così forte. Adesso, invece, su una salita dove dieci anni fa andavi su, che so, a cinquanta chilometri all’ora, adesso prendiamo i cento! E a cento all’ora, se perdi il controllo, rischi davvero. Domenica mi è successo una volta, e mi è andata bene, ma non è sempre così. Però è lo Sport che va così. Si è soliti sentir dire che i Rally sono pericolosi, ma giornate così dell’Enduro non lo sono da meno. Ma è anche questo che fa la bellezza del nostro Sport. Chi c’ha il pelo fa il tempo».

 

Un anno fa hai messo in gioco la stagione con un incidente che ti è costato una lunga convalescenza e una situazione chiaramente non bella, difficile. Sei tornato, credo, con la voglia e la rabbia di dimostrare di essere il numero uno. Pensi di esserlo?

«Certo che sono tornato con tanta voglia, di pilotare, di correre e di dimostrare. Ma prima di tutto a me stesso. Non so se un giorno sarò completamente appagato e soddisfatto della mia carriera, e ogni volta e ogni giorno ci provo, ad andare più forte. Ecco il motivo per cui, di conseguenza, cerco di essere il migliore. Assolutamente sì. Il ritorno è stato difficile, il più duro della mia vita. Ho fatto fatica, per la prima volta mia moglie mi ha detto “basta”, cambia mestiere. Per fortuna dietro di me ho la fortuna di avere una Squadra che era con me dentro il momento difficile. La prima volta che sono salito in moto, dopo tanto tempo, Fabio mi ha visto e mi ha detto che mi vedeva malissimo. Avevo problemi di respirazione, svenivo. Fortuna che c’era questa Squadra e, poi, quella gara mitica che è il Touquet per la quale mi sono allenato tantissimo. E il livello è tornato, eccomi qui!».

 

Una domandina classica, cretina. Dove vuoi arrivare tu, e dove pensi che sta andando l’Enduro?

«Purtroppo è ancora presto per sapere qualcosa di serio sul futuro dell’Enduro, e anche sul mio. Sicuramente il nostro Sport sta prendendo una direzione che non mi piace troppo. Sono sincero e dico le cose che vedo e che penso. La gara di Bergamo è stata una vera gara di Enduro, ma ce ne sono altre che abbiamo fatto, non la Grecia, che non lo sono più. A Jerez abbiamo corso una politic-race, e questo non è bello. Quando la politica entra dentro, mi spiace, si entra in un dominio che non mi piace, ed escono cose dalla FIM e da Blanchard che non mi piacciono. La GoPro no è solo una piccola cosa. È allora che senti lo stimolo di altre cose, come il messaggio dei Rally che arriva chiaro. Dove voglio arrivare? È presto per dirlo, ma sicuramente alle quattro ruote, che sono una passione fortissima. Non adesso, ma presto dovrò fare delle scelte. Le quattro ruote, ma prima mi piacerebbe anche le due ruote dei Rally».

 

Grazie mille campione assoluto!

«Grazie a voi!».

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