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La Suzuki e Mitsuo Itoh

- La Casa di Hamamatsu ha celebrato i 50 anni di gare con una moneta commemorativa: un omaggio a Mitsuo Itoh, il primo e unico pilota giapponese che ha vinto al Tourist Trophy, da sempre uomo Suzuki
La Suzuki e Mitsuo Itoh


Approfittiamo del simpatico regalino appena arrivatoci in redazione da Suzuki Italia, per ricamarci un po’ sopra andando a ritroso nel tempo. Si tratta di una moneta commemorativa dei 50 anni di competizione della Suzuki, celebrati agli inizi dello scorso giugno all’Isola di Man, vita in occasione del Tourist Trophy, dove nel 2007 la Casa giapponese aveva già festeggiato il suo centenario di vita. Ma anche dove, nel 1963, vinse la classe 50 cc con Mitsuo Itoh, che così divenne – e lo è tutt’oggi – l’unico pilota giapponese vincitore al TT.

Itoh San e la sua Suzukina 50 RM , quindi, figurano a giusto merito sulla faccia “croce” della moneta commemorativa del cinquantenario, e vi figurano in illustre compagnia: sulla faccia “testa”, infatti, è effigiata Sua Maestà la Regina Elisabetta II, visto che l’Isola di Man appartiene al Regno Unito. A quei tempi, infatti, il leggendario Mountain Circuit faceva parte del Circus mondiale, e il suo impegnativo tracciato era considerato estremamente probante per tutti i costruttori: la stessa Honda debuttò sull’Isola nel 1959, con le sue 125 bicilindiche a 4 tempi; Suzuki invece vi esordì l’anno seguente con i “cinquantini” monocilindrici, e nel ’62 con le 125 bicilindriche, tutti rigorosamente a due tempi.

Tornando a Mitsuo Itoh, classe 1937, la sua vita lavorativa, suddivisa tra l’attività ingegneristica, quella di pilota nel motomondiale e, più avanti, anche nel campo del marketing, è iniziata e terminata sempre in seno alla Suzuki, fino al suo pensionamento, nel 2000, quando andò a seguire le auto Suzuki nei Rally.
Itoh corse dal 1962 al 1967 nelle classi 50 e 125, vincendo due GP e terminando quattro volte al 5° posto e due volte al 6° nella classifica finale della classe minima, mentre nella 125 (dove corse solo 4 anni) colse un 2° e due terzi posti, con un 8° come miglior piazzamento finale nella categoria superiore.
Ma al di là dei risultati sportivi, Mitsuo Itoh è stato una colonna della Suzuki, un vero uomo immagine che personalmente ebbi il piacere di conoscere alla fine del 1988, proprio ad Hamamatsu, e, in particolare, sul velocissimo circuito-test di Riuyu, in riva al mare: lì fummo invitati a provare la GSX-R750 per l’89, e lì era davvero difficile star dietro a Itoh San che, allora 53enne, si infilava con nonchalance in un curvone da quinta piena con la GSX1100R (che aveva 5 marce…) dopo un rettilineo di oltre due chilometri…

Mitsuo Itoh è una persona tranquilla, posata e gentile, e fui davvero colpito quando, visitando il salone di Tokio un paio d’anni più tardi, lo vidi inchinarsi per salutarmi prima ancora che io mi fossi reso conto che fosse lui, allo stand Suzuki. Tenete presente che già da ragazzino 13enne, già appassionato di moto e divoratore di Motociclismo, unica rivista specializzata di allora, sapevo benissimo chi fosse Mitsuo Itoh: e già per il fatto che egli fosse un pilota del mondiale, per me era un vero mito…


Le Suzukine da Gran Premio

Ma a questo punto mi riesce difficile non citare le moto con cui corsero Itoh San e i suoi fortissimi compagni di marca (i vari Hugh Anderson, Frank Perris, Bert Schneider, Ernst Degner, Hans Georg Anscheidt), limitandoci però solo agli affascinanti microbolidi. Dal 1962 al 1964, Suzuki ne schierò varie versioni contraddistinte dalla sigla RM seguita dall’anno di costruzione: si trattava di “zanzarine” da una sessantina di chili, con motori raffreddati ad aria e alimentati tramite disco rotante, e potenze via via aumentate da 8 cv/10.500 giri - saliti nel corso del 1962 a 10/12.000 – e velocità massima di circa 133/145 km/h; la RM63 vincitrice del TT aveva il cambio a 9 marce anziché 8, ed erogava 11 cv/13.000 giri per 150 km/h, che salirono rispettivamente a 12,5cv/14.000 giri e oltre 160 orari sulla RM64. Sulla RK65 dell’anno seguente debuttarono il raffreddamento a liquido e il cambio a 12 (!) rapporti, e la mini-cavalleria salì a 14,5 cv/16.500 giri per 165 km/h di punta massima.

Rivoluzione totale sulla RK66: il motore diventò bicilindrico, con cambio ancora a 12 rapporti ma con 16,5 cv a 17.000 giri, per una velocità massima di 170 km/h. Ma anche allora il progresso era giustamente inesorabile, tant’è che la successiva RK67, che pesava solo 58 kg a secco, aveva il cambio addirittura a 14 marce, per gestire al meglio i 17,5 cv a 17.250 giri che spingevano la velocissima bicilindrica oltre i 175 orari.
Qui termina la storia delle piccole Suzuki da Gran premio, anche se in realtà l’allora fertilissimo reparto corse di Hamamatusu aveva già pronta l’arma segreta per il 1968: l’incredibile RP68 tricilindrica (!!!) da 49,87 cc, con cambio 16 marce (doppio !!!), 19 cv a 20.000 giri (idem) e ben 200 km/h di velocità massima…Peccato che proprio quell’anno il nuovo regolamento vietò i motori pluricilindrici nelle categorie inferiori (quindi 50 e 125 bicilindrici, 250 al massimo bicilindrici) limitando a 4 il numero massimo di cilindri per le 350 e 500. Un vero peccato, perché la Suzuki aveva già preparato anche una 125 ed una 250 quadricilindriche in quadrato… In seguito a ciò, dunque la Casa di Hamamatsu decise di ritirarsi dal mondiale, ove si ripresentò ufficialmente solo nel 1976, con la formidabile RG500. Così addio meraviglie della tecnica, specie quelle che non ebbero futuro, di Suzuki, ma anche alle formidabili medie cilindratea 4 tempi con cui Honda corse con successo in quegli anni d’oro, a partire dalle roboanti 50 cc bicilindriche bialbero, alle incredibilmente ringhiose 125 a 5 cilindri e 250/297 a 6 cilindri. Solo a scriverne, mi torna in mente il loro magico sound, e mi si drizzano i peli sulle braccia….

Guarda il video di Mitsuo Itoh all’isola di Man nel 2007, in sella alla “sua “RM63


 

 

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