Superbike 2020. Rea, il cannibale azzanna i piloti MotoGP
Lo aveva detto alla fine del campionato 2018, quando un giornalista gli aveva chiesto cosa si potesse fare per rendere il campionato più combattuto ed incerto. “Spero che arrivi qualche pilota dalla MotoGP – rispose Johnny Rea - così forse le gare sarebbero più combattute. Mi piacerebbe confrontarmi con altri piloti”.
Detto, fatto: lo scorso anno Ducati, che più di chiunque altro vorrebbe conquistare quel titolo che ha già ottenuto 14 volte, ma che gli manca dal 2011 (Carlos Checa) ha prelevato dalla GP Alvaro Bautista.
Al contrario di Rea, cresciuto nei campionati nazionali inglesi e passato poi ai mondiali Supersport e Superbike, lo spagnolo è lo stereotipo del pilota GP. Ha iniziato nella Coppa Movistar per poi passare al CEV 125, che ha vinto nel 2003. Una vittoria che gli ha permesso di accedere al mondiale della stessa categoria, che si è aggiudicato nel 2006. Quasi ovvio il suo passaggio in 250 l’anno successivo, ma in questo campionato, pur lottando sempre al vertice, Alvaro non ha vinto il titolo: quarto nel 2007, secondo nel 2008 e ancora quarto nel 2009, quando decise che era venuto il momento del grande salto in MotoGP. È restato nella classe regina per ben 9 anni ed il suo miglior risultato è stato un quinto posto finale nel 2012, con la Honda di Gresini.
Nel 2019 la Ducati lo ha convinto a passare in Superbike e sappiamo tutti come è andata a finire. Undici vittorie di fila con la nuova Panigale V4, un missile rosso derivato dalla Ducati GP. Il suo vantaggio era arrivato anche a 61 punti su Rea, che schiumando rabbia collezionava secondi posti. Poi il tracollo. Le molte cadute gli hanno fatto perdere il feeling con la moto e con il team. Da dominatore a dominato, il passo è stato breve. In tre round è stato il Cannibale verde ad accumulare un vantaggio di 61 punti ed il campionato è finito li, con Johnny che ha festeggiato il suo quinto titolo consecutivo e il Bau-Bau secondo, a ben 165 punti di distanza.
Alvaro ha divorziato dalla Ducati e sposato la Honda, e allora la casa italiana è andata a cercare il suo nuovo pilota nel British Superbike: Scott Redding. Cavaliere senza macchia e senza paura, alto, biondo e con tanti tatuaggi in bella vista.
Redding è un altro prodotto della GP. Ha iniziato anche lui nel CEV per poi passare al mondiale 125. Troppo alto per restare nella minima cilindrata, Scott è passato in Moto2 nel 2010 e ci è rimasto sino al 2013, con un bottino niente male: 3 vittorie, 14 podi e 2 giri veloci. Era pronto per la GP dove è approdato nel 2014, anche lui con la Honda di Gresini. Un podio nel 2016 e poi due anni nel team Aprilia, gestito proprio da Gresini. Sono gli ultimi anni in GP per l’inglesone, che si ritrova a piedi e deve tornare in patria per correre e vincere nel BSB. Vede nel mondiale SBK la possibilità di tornare in GP e non se la fa sfuggire. Parte con cautela, ma ha le idee chiare: ”Rea non è imbattibile”, “Sono in SBK per battere Rea e tornare in GP”.
Il coraggio e la sfrontatezza non gli mancano di certo. Al termine del secondo round di Jerez la classifica dice: Redding 98, Rea 74. Ventiquattro punti non sono molti, ma Scott appare sicuro di sè e deciso a contendere il titolo al Campione del mondo. Nel round di Portimao però il nordirlandese si riprende la testa della classifica, anche se per soli 4 punti. Le sei gare del Motorland Aragon si preannunciano come la prova della verità. E’ una pista favorevole alla Ducati, dove Redding potrebbe dare la zampata vincente. Ma ancora una volta il braccio di ferro con Johnny si rivela letale per la Ducati.
Nel secondo round in terra d’Aragona Redding cade in gara1. Torna al box e piange di rabbia. Una caduta che l’inglese non si sa spiegare. Proprio come quella di Bautista a Jerez. E anche questa ha rappresentato per l’inglese l’inizio della fine. Uno shock dal quale è difficile riprendersi. Il ragazzone inglese non è più tanto sicuro di se. I suoi proclami sono diventati quasi delle ammissioni di colpa o comunque delle dichiarazioni di resa: “A Barcellona avrei dovuto vincere tutte e tre le gare, ma non ne ho vinta nemmeno una”. “Per non cadere devo andare piano e per questo ho chiuso sesto”. Siamo ai titoli di coda. Mancano ancora due round a Rea per conquistare il suo sesto titolo mondiale consecutivo, nel qual caso il Cannibale si sarebbe mangiato un altro pilota GP.
Sono in molti a chiedersi cosa avrebbe potuto fare Johnny in MotoGP, ma alla luce dei risultati di queste ultime due stagioni ci si potrebbe anche chiedere cosa avrebbero potuto fare i piloti della GP se fossero andati a correre contro di lui in Superbike……
REA è un signor pilota, come detto da qualcuno fece 7 e 8 nel 2012, senza forzare più di tanto, così, al primo impatto. Niente male davvero.
Come per tutti i piloti il "timing" e l'età sono determinanti. Le moto buone all'epoca erano poche: Honda sapeva già di accogliere MM, yamaha aspettava il ritorno di Rossi, Ducati non dava garanzie, ed i team satellite di qualsiasi marca non erano affatto performanti come oggi ( forse tech3, forse) . Johnny era un 25enne veloce, ma non ancora consapevole, e si sbatteva con la CBR per stare nei dieci o fare qualche podio sul bagnato. Ha fatto bene ad aspettare la sua chance in sbk. 6 mondiali , mica briciole.
Con un auspicio... mai dire mai. Lo vedrei proprio bene.