In viaggio nei Pirenei - Ep.3
Il risveglio di buon’ora prevede qualche esercizio per distendere i muscoli della schiena messi a dura prova da ore in sella in attesa della colazione che un’assonnata Marie Laure ci serve alle 8.30 con croissant freschi e marmellate fatte in casa che mangiamo con troppa disattenzione. Il nostro pensiero è già sulla carta stradale con il Tourmalet e altri due passi pirenaici da affrontare prima di Pau e dell’A64 che ci accompagnerà fino all’Atlantico. I chilometri che ci separano dalle spiagge oceaniche non sono pochi.
Stefano, che non vede l’ora di raggiungere la sua dolce metà, propone la direttissima fino a Pau sacrificando l’ascesa ai due passi e pure le curve che salgono in cima al Tourmalet. Gianni lo asseconda, ma per Attilio è blasfemia. Manco lo pagassero a numero di curve (e pieghe) che percorre in un viaggio, minaccia una motofatwa a chi decide di non omaggiare la strada regina dei Pirenei. Fosse per lui, ci sarebbe anche un altro paio di cime per la giornata ma, seppure a denti stretti, ammette, suo buon cuore, che si allungherebbe troppo. Alla fine, complice anche il secondo caffè che Marie Laure ci serve, si arriva a un compromesso: Tourmalet sì (pena la scomunica), gli altri due passi no, sarebbe troppo. Tutti sono d’accordo (io sto zitto perché ho già fatto troppo casino con le strade a Perpignan) e si può partire alla ricerca di una pompa di benzina. Avvertenza: da queste parti è sempre meglio tenere d’occhio il serbatoio.
Le stazioni di servizio nei Pirenei sono merce rara. Per fortuna i miei compagni di viaggio hanno un display che li tiene aggiornati su quanti chilometri possono ancora percorrere e appena si scende sotto i 100, inizia l’allerta benza affinché non diventi un incubo. Questa volta la ricerca impone una deviazione di una ventina di chilometri sull’itinerario ipotizzato a tavolino, ma poco male: lungo la strada inciampiamo in Campan, delizioso borgo ai piedi del Tourmalet, conosciuto in tutta la Francia per le bambole di pezza a grandezza naturale di cui si fa bella mostra ai balconi, mentre un piccolo ma divertente museo dedicato ne illustra didascalicamente storia, tradizione e folklore. Noi ci limitiamo a osservare le variopinte figure di pezza affacciate ai balconi e alle finestre: ci aspetta il Tourmalet. Siamo madamine o motociclisti, seppure diversamente giovani?
La strada che sale sul colle è una processione di ciclisti di ogni genere e forma (fisica, si intende) che pedala più o meno agilmente per raggiungere i 2115 metri di una delle cime che hanno fatto la storia del Tour de France. Il monumento che in vetta ricorda le fatiche di professionisti e cicloamatori è anche l’occasione per la tradizionale fotoricordo, per l’acquisto di regolamentari souvenir e per distribuire sincere congratulazioni a quelli che noi riteniamo degli eroi in carne ossa e soprattutto gambe: massimo rispetto per chi arriva fin quassù pedalando.
La discesa non è molto diversa: cambia solo la velocità della processione. I Pogacar della domenica viaggiano a 60 all’ora e se in salita il timore è di non riuscire a evitare quelli che arrancando disegnano zigzag sulla carreggiata, ora è la loro velocità a metterci in difficoltà nei sorpassi. Ma il Tourmalet non è solo bici. Lo spettacolo dall’alto è assicurato, a patto che si riesca a escludere dal cono visivo qualche scempio edilizio che nemmeno il proverbiale buon gusto transalpino è riuscito a evitare. Anzi, puntellati dall’altrettanto proverbiale grandeur francese qui sono riusciti a erigere un orrore edilizio di una ventina di piani che dovrebbe assicurare adeguati alloggi per il popolo della neve quando, in inverno, il colle diventa una delle mete sciistiche più gettonate dei Pirenei.
Scendendo si alza la temperatura e in pochi chilometri dai 15 gradi del passo siamo tornati ai 30 gradi di questo luglio torrido. La prospettiva di altre due ore di autostrada per raggiungere le prime avvisaglie di una foresta refrigerante non entusiasma, ma è Stefano, che ci ospiterà nel suo buen retiro sull’oceano, a confortarci con le meteo previsioni atlantiche e con la non meno allettante prospettiva gastronomica dei manicaretti di Raffaella che, quando non sfida le onde dell’oceano con il suo surf, si diletta con successo in cucina. Da una conversazione telefonica capiamo che sta facendo approvvigionamenti al mercato del pesce in vista del nostro arrivo. A questo punto non ci resta che fermarci per acquistare una bottiglia di champagne: le bollicine di un kir royal potrebbero accompagnare le ostriche e le prelibatezze che il comitato di accoglienza di Raffa & Co. ha preparato cambiando destinazione d’uso alla tavola da surf per far posto a cibi e bevande di un pantagruelico aperitivo.
Scordatevi Mercoledì da leoni o Point Break: qui siamo tra contemplativi buongustai che apprezzano la buona tavola (in questo caso da surf) e i colori del tramonto sull’oceano. Il panorama è cambiato, tutto molto bello, direbbe Bruno Pizzul, ma le strade dei Pirenei sono ancora nel nostro cuore. Domani riprenderemo in mano le carte per studiare l’itinerario di rientro in Italia. Ma questa è un’altra storia ancora tutta da scrivere. E soprattutto da vivere.