Come eravamo: correre tra case e muretti
Nel periodo della ricostruzione postbellica per il motociclismo è iniziata un’epoca straordinaria. Non erano ancora arrivati gli anni del benessere e delle auto utilitarie comodamente acquistabili a rate; le moto, specialmente se di piccola cilindrata, si vendevano in numeri elevatissimi. Sono apparsi tanti nuovi costruttori (basta pensare a Laverda, Morini, Mondial e Parilla) mentre varie case già esistenti si sono ingrandite e rafforzate. Qualche marchio storico però è entrato in crisi ed è ben presto scomparso. Basta pensare a Frera, Sertum, Mas e poi ad MM e CM…
Lo sport motociclistico ha raggiunto una popolarità straordinaria e il numero delle gare è rapidamente cresciuto, arrivando a livelli mai raggiunti prima e mai più avvicinati in seguito. Se si escludono i mesi invernali, si correva praticamente ogni domenica e con mezzi a due ruote di ogni tipo, dalle bicimotore, azionate dai motori ausiliari applicati a un veicolo che in genere era poco più di una bicicletta, alle 500. E si andava da modelli di serie variamente preparati a moto tecnicamente sofisticate, espressamente progettate e costruite per impiego agonistico.
L'epopea dei "cittadini"
Per un certo tempo le bicimotore e le motoleggere hanno corso nei velodromi e su percorsi assolutamente impensabili, come quello dei Giardini Margherita a Bologna (ricavato nei vialetti di un parco pubblico di modesta estensione), nei quali oggi si va soltanto a piedi. Poi sono arrivati i circuiti cittadini, sui quali si è gareggiato a lungo, in molti casi anche con moto da Gran Premio. Si trattava di percorsi stradali che spesso non erano neanche transennati. Burocrazia ce ne era poca, il motociclismo era in auge a tutti i livelli e bastava un congruo numero di balle di paglia per allestire un circuito!
Non si sbaglia affermando che in un certo periodo, in alcune zone d’Italia, quasi ogni cittadina ne aveva uno. L’elenco è assai lungo; basta ricordare che si è gareggiato su percorsi stradali a Genova, a Crema, a Ferrara, a Codogno, a Piacenza, a Gallarate, a Faenza, a Senigallia, a Forlì, a Spoleto, a Como… Su alcuni si è corso solo per pochi anni (al limite, per una sola edizione!) mentre su altri si è andati avanti a lungo.
Diverse gare erano valide per il campionato italiano, di prima o di seconda categoria a seconda dei casi. Le gomme e i freni erano quello che erano, i caschi rudimentali e gli ostacoli ai lati dell’asfalto abbondavano. Gli incidenti erano tutt’altro che infrequenti e avevano spesso conseguenze drammatiche. Oggi un incidente mortale è una autentica rarità, ma all’epoca se ne verificavano diversi ogni anno.
Dalle strade ai circuiti permanenti
La tragedia di Guidizzolo alla Mille Miglia del 1957, nella quale hanno perso la vita undici persone, ha decretato la fine di un’era. Niente più maratone stradali (quell’anno il Motogiro si era già corso, ma la Milano-Taranto è stata subito annullata) e drastica riduzione del numero dei circuiti cittadini. A questo si è aggiunta la forte crisi nella quale stava entrando il motociclismo. I volumi di vendita dei veicoli a due ruote nel giro di pochi anni sono scesi a livelli ridicoli.
Il mezzo di trasporto economico era la vettura utilitaria e non più la moto. Tanti concessionari hanno chiuso, e tante case, tra le quali spiccano la Bianchi, la Parilla, l’Alpino e la Rumi, sono uscite di scena. Pure la popolarità dello sport motociclistico è diminuita in maniera drastica. Sono rimasti gli appassionati veri, autentico “zoccolo duro” del pianeta moto.
Gli anni Sessanta sono passati alla storia per le gare della “primavera romagnola”, le uniche nelle quali in Italia si correva su percorsi cittadini con le moto da Gran Premio. C’erano poi altri circuiti stradali, alcuni dei quali hanno avuto una vita brevissima, sui quali gareggiavano i piloti Juniores. Per quanto riguarda questi ultimi, a tenere vivo il movimento erano la grande passione di chi correva e di chi preparava le moto, più l’impegno di qualche casa (come l’Aermacchi e la Motobi); ad essi si aggiungeva l’intraprendenza di alcuni motoclub, che riuscivano a organizzare le gare allestendo percorsi spesso improvvisati.
Si è così corso anche a Roseto degli Abruzzi, a Oristano, a Zingonia e a Consonno.
Dopo gli anni più duri, dai quali sono comunque emersi piloti straordinari e nei quali hanno avuto modo di affermarsi mezzi di grande livello tecnico e di fascino straordinario, la situazione è migliorata. Le vendite delle moto sono tornate a livelli importanti e lo sport delle due ruote ha acquisito una maggiore popolarità.
Le gare sui circuiti romagnoli, importanti anche perché vedevano una folta partecipazione straniera, hanno continuato a svolgersi con crescente successo. A decretare la loro fine è stato l’incidente nel quale, nell’aprile del 1971, ha perso la vita Angelo Bergamonti. A quel punto è stato chiaro che, se si voleva continuare a correre con le moto da Gran Premio, bisognava farlo solo su piste permanenti appositamente realizzate. L’ultima gara sul famoso circuito ligure di Ospedaletti si è svolta nel 1972, anno nel quale si è corso su un percorso stradale anche a Pesaro. In seguito, a gareggiare sui circuiti cittadini sono rimasti, per diverso tempo, i piloti juniores.
Invece la strada viene chiusa regolarmente ogni anno per una nota gara ciclistica, creando non poco traffico in tutta la provincia.
Un saluto...