La crisi dei chip rischia di durare a lungo. Lo dicono gli USA
Nel 2021 in Europa sono state vendute 9,7 milioni di automobili. E' il numero più basso registrato dal 1990, da quando cioè è iniziata la registrazione dei dati, e quindi inferiore anche alle vendite del 1993 e del 2013 che sono state le peggiori fino all'anno scorso.
Fra le molteplici cause di questa contrazione della domanda ci sono quelle legate alla pandemia, alla logistica, alla carenza dei semilavorati e all'aumento dei costi delle materie prime, e soprattutto ha pesato la carenza di fornitura dei microchip.
Nelle automobili se ne possono contare fino a tremila, nelle moto l'elettronica è decisamente meno vasta e di chip se ne impiegano molti di meno: per questa ragione i rallentamenti produttivi non sono stati gravi.
Tanto che l'anno scorso le vendite, in Europa e non solo, sono incrementate rispetto al 2020, e in alcuni casi anche nei confronti del 2019.
Microchip sotto la lente
Fra le varie difficoltà che l'industria automotive, e l'economia tutta, stanno attraversando quella legata ai microchip rischia di non trovare una soluzione nel breve periodo.
Fra gli ottimisti che prevedono una normalizzazione entro il 2022, e i meno ottimisti che rimandano al 2025 tenuto anche conto che la domanda mondiale di semiconduttori aumenterà, è arrivata la risposta del Dipartimento del Commercio degli Stai Uniti dopo aver ascoltato 150 aziende.
Allarme scorte
Il sondaggio, rivolto a produttori di semiconduttori e a utilizzatori finali, ha confermato che persiste una significativa discrepanza fra la domanda e la capacità produttiva.
Chi fabbrica i chip fatica a tenere il passo di una domanda che nel 2021 è aumentata del 20% rispetto al 2019. Ma l'aspetto più preoccupante per la tenuta del sistema è che le scorte medie sono scese da 40 a soli cinque giorni: nessun margine di errore, basta una minima difficoltà aggiuntiva e le fabbriche rischiano di fermarsi.
Come ad esempio sta accadendo a Toyota in Giappone che ha annunciato uno stop di cinque giorni di 12 fabbriche su 13 per la fine di gennaio.
Ma sono naturalmente tanti i settori interessati alla fornitura di microchip oltre all'automotive.
USA, Taiwan e Cina
La segretaria al commercio USA Gina Raimondo, ha detto che siamo ancora lontani dall'essere fuori pericolo per quando riguarda la fornitura di semiconduttori. L'aumento della domanda ha poi fatto salire i prezzi e questo rischia di incidere a un livello più alto in termini economici.
Il dipartimento americano afferma di aver parlato a novembre con i tutti i CEO della catena di approvvigionamento, inclusi Samsung, TSMC, SK e che “tutti hanno promesso che forniranno dati puntuali e completi” ha detto Raimondo. Sottolineando poi che il Congresso deve agire il prima possibile, approvando il piano di investimenti di 52 miliardi di dollari voluto dal presidente Binde per incentivare i produttori a impiantare fabbriche negli USA. Si sarebbero già dette favorevoli Intel, che ha annunciato 20 miliardi di investimento per un impianto in Ohaio, Samsung e la taiwanese TSMC.
Quest'ultima è leader mondiale del settore e destina soltanto il 3% alla produzione automobilistica, il grosso va infatti alle aziende di telefonia, personal computer e telecomunicazioni.
La Repubblica di Taiwan è attualmente il colosso della produzione mondiale dei microchip, seguita da Cina e Corea del Sud.
Rincorsa europea
Nel nostro continente la Commissione Europea proporrà a inizio febbraio una legge sui semi conduttori. La dichiarazione è arrivata al recente World Economic Forum di Davos dalla presidente Ursula von der Leyen a proposito dello specifico provvedimento European Chips Act. Perché, ha detto von der Leyen, “No c'è digitale senza microchip e il fabbisogno europeo raddoppierà nel prossimo decennio”.
Va insomma sviluppata questa tecnologia in Europa, “entro il 2030 il 20% della produzione mondiale dovrà essere fatta nel nostro continente” ha sottolineato la Presidente, anticipando che il piano sarà fortemente strutturato.