Massimo Clarke: Bicilindrici italiani degli anni Cinquanta
Il periodo compreso all’incirca tra il 1949 e il 1959 è considerato da molti l’autentica età d’oro della moto in Italia. Il numero di case era impressionante, i volumi di vendita erano elevatissimi e la popolarità del motociclismo raggiungeva vertici mai toccati in precedenza, e forse neanche in seguito, con episodi di tifo addirittura calcistico. Il Motogiro e la Milano-Taranto erano competizioni seguite da tutto il Paese, e i risultati del Gran Premio delle Nazioni spiccavano sulle prime pagine dei quotidiani. Il Salone della moto, che oggi è biennale, si svolgeva ogni anno e costituiva un evento di straordinaria importanza.
Le moto di serie però erano tutto sommato piuttosto umili. Già, perché dovevano innanzitutto essere impiegate per andare al lavoro e quindi, data la situazione economica, dovevano essere semplici e costare poco. Si trattava di mezzi di trasporto, che dovevano fornire quel servizio che a partire dalla fine degli anni Cinquanta sarebbe stato assicurato dalle vetture utilitarie. Proprio la comparsa delle Fiat 600 e 500, dal prezzo contenuto e comodamente acquistabili a rate, abbinata al migliorato tenore di vita, ha fatto precipitare il mercato motociclistico in una crisi impressionante, iniziata attorno al 1958-59, che ha portato molte case illustri a chiudere i battenti e ha decretato la fine di un’epoca assolutamente irripetibile.
Le moto italiane degli anni Cinquanta erano quasi tutte monocilindriche e di piccola cilindrata; una 175 era già considerata di notevole livello, anche sotto l’aspetto prestazionale, e non era certo alla portata di tutti. Nonostante questo, numerose realizzazioni erano di livello tecnico davvero eccellente e adottavano schemi costruttivi raffinati se non addirittura innovativi. I bicilindrici di grossa cilindrata erano un vero e proprio sogno, riservato ad appassionati inglesi e tedeschi, anche se alcuni esemplari venivano venduti anche da noi (a clienti decisamente facoltosi, evidentemente). Eppure, in questa situazione, alcuni costruttori di casa nostra hanno pensato di realizzare dei modelli a due cilindri di particolare pregio, autentiche ammiraglie da porre all’apice della propria gamma. Forse più per ragioni di immagine (o legate alla passione) che per effettiva convenienza commerciale.
Le grandi case che hanno prodotto moto a due cilindri paralleli sono stete la Parilla, la Benelli e la Gilera; ad esse si sono aggiunte due piccole ma valide (e coraggiose!) aziende bolognesi, la Comet e la Berneg, con bicilindriche di notevole interesse e ricche di soluzioni inconsuete. Ci sono stati anche due modelli con motore a cilindri orizzontali contrapposti, la Capriolo Cento50 della Aero Caproni e la IMN Rocket, indubbiamente pregevoli, ma prodotte in un numero assai limitato di esemplari. Ancora più rare, al punto da chiedersi se ne sia mai stata iniziata la produzione in serie, sono le moto a due cilindri paralleli di soli 100 cm3 proposte nel 1955 e nel 1956 dalla Chiorda e dalla De.Ca, azionate da un motore a due cilindri paralleli di soli 100 cm3. Allo stadio di prototipo è rimasta la bicilindrica monoalbero di 175 cm3 presentata dalla milanese Ferrari alla fine del 1954. Ci sono poi anche i modelli a due tempi con due cilindri paralleli (Rumi, MotoBi, CM), dei quali ci occuperemo in un’altra occasione, essendo questo articolo dedicato solo ai quattro tempi.
Ecco quindi le “schede” sintetiche delle bicilindriche italiane degli anni Cinquanta.
Benelli Leonessa
Progettata sotto la direzione di Giovanni Benelli, è entrata in produzione con notevole ritardo rispetto alla data di presentazione (fine 1951) ed è rimasta in produzione, a ritmo molto ridotto (gli esemplari usciti dallo stabilimento pesarese sono stati solo alcune centinaia), fino al 1960; le ultime sono state vendute nel 1962. Il motore di 250 cm3 era a corsa lunga (53 x 56 mm) e aveva la distribuzione ad aste e bilancieri, con valvole inclinate e camere di combustione emisferiche. I cilindri, fusi in blocco unico, erano in lega di alluminio con canne in ghisa. La trasmissione primaria era a ingranaggi. La Leonessa aveva una potenza di 16 cavalli a 7000 giri/min.
Parilla Veltro
Anche questa bicilindrica, di 350 cm3, è stata presentata alla fine del 1951; la commercializzazione però è iniziata nel 1953. Il motore era stato progettato nell’ufficio tecnico Parilla, ma veniva prodotto dalle officine Zanzi di Ivrea. Tra le caratteristiche, inconsueta era la disposizione delle valvole (inclinate ma disposte trasversalmente, come sulla Lancia Aurelia). Tanto le due teste (in ghisa!) quanto i cilindri erano costituiti da fusioni individuali. La frizione a dischi multipli riceveva il moto da una trasmissione primaria a catena. Le teste delle bielle, dotate di cappello amovibile, lavoravano su bronzine. L’alesaggio di 62 mm era abbinato a una corsa di 58 mm e la potenza erogata era di 16 CV a 5500 giri/min. Gli ultimi esemplari di questa moto, prodotta in numeri molto ridotti, sono stati venduti nel 1960.
Gilera 300
Questa bicilindrica, che inizialmente è stata realizzata anche in una variante di 250 cm3 (destinata alla esportazione), è stata presentata alla fine del 1953 ed è entrata in produzione l’anno successivo. Il motore aveva un alesaggio di 60 mm e una corsa di 54 mm ed erogava 13 cavalli, saliti in seguito a 15 CV a 6800 giri/min. Tanto le teste (in lega di alluminio) quanto i cilindri (in ghisa) erano costituiti da fusioni individuali. La distribuzione era ad aste e bilancieri con due valvole parallele installate in ciascuna testata; la trasmissione primaria era a catena. La prima versione del motore aveva le teste piccole, con candela piazzata posteriormente; in seguito però sono state adottate teste con alettatura di maggiori dimensioni e candela collocata lateralmente. La Gilera 300 ha avuto una lunga vita, che si è protratta per quasi tutti gli anni Sessanta, anche se i volumi di vendita non sono mai stati elevati.
Comet
Questa azienda bolognese aveva come responsabile tecnico e co-fondatore il famoso progettista Alfonso Drusiani, uscito dalla Mondial nel 1952. Proprio alla fine di tale anno presentò una interessante bicilindrica di 160 cm3 (alesaggio e corsa = 46 x 48 mm) che entrò in produzione nei mesi successivi,
rapidamente affiancata da una versione di 175 cm3, che ottenne un successo maggiore. Il motore aveva la distribuzione monoalbero in testa, con comando a catena e valvole inclinate ed era caratterizzato da alcune soluzioni inconsuete. L’albero a gomiti poggiava su due supporti collocati centralmente e aveva le manovelle a sbalzo. La lubrificazione era a sbattimento, senza pompa. Il modello di 160 cm3 aveva il blocco dei due cilindri fuso in ghisa e la trasmissione primaria a catena. Nella versione di 175 cm3 (48 x 48 mm) i cilindri erano in lega di alluminio; la primaria è poi diventata a ingranaggi ed è anche stata adottata una pompa dell’olio a ingranaggi. La potenza era di 9,5 CV a 6800 giri/min (10 CV nella variante sportiva). Nel 1955 è apparsa la versione di 250 cm3 (57 x 48 mm), con cilindri nuovamente in ghisa, che è stata costruita in un numero davvero modesto di esemplari. La Comet ha cessato l’attività nel 1956, ma alcune 250 sono state ancora costruite, fino al 1958, dalla ditta SIMAM.
Berneg
L’ “altra” bicilindrica bolognese degli anni Cinquanta è stata la Berneg, i cui fondatori sono stati Paride Bernardi e Bruno Negroni. La moto è stata presentata alla fine del 1955, su progetto di Corrado Menini; la struttura produttiva (ma la maggior parte dei componenti veniva lavorata esternamente) si trovava a Casalecchio di Reno. Si trattava di una bella bicilindrica di 160 cm3, denominata Iridea, con distribuzione monoalbero, valvole parallele (e non inclinate, come sulla Comet) e catena di comando collocata lateralmente. I due cilindri, fusi in blocco unico, erano in ghisa. L’albero a gomiti era in tre parti e poggiava su due supporti di banco; la trasmissione primaria era a catena. Questa moto aveva un alesaggio di 48 mm e una corsa di 44 mm ed erogava 8 cavalli a 6500 giri/min; dopo circa un anno è stata affiancata da una più fortunata versione di 175 cm3 (50 x 44 mm) denominata Fario che, nella variante sportiva, aveva una potenza di 11 CV a 7000 giri/min. La Berneg ha cessato l’attività nel 1961.
Aero Caproni Capriolo Cento50
Presentata nel novembre del 1953, questa bicilindrica boxer spiccava per le sue caratteristiche inconsuete, oltre che per l’ottimo livello qualitativo. Il motore impiegava in pratica due gruppi testa-cilindro della nota 75, con distribuzione ad alberello munito di camma a tazza. La cilindrata di 150 cm3 era ottenuta abbinando un alesaggio di 47 mm con una corsa di 43 mm. La trasmissione finale era a catena. La parte ciclistica, nella quale si poteva notare una certa influenza della scuola tedesca, prevedeva un telaio a doppia culla in lamiera stampata e una forcella Earles, a ruota spinta, successivamente sostituita da una telescopica. La potenza era di 8 cavalli a 6000 giri/min. la Cento50 è stata prodotta, nello stabilimento di Arco di Trento, che in precedenza lavorava per il settore aeronautico, in meno di cinquecento esemplari.
IMN Rocket
La IMN (Industria Meccanica Napoletana) aveva sede a Baia, presso Pozzuoli. Dopo la guerra aveva deciso di dedicarsi alle moto riconvertendo le strutture produttive utilizzate in precedenza per la fabbricazione di siluri. Dopo avere costruito un gran numero di motori ausiliari su licenza Garelli, aveva
realizzato il proprio cinquantino, denominato Paperino, e la propria motoleggera (Baio). Attorno alla metà degli anni Cinquanta la direzione della azienda decise, con pessimo tempismo (di lì a poco sarebbe iniziata la grande crisi) di realizzare la propria ammiraglia. Nacque così la Rocket, dotata di un motore a due cilindri orizzontali contrapposti di 200 cm3 (alesaggio e corsa = 52 x 46,5 mm), di trasmissione finale ad albero e di un bel telaio a traliccio in tubi, assai avanzato e decisamente inconsueto per l’epoca. Una particolarità rara è costituita dal fatto che il gruppo motore-cambio-forcellone-trasmissione finale costituiva un assieme rigidamente unito, che oscillava come se fosse un componente unico, in quanto fulcrato nella parte inferiore del telaio. La potenza del motore era di 11 CV a 6000 giri/min. La Rocket è stata costruita in pochi esemplari soltanto.
io non ero nato..
le moto costavano care