Massimo Clarke: "CB 750 Four e 900Z1. Le regine a confronto"
La Honda CB 750 Four è entrata giustamente nella leggenda. È probabile che nessuna altra moto abbia avuto una influenza analoga non solo sulla evoluzione tecnica dei mezzi a due ruote, ma a che sui gusti stessi degli appassionati. Bella, facile di guida e in grado di offrire prestazioni elevatissime, era finita in maniera impeccabile e aveva una robustezza e una affidabilità eccezionali. Inoltre, era dotata di un efficiente freno a disco a comando idraulico (prima assoluta, per un modello di normale produzione) e di un avviamento elettrico dal funzionamento impeccabile. E poi, era la prima moto prodotta in gran serie e a un prezzo più che abbordabile con un motore a quattro cilindri in linea trasversale! Niente vibrazioni, nessun trafilaggio di olio e una eccellente versatilità (era eccellente anche per i lunghi viaggi in due persone, oltre che per la guida sportiva e per il normale impiego cittadino) completavano il quadro. Cosa volere di più?
Eppure c’era stata un’altra grande casa giapponese che aveva pensato a una quadricilindrica di eguale cilindrata ed era praticamente pronta a lanciarla, quando la Honda ha presentato la sua 750 al salone di Tokyo del 1968. Si trattava della Kawasaki, che è stata così presa “in contropiede” e ha deciso di rimandare l’operazione e di concentrarsi, almeno per un certo periodo, sulle tricilindriche a due tempi. Per sfondare sul mercato, imponendosi come azienda leader sotto l’aspetto tecnico, i suoi tecnici avevano progettato una moto a quattro cilindri particolarmente evoluta e performante, dotata addirittura di distribuzione bialbero, della quale erano stati realizzati e testati svariati prototipi con ottimi risultati. Dopo la comparsa della CB 750 era chiaro però che occorreva fare di più. Il progetto è stato quindi rivisitato e, siccome i vertici dell’azienda volevano realizzare una vera “regina”, la cilindrata è stata sensibilmente aumentata rispetto a quella della grande rivale.
Lanciata ufficialmente nel 1972, la 900 Z1 si ha subito acceso l’entusiasmo degli appassionati. Come la quadricilindrica Honda, anche la Kawasaki aveva qualità straordinarie. Potentissima e dotata di un’estetica fantastica, era in grado di superare i fatidici 200 all’ora. E inoltre aveva doti di guida molto buone, nonostante le dimensioni e il peso, era curata in ogni minimo particolare ed era realizzata in maniera impeccabile. Il motore era robustissimo e si prestava ottimamente ad essere preparato per impiego agonistico. Per questa moto la casa dichiarava una potenza di ben 82 cavalli a 8500 giri al minuto, notevolmente superiore quindi a quella della CB 750, che disponeva (sempre secondo i dati forniti all’epoca dal costruttore) di 67 CV a 8000 giri.
Una analisi tecnica di queste due formidabili realizzazioni mette in mostra differenze notevoli tra le filosofie progettuali, anche a livello di scelte di base. Il quadricilindrico Honda era a corsa leggermente lunga (63 mm contro i 61 mm dell’alesaggio) e aveva la distribuzione monoalbero, con le valvole che venivano comandate da bilancieri a due bracci. Il motore della Z 1 aveva misure caratteristiche perfettamente quadre (66 x 66 mm) e a livello di testa e di complesso della distribuzione appariva più evoluto, specialmente in ottica prestazionale, con la sua distribuzione bialbero e con le valvole che venivano azionate da semplici punterie a bicchiere. Certo, nella CB 750 la manutenzione era più agevole. In ogni caso, dalla fine degli anni Settanta in poi i motori a quattro cilindri di alte prestazioni hanno invariabilmente adottato la soluzione bialbero.
Schemi costruttivi analoghi venivano impiegati in entrambi i motori per quanto riguarda il blocco cilindri, dotato di canne in ghisa installate con interferenza, e il comando della distribuzione, a catena centrale. Notevoli differenze si avevano invece a livello di albero a gomiti e di bielle. La Kawasaki, forse per via della sua grande esperienza in campo duetempistico, aveva adottato un albero composito (ben nove parti, unite per forzamento alla pressa) che lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. Si trattava di una soluzione raffinata ma anche costosa e complessa dal punto di vista realizzativo. Le bielle erano in un sol pezzo. La Honda era invece dotata di un albero forgiato in un sol pezzo e per il banco e le bielle (munite di cappello amovibile) impiegava delle bronzine. Questa soluzione, che all’epoca veniva considerata di scuola automobilistica, è stata successivamente adottata da tutti i costruttori, per i loro motori policilindrici a quattro tempi. In questo reparto dunque i progettisti della CB 750 avevano avuto la vista lunga… L’albero della 900 Z 1 poggiava su sei supporti di banco, mentre nel caso della Honda ne venivano impiegati cinque.
I tecnici della Kawasaki hanno davvero mostrato la strada per quanto riguarda la trasmissione primaria, adottando una soluzione che, per la sua razionalità e per la sua compattezza, viene da anni utilizzata da tutti i costruttori di motori a tre e a quattro cilindri in linea e che in precedenza era esclusiva di alcuni policilindrici da competizione. La MV ha usato uno schema analogo per le sue raffinate quadricilindriche stradali, che però sono state costruite in numeri molto ridotti, con un costoso motore che era una autentica replica di quello da GP di diversi anni prima. Per trasmettere il moto alla frizione sulla Z 1 si impiegava una coppia di ingranaggi a denti dritti, con quello conduttore ricavato direttamente per lavorazione meccanica in un volantino dell’albero a gomiti. La CB 750 invece utilizzava due catene a rulli affiancate (con un solo tenditore!). Per i suoi successivi quadricilindrici in linea la Honda ha impiegato una soluzione “mista”, con una catena Morse, un albero ausiliario e una coppia di ingranaggi, prima di passare, negli anni Ottanta, allo stesso schema adottato sulla Z 1.
Per contenere le dimensioni del motore, i progettisti della CB 750 avevano scelto di utilizzare un sistema di lubrificazione a carter secco, che consentiva di eliminare una ingombrante coppa dell’olio. Le due pompe (di mandata e di recupero) erano a lobi. Sulle sue quadricilindriche successive la Honda ha sempre impiegato circuiti a carter umido, come sulla Z 1.
foto apertura di classic-motorbikes.net
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