Massimo Clarke: Il nome della moto
Nella storia della moto non sono mancati i soprannomi, alcuni dei quali sono diventati estremamente popolari, al punto da sostituire la designazione ufficiale non solo presso gli appassionati ma anche presso il grande pubblico. Appartengono tutte al passato, quando tra i diversi modelli c’era una notevole diversità tecnica ed estetica, anche se magari erano quasi tutti stradali e avevano, nella grande maggioranza dei casi, un solo cilindro. E forse questo può far riflettere, perché le cose non accadono mai per caso.
Ecco un sintetico elenco, senza alcuna pretesa di completezza, dei sopranomi che hanno avuto più fortuna o che, semplicemente, si sono rivelati più “pittoreschi”!
L'ocone
Negli anni Cinquanta se ne vedevano di cotte e di crude e la fantasia, anche in fatto di “nomignoli” non mancava. Perché mai il Mondial 175 monoalbero (serie iniziata nel 1955 con il TV) veniva chiamato “ocone” in quasi tutta Italia non si sa proprio. Alcuni però in Toscana lo chiamavano “osso di prosciutto”… Che la Parilla 175 sport con forcella Earles, apparsa nel 1953, fosse più nota come “bassotto” è più comprensibile, dato il ridotto diametro delle ruote (per i tempi). L’idea di designare ufficialmente CSS una bella 175 monoalbero non è stata molto apprezzata. Lo ha fatto la MV, ma tutti han chiamato la moto Disco Volante, per la forma del serbatoio, e come tale è passata alla storia.
Molte Morini hanno avuto denominazioni ufficiali abbastanza fantasiose. In particolare i modelli di 175 cm3 degli anni Cinquanta (Tresette, Briscola). Due di bastoni e Occhiobello però non sono nomi assegnati dalla Casa. Soprattutto a Bologna, però, li usavano tutti, rispettivamente per una 175 a quattro tempi e una 125 a due tempi. E c’era anche l’”Ignazio”…
Marianna
Non c’è appassionato che non abbia sentito parlare della Marianna. La Ducati però non ha mai chiamato così il suo brillante monocilindrico monoalbero. E il fatto che il 1956, anno di inizio della commercializzazione (la moto era apparsa e aveva corso già nella stagione precedente), fosse stato dichiarato anno mariano non c’entra nulla. La designazione ufficiale era 100 (o 125) Gran Sport. Ho avuto modo di chiedere tre volte il perché di questo soprannome all’ing. Taglioni, ma in due occasioni mi ha dato risposte diverse e nella terza, e la cosa sembrava divertirlo molto, mi ha detto che era una lunga storia, della quale mi avrebbe parlato un giorno…
Il rospino
Perché mai gli appassionati emiliani e romagnoli (e forse non soltanto loro) chiamassero rospetto o rospino il cinquantino sportivo della Maserati, non lo sapremo mai. Tra l’altro aveva una estetica piacevole e accattivante, oltre a buone prestazioni.
La mosca bianca
Nel 1957 la Gilera ha realizzato una splendida bicilindrica bialbero da competizione di 175 cm3, che per ragioni ignote è passata alla storia col nome di “mosca bianca”.
La raspaterra
Quando la Bianchi realizzò la sua monocilindrica da cross con distribuzione monoalbero sdoppiato, con comando ad alberello e coppie coniche, su progetto di Lino Tonti, tutti la chiamarono “raspaterra”. Questa moto venne realizzata in tre cilindrate differenti (250,380 e 420 cm3) e vinse il titolo italiano nel 1960.
Durante gli anni Sessanta ha ottenuto ottimi risultati in campo agonistico, nell’ambito nazionale, una 125 a due tempi da GP con ammissione a disco rotante realizzata dal tecnico Francesco Villa, prima ancora di fondare l’azienda che avrebbe portato il suo nome. Lui e il fratello Walter la chiamarono “Beccaccino” perché, ogni volta che uscivano dall’officina per andare a provarla, da un albero vicino faceva la sua comparsa un simpatico pennuto di tale specie. E siccome la moto la facevano loro, non si tratta in fondo di un soprannome ma di una denominazione ufficiale.
Il bufalo di Mandello
La Guzzi V7 Special, prodotta dal 1969 al 1972 ha avuto un ottimo successo commerciale tanto per le sue ottime caratteristiche complessive quanto per la sua estetica piacevole e in un certo modo anche americaneggiante. Aveva un manubrio largo e rialzato, quasi a corna di bue, e una colorazione bianca e nera. I guzzisti parlavano orgogliosi del “bufalo di Mandello”, ma gli altri la chiamavano “mucca”…
Anche all’estero non scherzavano.
Il Grune Elefant
Per gli appassionati tedeschi la Zundapp KS 601, una bella bicilindrica degli anni Cinquanta, era il Grune Elefant (ossia, l’elefante verde), mentre la Suzuki GT 750 tricilindrica a due tempi raffreddata a liquido dei primi anni Settanta era il Wasserbuffel, ovvero il bufalo d’acqua. La Mototrans produceva su licenza le Ducati monocilindriche in Spagna. In diversi casi le dotava di una estetica differente e realizzava così nuovi modelli, alcuni dei quali venivano esportati. Siccome attorno alla metà degli anni Sessanta si era imposta con una monoalbero 250 nella durissima 24 ore del Montjuich, realizzò una sorta di replica della moto vittoriosa che chiamò “24 horas”. Gli appassionati inglesi, evidentemente non soddisfatti della sua affidabilità e della sua robustezza, la soprannominarono “24 horrors”.
La black bomber
Sempre i motociclisti d’oltremanica denominarono “black bomber” la prima versione della Honda 450, apparsa nel 1965, con una bellissima livrea nera e cromo.
E quando la Ducati, nel 1971, realizzò la prima versione della Desmo monocilindrica, con serbatoio, fianchetti e codino verniciati in argento “pagliuzzato”, la chiamarono “silver shotgun”, fucile d’argento.
Che la fantasia non mancasse, in Inghilterra, è dimostrato anche dal fatto che il sig. Lucas veniva chiamato “prince of darkness” (principe delle tenebre), con evidente allusione al fatto che non di rado le moto che adottavano i suoi impianti elettrici rimanevano al buio nei momenti meno propizi.
La Jesus Christ bolt
Le bellissime bicilindriche Vincent Rapide e Black Shadow di 1000 cm3 negli anni Cinquanta erano le più veloci moto stradali che si potevano acquistare. Una loro caratteristica era quella di avere il telaio scomponibile in due parti, che venivano completate dal motore e che venivano unite superiormente da una grossa vite; gli appassionati la chiamavano “Jesus Christ bolt” perché una sua eventuale rottura durante la marcia, magari ad alta velocità, avrebbe quasi certamente significato un viaggio al Creatore…
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Samovar