Motori: quelli con le architetture inconsuete
- +1
La grande maggioranza dei motori motociclistici è realizzata con schemi consolidati da tempo. Un cilindro può essere verticale, orizzontale o inclinato.
Nel primo caso è ovviamente rivolto verso l’alto e nel secondo punta in avanti. Ma è sempre stato così o qualcuno ha fatto diversamente?
Se i cilindri sono due tutti sanno che possono essere paralleli, inclinati tra loro in modo da formare una V che di norma è compresa tra 90° e 45° o essere orizzontali contrapposti. O anche in questo caso c’è stato chi li ha disposti in maniera differente? E un discorso analogo, con relativo quesito finale, vale anche per i quadricilindrici. Se ci si documenta con attenzione in proposito si hanno delle sorprese.
Cominciando dai mono, si scopre che ne sono stati prodotti alcuni con il cilindro rivolto in basso. Si trattava di piccoli motori ausiliari a due tempi, in genere con trasmissione a rullo di aderenza, costruiti subito dopo il termine della seconda guerra mondiale, quando c’era un disperato bisogno di mezzi di trasporto ultrautilitari.
La risposta più economica a questa esigenza era costituita dall’impiego di uno di questi semplicissimi micromotori applicato alla bicicletta. Quelli con il cilindro rivolto verso il basso non sono stati molti ma il loro numero non è stato neanche trascurabile. In questa sede basterà ricordare l’Ollearo, il Dardo e il Romeo.
Non si può non menzionare poi il motore ausiliario Zanzi, che il cilindro lo aveva orizzontale ma rivolto all’indietro e non in avanti come sempre accade con questa architettura. Per inciso la ditta Zanzi di Ivrea, specializzata in parti meccaniche di elevata precisione, negli anni Cinquanta ha fornito alla Parilla i motori bicilindrici di 250 e 350 cm3 e oggi produce eccellenti valvole in titanio, molto apprezzate in particolare dai preparatori USA.
A questo punto non ci si deve stupire scoprendo che c’è stato anche chi il gruppo cilindro-testa di un suo motore a quattro tempi lo ha leggermente inclinato all’indietro rispetto alla verticale in modo da poterlo impiegare come tubo posteriore del telaio. Lo ha fatto la Indian nel 1904.
Passando ai bicilindrici, si trovano altri distacchi dalle architetture canoniche da parte di alcuni motori da corsa, invariabilmente a due tempi. Quando la Guzzi ha deciso di montare due gruppi testa-cilindro della 250 da competizione su di un medesimo basamento per realizzare un bicilindrico di 500 cm3 ha scelto di disporli a V di 120°. Poiché l’anteriore era orizzontale, il posteriore era inclinato all’indietro di 30°.
Nel 1935 questa moto ha riportato una memorabile vittoria al Tourist Trophy (che allora era la gara più importante del mondo). La potenza del motore, che aveva misure caratteristiche “quadre” (68 x 68 mm) era dell’ordine di 44 CV a 7800 giri/min. La distribuzione monoalbero veniva comandata da due alberelli con coppie coniche alle estremità.
Questa moto, via via aggiornata, ha avuto una lunga e onorata carriera, terminata solo nel 1951.
Motori da competizione con due cilindri a V strettissimo, al punto da sembrare quasi paralleli, sono stati realizzati da Villa nel 1969-70 e dalla Adriatica nel 1980. In entrambi i casi erano a due tempi, avevano due alberi a gomito, l’ammissione a disco rotante e i cilindri disposti uno sopra l’altro. Il primo, raffreddato ad aria, aveva una cilindrata di 125 cm3 mentre l’altro era un 250 raffreddato ad acqua.
I motori con due cilindri in tandem sono balzati agli onori della cronaca nella seconda metà degli anni Settanta grazie ai titoli mondiali conquistati a ripetizione dalle Kawasaki KR 250 e 350.
A questa architettura aveva comunque già pensato la tedesca MZ che nel 1969 aveva realizzato una 125 nella quale i due alberi a gomito erano in presa con un ingranaggio intermedio e quindi giravano nello stesso verso. I perni di manovella erano a 180°. La casa tedesca ha realizzato un paio di anni dopo anche un motore di 250 cm3 con identica architettura ma il ritiro dalla attività agonistica avvenuto poco tempo dopo ne ha arrestato lo sviluppo.
Pare che ne siano stati costruiti cinque esemplari.
Il bicilindrico Kawasaki ha esordito alla metà degli anni Settanta, incontrando inizialmente seri problemi, dovuti alle fortissime vibrazioni. Per forza, i due alberi, in presa tra loro, erano controrotanti ed erano disposti con i perni di manovella a 180°. L’equilibratura era OK solo con entrambi i pistoni ai punti morti (uno al superiore a l’altro a quello inferiore), ma gli alberi giravano e nelle altre posizioni era un dramma. Per la stagione agonistica 1978 i due alberi a gomiti sono stati disposti diversamente, con i pistoni che andavano simultaneamente allo stesso punto morto e il problema è stato risolto. Il primo mondiale è arrivato in quello stesso anno.
Il motore aveva il basamento che si apriva secondo un piano orizzontale e tre luci di travaso in ogni cilindro. Nel 1984 la casa ha anche realizzato un modello sportivo stradale con uno schema costruttivo analogo, che è stato costruito in un numero relativamente ridotto di esemplari e che da noi non si è quasi visto.
Pure la Rotax ha realizzato un ottimo bicilindrico in tandem di 250 cm3 destinato a impiego agonistico. Denominato tipo 256, aveva gli alberi controrotanti, con perni di biella a 360°. Il basamento si apriva secondo un piano verticale e in ogni cilindro vi erano cinque travasi. Le prime Aprilia 250 da GP, compresa quella che ha vinto a Misano nel 1987 con Loris Reggiani (nella foto qui sopra), sono state equipaggiate con questo bicilindrico.
I motori con questa architettura, tutti raffreddati ad acqua, sono stati sviluppati per ridurre l’ingombro trasversale che se i due cilindri sono in linea frontemarcia e l’ammissione è a disco rotante risulta assai considerevole dato che i due carburatori sono collocati alle due estremità del basamento (cioè uno a destra e uno a sinistra).
Per i 125 nessun problema, hanno dimensioni ridotte, ma per i 250 e i 350 le cose cambiano…
Si aspetta il seguito con esempi anche per quattro cilindri e oltre