Nico Cereghini racconta gli anni Ottanta. Seconda puntata: le 125 stradali
Anni Ottanta, seconda puntata. Le stradali, anzi le 125 stradali. Che pacchia! Aprilia, Cagiva, Gilera, e poi Honda e molte altre ancora. Questa volta scoperchiamo un vulcano di emozioni, perché i sedicenni degli anni Ottanta sono stati i ragazzi più felici della terra. Per cominciare, la Gilera RV 125. Quando apparve lei, nell’84, fu una svolta epocale: motore raffreddato a liquido, lamellare col contralbero, sei marce, 19 cavalli e oltre 130 all’ora. Non si era mai vista una 125 così, ben fatta, moderna, bella, con la ruota davanti da 16 e l’antidive regolabile.
Sul mercato c’erano già tante 125 molto semplici come la TG1, e poi bellissime moto semi-artigianali come la Malanca bicilindrica, l’Aspes Yuma e le HRD; moto che andavano anche forte, ma senza l’affidabilità dei grandi marchi. E poi la Garelli che dominava i mondiali GP aveva la TSR 125 dall’82, nel catalogo della Fantic Motor c’era la Strada dall’80 e la Strada Sport raffreddata a liquido dall’83. Ma si vendevano poco. Continuavano invece ad avere molto successo, fin dalla fine degli anni Settanta, la famose Laverda LZ 125 col motore tedesco Zundapp raffreddato a liquido; e le Zundapp KS, stesso motore, che erano fighette, costavano di più e diventarono le moto dei paninari; ma non superavano i 120, fumavano tanto e sfollavano facilmente. La Gilera RV superò nettamente le Laverda, e da allora fu tutto un inseguire: la LB1 e la pur riuscita GS Lesmo, per dire, non colmarono il gap.
Uno sviluppo impressionante
Un’avvertenza importante: non possiamo fare l’enciclopedia degli anni Ottanta, tutti i modelli non ci stanno, accontentatevi dei più significativi. E per favore invece di protestare “manca questa, non c’è quell’altra!” inviateci i commenti sulle moto che vi hanno emozionato di più, e perché, così contribuirete anche voi a raccontare questa bella storia.
Le 125 stradali diventavano missili, le novità arrivavano a valanga. In casa Gilera, due anni dopo la RV, ecco la semi-carenata KZ disegnata da Luciano Marabese. I cavalli diventano 24 e la velocità massima sale a 150. Poi la Endurance con il doppio faro dell’87: è la moto con cui esordisce Capirossi, quarto nel Trofeo 88 vinto da Gimmi Bosio. E dopo questa KK, modificata nella carena e nel serbatoio, ecco la magnifica MX1 125 che si riprende la leadership della categoria: con quasi 26 cavalli, 156 orari, il telaio Deltabox d’acciaio, il disco anteriore da 260 con pinza a quattro pistoncini differenziati. Allora era la pista a confermare la qualità delle 125, c’erano tanti trofei monomarca, ma cresceva anche il campionato Sport Production, che proprio questa MX1 vinse alla grande con Bosio. Nell’89 sarebbe arrivata la SP01 che anticipava le “quasi racing” come Mito e Futura. Esagerata! 29 cavalli e 168 orari rilevati dai giornali specializzati.
A Gilera risponde Aprilia
Furono gli anni di consacrazione dell’Aprilia di Noale (Venezia), che soltanto alla fine del decennio sarebbe diventata protagonista del mondiale velocità –la prima storica vittoria con Loris Reggiani, classe 250, è del 1987, GP di San Marino a Misano- ma che si mise subito a fare delle 125 bellissime. Il primo timido approccio, questa ST 125, compare a Milano a fine ’81 ed è sul mercato un anno dopo; più bella la STX dell’84 col cupolino, il puntale e la prima ruota da 16 all’avantreno, e veramente competitiva è la AS-R 125 R dell’85 con il nuovo motore Rotax al posto dell’Hiro, con valvola Rave allo scarico e 26 cavalli dichiarati. Però la concorrenza correva forte e così, due anni più tardi, arriva anche la AF1 125 Project 108 con il forcellone monobraccio, come la Honda RC 30. Ha una linea unica, colori brillanti, vince la Sport Production, guadagna il cupolino a doppio faro dopo sei mesi, e si trasforma quasi subito nel capolavoro Aprilia, la Sintesi: è il 1988, più bella ancora delle moto da corsa, telaio a doppio trave d’alluminio, forcella rovesciata da 38, forcellone monobraccio e sospensione progressiva APS, ruote da 17 e disco anteriore da 320 con pinza a 4 pistoncini. E l’inedito motore Rotax con la Rave 2: quasi 30 cavalli a 10.300 giri e 164 chilometri orari!
Gli anni Ottanta! A pensarci adesso fa effetto che la velocità fosse il primo argomento di vendita. La pubblicità dichiarava prestazioni esagerate, la sicurezza era un concetto ancora poco conosciuto. E vi svelo un retroscena: le case presero a barare anche con noi, con i giornali specializzati. C’era una vera guerra sulle prestazioni assolute, e le moto fornite alla stampa erano speciali: tu rilevavi 170, anche 180 all’ora (il record è di una Mito a 185 orari nel 1991) e loro dicevano “sono soltanto molto curate”. Ma so per certo (i tecnici me l’hanno confessato anni dopo) che soprattutto le Aprilia e le Cagiva 125 “di serie” passavano qualche giorno al reparto corse prima di uscire dalla fabbrica. E del resto i ragazzi, come i piloti, cercavano l’olio “buono” per il loro miscelatore. Il Castrol TTS, con la sua scia al ricino, era il top. Pensate un po’ che tempi! Fumo, odore e rumore erano elementi che distinguevano quelli “giusti”!
A Varese cresce la Cagiva
E siamo al capitolo Cagiva. Il marchio era appena nato, i Castiglioni avevano preso dall’AMF Harley-Davidson la fabbrica Aermacchi di Schiranna, e appassionati di corse com’erano si lanciarono nel mondiale e subito in 500. La prima vera Cagiva da GP è la 2C2 dell’81, nell’82 arriva il primo punto con Ekerold, poi nella top class è vita dura; questa è la C587 dell’87, finalmente competitiva e quarta con De Radigues in Brasile. Quest’altra è la versione 1988 con l’aerodinamica sigillata, curata da Massimo Tamburini, che con Randy Mamola coglie il primo podio. Per le vittorie si doveva aspettare Lawson e il ’92.
Ecco qui la prima risposta Cagiva a Gilera e Aprilia: è la Aletta Oro S1 dell’85, una moto che piace subito, aggressiva e con due peculiarità: l’impianto frenante Brembo serie oro e, mitico, il primo indicatore digitale della marcia inserita. Il suo motore vibra e non ha la valvola allo scarico, l’erogazione è brusca, però va forte, tanto, si parla di oltre 135 all’ora. Qualche aggiornamento con la S2, dotata di avviamento elettrico, e poi eccola qui la prima bellissima Freccia: è la C9, 1987, firmata Tamburini e ispirata alla Ducati Paso, col nuovo telaio in tubi quadri d’acciaio, la sospensione Soft Damp al retrotreno, scarico alto, un nuovo cilindro con valvola CTS, 24 cavalli e mezzo e 156 orari. La successiva C10 R ha lo scarico basso e supera i 160, e infine la C12 R dell’89 tocca i 163 all’ora e, soprattutto, annuncia la grande novità racing del cambio: addirittura a sette marce. Nel ’90, per chiudere il cerchio, arriverà la Mito: prima senza carenatura e poi, finalmente, splendidamente carenata.
Alla fine degli anni Ottanta arrivano altre belle stradali come la Benelli Jarno dalla linea chiusa e sportiva, la Beta 125 SC con il manubrio in due pezzi, la Yamaha TZR 125 dell’88 ispirata alla bellissima 250. E non bisogna dimenticare i cinquanta: come la Malaguti RGT dell’84 che divenne RST dopo tre anni. Una 50 per tutte: l’Aprilia AF1 dell’86 che è una pietra miliare, la prima 50 pensata come una vera moto con il motore Minarelli RV4 lamellare e raffreddato a liquido, la termica speciale curata a Noale, quattro marce; due anni dopo diventa Project 108 come la 125, anche lei con il monobraccio dietro, e nell’89 pure Replica, sempre con il motore Minarelli ma limitato per legge a 3 marce.
Honda parte piano, ma poi...
E la Honda? All’inizio degli anni Ottanta vendeva bene anche in Italia la sua CB 125 X, questa semplice naked a quattro tempi accreditata di 14 cavalli e che consumava niente. Ma ci voleva ben altro e la NS 125 F inaugura la nuova generazione, con cupolino e il puntale, il primo telaio in tubi quadri, la valvola ATAC per il motore a liquido, lamellare, sei marce, quasi 20 cavalli e il sound “nasale” che distinguevi da lontano; è progettata e costruita in Italia, sfiora i 140, ha un grande successo; arriva anche la colorazione Rothmans, quella che vince i Gran Premi e, con Freddie Spencer conquista addirittura nella stagione 1985 la doppietta 250+500, l’ultima del motociclismo moderno. Spencer crolla di colpo nell’86, è il più grande mistero degli anni Ottanta. Nell’87 esce la carenata NS R/R, con la quale emerge Doriano Romboni, otto vittorie nel Trofeo su nove gare. E finalmente, nell’88, arriva la stupenda e originale NSR, blu/nera con sella blu oppure verde/blu con sella verde; niente carena, ma uno splendido telaio pressofuso d’alluminio che pesa la metà degli altri, 6 chili e mezzo. La NSR 125 tocca i 160 all’ora ed ha una fluidità di erogazione che conquista; ha la valvola RC allo scarico (si dice che sia stata messa a punto dalla HRC), e del resto è in quella stagione, 1988, che la 125 Honda comincia a vincere i Gran Premi con il nostro Ezio Gianola. Tempo un paio d’anni e sarebbe diventata la dominatrice della classe con Capirex, ma questa è la storia degli anni Novanta.
Prossima puntata, le sportive tutte. A presto!
Guarda la prima puntata sugli anni Ottanta: Un decennio fantastico
Guarda la terza puntata dedicata agli anni Ottanta: Le super sportive tutte
Bel viaggio nel passato rumoroso e al sapore di ricino delle 125, he ancora desso quando lo sento mi faccio una sniffata rigenerante:-)))
Io ho avuto una TZR125 R e una Aprilia 125 R, perché la "R" era fondamentale !!! :-))
Ma la verità è che mi piacevano proprio tutte, Aprilia Extrema, Cagiva Mito, Gilera CX e SP02, Honda NSR.
E qui però bisogna dire che le italiane la facevano da padrone, avere una 125 italiana aveva qualcosa in più, oltre che qualche CV in più.
Prendiamo spunto da quegli anni, da quei tecnici e da quell'energia, per dare sempre più fiducia e forza alle NOSTRE aziende di moto, Aprilia, Ducati, MV Agusta.
E che la moto non sua vista come un lusso, ma come un Diritto alla Libertà.
Italiani e Italia. Forza!
mitica Gilera Rv 125!
Gran moto.