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Restaurando, prima puntata: Hercules K 125 GS

- La nuova rubrica di Moto.it in collaborazione con lo specialista Soiatti Moto Classiche di Novara. Oggi ci occuperemo del "salvataggio" di uno dei miti degli anni '70
Restaurando, prima puntata: Hercules K 125 GS

Con questa prima puntata nasce la collaborazione tra Moto.it e Soiatti Moto Classiche, in cui ripercorreremo le fasi di restauro dei modelli classici più iconici del motociclismo. 

Quante volte abbiamo pensato che le nostre vecchie moto, magari da anni ferme in garage, fossero troppo malmesse per essere riportate ai loro antichi splendori? C'è chi, come il novarese Daniele Soiatti - restauratore di professione che, soprattutto per passione - accetta le sfide più difficili per tornare a far splendere anche le moto più vissute.

Definire vissuta la moto che vi presenteremo oggi è, forse, drasticamente riduttivo. La moto in questione è una Hercules K 125 GS del 1972, ed è stata recuperata da un garage colpito dall'alluvione di Genova di circa cinque anni fa.

Niente special pasticciate o altro, l'obiettivo era semplicemente quello di riportarla a nuovo. Facile da dire, ma un po' meno da fare, quando ci si accorge che la ruggine ha mangiato ogni pezzo non solo della carrozzeria, ma anche del motore, richiedendo letteralmente la ricostruzione di quasi ogni dettaglio.

La base di partenza era abbastanza completa, ma è stato aprendo il motore che ci si è resi conto di quanto la parte meccanica risultasse compromessa. Il livello di corrosione della frizione aveva addirittura mangiato il metallo quasi nella sua totalità, rendendo così necessaria la totale sostituzione di ciascun pezzo. La campana è stata sfilata a fatica dall'albero primario, mentre, per quanto riguarda l'imbiellaggio, una volta aperti i carter si è capito immediatamente che fosse troppo compromesso per essere riparato.

Un destino non troppo differente, purtroppo, è toccato al cambio che, tra gli anni di usura e la corrosione penetrante, è stato sostituito con uno funzionante, ovviamente originale.

Uno dei lavori più complessi, anche per le mani di chi “mastica” moto d'epoca da più di due decenni, è stato ripristinare l'impianto di scarico. La ruggine, assieme ad un maldestro tentativo di un precedente proprietario che aveva appiattito a “sogliola” il silenziatore cromato, ha richiesto un intervento di riparazione più invasivo del previsto. Anche se in un primo tempo si era optato per la sostituzione dello scarico completo, dopo alcune settimane di vane ricerche si è optato per tagliarlo in modo da ricostruire la parte silenziante, cosa non facile visto il complesso labirinto di lamiera. In questo modo il silenziatore, dopo una precisa saldatura e cromatura, è tornato al suo stato d'origine, come si può ben vedere dalla immagini. 

Una volta terminato il lavoro al motore, completamente ricostruito, rimontato e sabbiato, e dopo aver ripristinato il telaio, anch'esso sabbiato e riverniciato, si è passati ai cerchi.

I raggi, in condizioni davvero tremende ma pressoché impossibili da trovare nuovi, sono stati smontati e cromati. Ciò che rende unici questi “semplici” raggi sono il diametro di 2 mm ed il marchio inciso sulle teste. Una volta finita l'operazione di recupero di cerchi e raggi, si è poi passati a riesumare i freni marchiati Sachs.

La precisione di chi ama profondamente il proprio lavoro ha poi spinto ad andare alla (difficile) ricerca degli ammortizzatori originali. Quelli montati sull'esemplare erano dei comuni Marzocchi ma, in origine, l'Hercules montava ammortizzatori a marchio Boge. Una volta reperiti e fatti arrivare dagli Stati Uniti, sono stati totalmente ricondizionati sia nell'estetica che nella meccanica.

A completare l'opera, infine, il serbatoio è stato trattato internamente, riverniciato esternamente e dotato delle sue protezioni adesive originali; ed i parafanghi sono stati ricromati.

A rendere unica un'opera di restauro del genere sono i tanti dettagli, molti dei quali nascosti, trattati con una cura maniacale. A volte, anche se molti possono pensare che quella nell'angolo di un vecchio box sia solo un ferro vecchio e arrugginito, l'occhio del più esperto appassionato vede un potenziale capolavoro di meccanica tutto da riscoprire. Lo sforzo è stato tanto ma, guardando le foto, non si può certo dire che non ne sia valsa la pena.

In fondo alla Gallery potrete trovare la scheda tecnica, avuta per gentile concessione di Roberto Biza, Presidente del Registro Storico Hercules DKW Sachs.

Foto: Franco Daudo

Avete restaurato anche voi una moto d'epoca? Mandateci le foto e i dettagli del restauro. le documentazioni più complete verrano pubblicate su Moto.it.

  • Robbiza
    Robbiza, Lonato del Garda (BS)

    In quanto Presidente del Registro Storico Hercules DKW Sachs,uno dei più vecchi d'Italia, vi confermo che il modello in esame è del 1972 e che il restauro è stato eseguito a regola d'arte.
    La produzione di serie dei modelli da fuoristrada continuò anche nel 1972 sulla base del classico telaio monotrave, con piccole varianti estetiche; principalmente, il serbatoio giallo (giallo cromo 273 Fiat), dalle forme squadrate e le ginocchiere in gomma nera, la parte finale del telaio che, anziché proseguire dritta, una volta superata la sella, si piegava verso l’alto.
    Quest’ultima variante è, apparentemente, di poco conto, ma si rivelò particolarmente utile in caso di ribaltamento, onde evitare di piegare, oltre il parafango, anche il telaio.
    Il telaio risultava, quindi, più corto di circa 15 centimetri e, per dare rigidità al parafango, fu applicato un archetto orizzontale, avvitato, che bloccava il parafango all’altezza del fanale posteriore, e che fungeva anche da attacco per le tabelle porta numeri.
    Tutti e tre i modelli proposti al pubblico (50, 100 e 125 cc) erano equipaggiati con le forcelle a bracci oscillanti, ma la ditta Enea Rossi, che si occupava dell’importazione e commercializzazione delle Hercules in Italia, sostituì le forcelle Earles con le Ceriani, con steli da 32 mm, sulle versioni da 100 e 125 cc.
    I classici ammortizzatori Boge, sul posteriore diventarono regolabili, e come da tradizione, le ruote montavano raggi del diametro di 2 mm ed il marchio inciso sulle teste.
    Per le versioni di maggior cilindrata (100 e 125) furono proposti due allestimenti: uno con la classica marmitta cromata, soprannominata “tubone”, ed un secondo, più racing, con la marmitta ad espansione a sogliola, con silenziatore amovibile su terminale, che consentiva una aumento di potenza di circa 1,5 cavalli.
  • anonym_4119977
    anonym_4119977

    mamma mia guarda quel povero motore....ma che ci avevan messo dentro, acqua marina al posto dell'olio? comunque lavoro perfetto, un pezzo da collezione!
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