Restaurando, puntata 23, Suzuki GT 750 1972
- +262
Il successo della Honda CB 750 Four, che in un solo anno annientò la concorrenza inglese (e la poca italiana) sul mercato nordamericano e su quello europeo, spinse le altre case giapponesi verso le grosse cilindrate. Suzuki, come del resto Kawasaki, scelse di restare fedele al due tempi, più semplice ed economico, ed optò per un motore tre cilindri raffreddato a liquido e con la lubrificazione separata. La sua GT fu presentata al salone di Tokyo nell’ottobre 1970, ma soltanto a Parigi, settembre 1971, fu raggiunta la configurazione definitiva molto raffinata sul piano tecnico. La presentazione internazionale fu oscurata da uno strabiliante prototipo Yamaha -GL 750 quattro cilindri due tempi a liquido e con l’iniezione- che pareva imminente e invece non avrebbe mai visto la luce. Una bella sfortuna. Per la Suzuki 750, cilindrata esatta 738 cc, (70 per 64 di alesaggio e corsa), manovellismo a 120 gradi, avviamento elettrico, cambio a cinque marce, tre carburatori Mikuni. Interessanti il raffreddamento su tre diversi circuiti con termovalvole e la ventola supplementare sul radiatore, la lubrificazione separata CCI con una rete di diffusori alimentati da una pompa a portata variabile, poi il sistema SRIS per bruciare i residui nelle camere di manovella e ridurre la fumosità allo scarico, infine il collegamento trasversale dei collettori per migliorare la coppia. Potenza dichiarata di 67 cavalli a 6.500 giri e peso di 214 chili a secco. Telaio a doppia culla chiusa, ruote a raggi da 19 e 18 pollici, freno anteriore a tamburo per ridurre i costi, enorme manubrio, sellone spazioso e serbatoio da 18 litri per circa 180 km di autonomia, silenziatore 3-in-4, cromature e lucidature dappertutto.
La GT 750 è stata prodotta dal ’71 al ’77, in quasi 68.000 pezzi. In Europa arrivò nei primi mesi del 1972 la prima versione J, nei colori oro, viola e verde acquamarina, prezzo di listino 1.340.000 lire; era quella che negli Usa venne chiamata GT 750 Le Mans. Del ’73 è la seconda versione, la K, viola o blù con fascia bianca: qui il tamburo da 230 viene sostituito da una coppia di dischi da 260 mm. con pinze flottanti, il radiatore guadagna la cromatura ai fianchetti, al motore arrivano miglioramenti di dettaglio. Tra il ‘74 e il ’75 in produzione va la versione L, blù o rosso metallizzato: spariscono i soffietti copristeli alla forcella e compare nella strumentazione l’indicatore della marcia inserita come sulla 550 e sulla 380; la potenza del motore sale a 71 cavalli e aumenta di poco anche il valore della coppia massima. La M è del 1975-76, con leggere modifiche alla rapportatura del cambio e un nuovo colore grigio. Poi nel ’76 compare la GT 750A, con il tappo del serbatoio a scomparsa sotto lo sportello nero, grafiche vicine alla L, colori arancio o blù; e infine l’ultima versione, la B dell’anno successivo, rivisitata soltanto a livello estetico.
e premiavano invece i modelli di personalità, almeno all’apparenza, più sportiva.
La produzione fu interrotta nel 1977, ma la GT 750 restò in listino pure l’anno dopo fino all’esaurimento delle scorte. E’ stata una gran bella moto, per tanti anche in Italia un riferimento assoluto, ma non ha rappresentato un grande successo mondiale e probabilmente la stessa Suzuki si attendeva numeri di vendita maggiori. Forse la vocazione dichiaratamente “gran turistica” non era perfettamente in linea con i tempi, ch
Nico: "è stata la mia moto"
Correvo con le Suzuki dei fratelli Gino e Bruno Sacchi, concessionari a Milano della marca nippo, e i due erano stanchi di vedermi circolare su una SF 750 rossa del ‘72. Allora alternavo la velocità (250 e poi 500) all’Endurance, ed ero un pilota ufficiale Laverda con la splendida SFC insieme a piloti come Brettoni, Gallina, Daneu e Riondato. I Sacchi mi spinsero verso la GT 750 e Maurizio Zanetti, il direttore commerciale della Saiad, mi propose un bello sconto e così alla fine del 1974 cedetti. Un bel salto, certo, e non tutto in avanti: rigida ma rigorosa di ciclistica la SF, mollacciona la giapponese. Però c’erano molti pregi e anche la moglie gradì: invece di andare fino in Grecia sulla Laverda, curva sulla mia schiena perché per allenarmi in vista delle 24 Ore avevo montato i semimanubri (!), viaggiò in mezza Europa seduta in poltrona. La GT 750 dava un bel comfort nei viaggi, non vibrava come la bicilindrica veneta, era grande e ospitale per due, morbida sulle sospensioni. Ogni moto ti fa innamorare e alla fine anche questa Suzuki fin troppo turistica (ma sempre rossa) mi convinse: il tre cilindri spingeva e suonava bene, con quel borbottìo al minimo che diventava un sibilo oltre i 5.000 giri; bella coppia, allungo interessante, frizione tenera (bastavano due dita, ciao Laverda!) e cambio abbastanza preciso anche se rumoroso. Non si facevano delle gran pieghe perché toccava l’asfalto un po’ prestino, però la guida era precisa e alla fine si poteva andare anche abbastanza forte: i due freni a disco erano potenti e resistenti, il peso sarà stato sui 220 chili a secco ma non sembrava esagerato, la manovrabilità discreta e la stabilità pure. Per l’epoca, naturalmente, in quanto con quel manubrio alto non è che si poteva pretendere. Settanta cavalli ci sembravano una potenza rispettabile, a metà degli anni Settanta, anche se i 180, quella GT, credo che non li abbia toccati mai. La tenni forse tre anni: appena uscì la GS 750 del nuovo corso Suzuki, quattro cilindri e quattro tempi, passai su quella.
Il Restauro
L’esemplare in questione, restaurato da Soiatti Moto Classiche di Novara, è una GT 750 del 1972, prima serie dunque e quando è stata portata da un cliente presso l'officina, versava in condizionioni critiche e, i suoi 46 anni di età, si facevano sentire tutti: il motore era bloccato e la ruggine era arrivata un po’ ovunque.
Dopo averla smontata pezzo per pezzo, Soiatti ha cominciato dal motore, costatandone la rottura dell’albero motore, oltre alla necessità di rettificare i cilindri e di installare nuovi pistoni. Il vero problema, però, era l’albero motore da sostituire, ormai intorvabile e recuperato nuovo, fondo di magazzino, dopo alcuni mesi di ricerca. Del motore, poi, sono stati sostituiti tutti gli ingranaggi un po’ troppo “vissuti” mentre, per renderlo impeccabile da punto di vista estetico, i carter laterali e le teste sono stati lucidati.
Una volta terminato il motore, Soiatti ha revisionato la forcella e la coppia di ammortizzatori posteriori, passando poi al restauro delle ruote, con la lucidatura dei cerchi e dei freni a tamburo. Successivamente, anche l’impianto elettrico e la strumentazione sono stati rivisti.
Il telaio è stato sabbiato e riverniciato nel tipico nero lucido, così come le piastre della forcella e il cavalletto centrale. Un discorso a parte deve essere fatto per la verniciatura: il colore, in origine, era azzurro, ma il proprietario ha preferito restaurare la moto nell’altro colore in cui veniva proposta la prima serie, cioè il viola acceso con strisce bianche. La vernice è stata fatta fare appositamente e, infine, sono stati restaurati i badge per il serbatoio e per i fianchetti.
Uno degli aspetti che ha richiesto un intervento più radicale, è stata la cromatura. Come si può notare dalle foto, infatti, sono numerosissimi gli elementi cromati, a partire dalle molle delle sospensioni posteriori, passando per il retro delle frecce, fino ad arrivare agli scarichi originali, ormai impossibili da trovare nuovi.
Questo restauro è stato uno dei più complessi e radicali eseguiti negli ultimi tempi da Soiatti e ha richiesto circa 200 ore di manodopera che, aggiungendola ai costi delle parti, di cui 1.600 euro per l’albero motore, ha fatto lievitare il costo totale del restauro a quasi 15.000 euro, una cifra importante ma che, sicuramente, ha permesso di riportare agli antichi fasti una moto davvero singolare.
PHOTO CREDITS: Valentin Zhou
Da tempo cerco una occasione e prima poi la trovero'!
mi sarebbe invece interessato leggere come ha risolto il problema della piastra sueriore dello sterzo rotta, l´ho avuto sulla CB350 Four che sto restaurando (con budget molto più risicato, ho quasi finito e acquisto compreso sono sui 4000) io l´ho risolto con una saldatura WIG fatta bene e da mano esperta, ma non so se considerarla una riparazione temporanea o definitiva...comunque bel restauro! (solo peccato per la scelta del colore che, personalmente, non condivido, ma è originale, può piacere o no ma non è sbagliata)