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The Safe Ride to the Future 2.0. Così la moto diventerà più sicura

- La scadenza del 2030 per la riduzione degli incidenti in moto affrontata applicando la connettività tra i veicoli, e non solo. La strategia presentata dall'industria europea del settore
The Safe Ride to the Future 2.0. Così la moto diventerà più sicura

Si chiama “The Safe Ride to the Future 2.0”, ovvero La guida sicura al futuro 2.0, la strategia di sicurezza per l’industria motociclistica lanciata da ACEM.

L'associazione europea dei costruttori motociclistici ha presentato un documento programmatico che illustra le prospettive del settore in vista del 2030 (data fissata dall'Unione Europea per dimezzare le vittime degli incidenti stradali) in ambiti che includono la connettività e la tecnologia della sicurezza avanzate.
Una strategia che inoltre elabora iniziative mirate a migliorare la qualità della formazione motociclistica dopo il conseguimento della patente, grazie al Label europeo per la qualità della formazione motociclistica (European Training Quality Label).

Il documento programmatico descrive anche le modalità in cui il settore motociclistico sta collaborando con altri attori coinvolti a livello nazionale ed europeo per promuovere l’implementazione di politiche dei trasporti che contemplino la sicurezza dei motociclisti.

“In Europa circolano oltre 34 milioni di moto, scooter e ciclomotori – ha sottolineato Antonio Perlot, Segretario Generale dell’ACEM – questo porta vantaggi considerevoli come mobilità a costi accessibili, riduzione dei livelli di congestionamento del traffico, accesso a impieghi e servizi e divertimento grazie all'uso nel tempo libero, allo sport e al turismo. L’industria motociclistica esorta i policy maker a livello locale, regionale e nazionale ad adottare politiche di sicurezza e mobilità motociclistica inclusive, a beneficio non solo degli utenti, ma anche della società.”

Secondo Matthew Baldwin, coordinatore europeo per la sicurezza stradale, oltre all'ACEM “Occorre coinvolgere altri attori di questo calibro a tutti i livelli. Si tratta di un modo efficiente per offrire iniziative sulla sicurezza su misura e pertinenti alla comunità dei motocicli. Continueremo a collaborare a stretto contatto con il settore e siamo entusiasti della loro determinazione ad aiutarci a raggiungere gli obiettivi di sicurezza convenuti all’interno dell’UE e, naturalmente, su scala globale a livello delle Nazioni Unite per il prossimo decennio.”

L'Unione Europea si è impegnata per dimezzare il numero di vittime e di lesioni gravi dovuti a incidenti stradali entro il 2030, e per raggiungere questo ambizioso obiettivo, ha ricordato il commissario europeo ai trasporti Adina Vălean, “Stiamo implementando l’approccio Safe System, che affronta tutte le aree cruciali della sicurezza stradale: infrastruttura, veicoli, comportamento alla guida e assistenza post-incidente. Il Label europeo per la qualità della formazione motociclistica ha ricevuto il pieno appoggio della Commissione europea. Dobbiamo continuare a collaborare per rendere le strade di tutta Europa più sicure per tutti”.

Il documento integrale si può scaricare a questo link

  • DettoFatto
    DettoFatto, Lodi (LO)

    Ci sono alcuni passaggi nel documento che fanno riflettere.

    Tanto per cominciare, l'iniziativa deve essere portata avanti a livello globale, non "locale": passi il discorso relativo alle infrastrutture (strade), che può richiedere diversi approcci; ma a livello di dispositivi tecnologici, non ha senso che si proceda in autonomia tra Europa e USA ad esempio.

    Per fare un esempio "micro" non ha più senso che esistano standard diversi per i caschi come ECE e DOT (i caschi sono fisicamente diversi, ossia con un diverso comportamento delle due calotte - ma la testa degli amici motociclisti d'oltreocano non credo sia strutturalmente diversa dalla nostra).
    Questo favorirebbe il mercato di tante aziende europee (e italiane) che oggi hanno problemi ad esportare i loro caschi non-DOT.

    L'affermazione "Riders who use their vehicle in a urban environment require different protective gear to those who drive more powerful motorcycles in rural environments, at higher speeds or in off-road activities" fa riflettere.
    Mi sembra una dicotomia pretestuosa.
    Se è certamente vero che cadere a oltre 100 km/h in strada extraurbana non è la stessa cosa che finire tamponati in un incrocio in città, è pur vero che è in città che si verifica il maggior numero di incidenti, e le velocità - se si considerano ad esempio le tangenziali - non sono sempre così modeste, anche per moto piccole.
    Difficile e poco sensato pensare ad abbigliamenti differenziati.
    Utile sarebbe l'airbag per tutti.

    Considero invece molto assennato il riferimento alle attitudini di guida dei motociclisti ("Safe vehicles must be driven safely."): guidare in modo sicuro richiede necessariamente un ripensamento su come si guida - a molti motociclisti non piacerà, questo è poco ma sicuro.
    L'installazione di diavolerie elettroniche che vedono oltre l'ostacolo non dovrà essere la scusa per pieghe ancora più dissennate nelle curve cieche.
    Il cornering ABS non deve dare la stura a chi ama le staccate fino a ingresso curva.

    Ma se si parla di uno sforzo collettivo e "di sistema", mi chiedo se abbia ancora senso proporre caschi jet, in futuro; mi chiedo se abbia ancora senso omologare per l'uso col passeggero motociclette "nate in pista" (il claim dell'ultima nata in casa BMW, ma vale per tutte le supersportive).
    Che senso ha avere il radar se poi faccio sedere la mia morosa su un trespolo con 200 cavalli e l'accelerazione di un Tornado?
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