Wada e Tamura, Kawasaki: “La famiglia Versys ora ha linee da Kawasaki”
Pensare che le nuove Kawasaki Versys siano semplici restyling, o tutt’al più semplici revisioni di dettaglio, dei modelli precedenti sarebbe un errore grossolano. La Casa di Akashi ha centellinato le informazioni prima del lancio stampa (a cui stiamo prendendo parte – leggerete a breve le prove dettagliati di entrambi i modelli) lasciandoci pensare a poco più di un semplice maquillage di due modelli che invece sono cambiati piuttosto profondamente.
Per capire meglio l’entità di questo cambiamento, e del perché di certe scelte abbiamo potuto scambiare qualche parola con Hiroyuki Wada ed Hiroshi Tamura, project leader rispettivamente di Versys 650 e 1000. Iniziamo con il dire, in attesa che possiate leggere le prove complete, che entrambe sono state riviste evidentemente nel look, ma anche nella ciclistica e nel propulsore. Un fattore che le accomuna è la scelta di nuove unità ammortizzanti all’avantreno, che segue la tendenza – nata con il fuoristrada – di limitare la taratura dell’azione idraulica ad un solo stelo – la 650 offre la regolazione del precarico allo stesso modo su una sola “gamba” della forcella, mentre la 1000 la presenta su entrambe.
Come mai questa scelta? Ci risponde Wada, che conosce bene la forcella Showa utilizzata su Versys 650.
«Ovviamente siamo sempre alla ricerca di nuove tecnologie. In questo caso la forcella che abbiamo adottato contribuisce ad alleggerire un po’ la moto e semplifica la vita al motociclista, che può effettuare regolazioni più rapidamente a parità di efficacia su una moto di questo tipo. E non dobbiamo sottovalutare anche l’aspetto estetico: i registri sulla testa della forcella dell’unità che abbiamo scelto sono decisamente più belli, e valorizzano il colpo d’occhio sul ponte di comando»
Le unità cosiddette a funzione separata ora vanno molto di moda nel fuoristrada, dove ora però hanno aggiunto l’assistenza pneumatica. Come mai non è stata scelta questa soluzione?
«Crediamo molto nell’efficacia di questa tecnologia, ma al momento le riteniamo un reale benefit solo su mezzi specialistici come quelli destinati alle competizioni fuoristradistiche, frangente in cui offrono significativi vantaggi in termini di manutenzione e facilità di messa a punto. L’impiego su modelli come Versys, 650 ma soprattutto 1000, darebbe sicuramente dei vantaggi e non escludiamo affatto che in futuro non si possa fare, ma al momento non è fra le nostre priorità»
E le sospensioni semiattive, diventate quasi uno standard per il segmento delle 1000-1200?
«Sono indubbiamente un’altra soluzione molto interessante e di grande richiamo per il pubblico» risponde Tamura, «ma decisamente anche molto costosa. Abbiamo deciso di fissarci un obiettivo di prezzo molto preciso nella definizione di Versys 1000, e abbiamo quindi dovuto rinunciare ad adottarle»
Torniamo alla 650, che a ben guardare è una proposta con ben poche dirette concorrenti sul mercato grazie alla scelta di una destinazione d’uso prettamente stradale. Come mai non si è pensato ad una versione più enduristica, con cerchio da 19 o 21 pollici, da affiancare all’attuale?
«In realtà ci abbiamo pensato – anzi, all’inizio dello sviluppo avevamo considerato anche l’avantreno da 19”. Fare due versioni però sarebbe stato troppo impegnativo per noi in termini di risorse per lo sviluppo del mezzo, e dovendo definire un solo modello abbiamo preferito concentrarci sui nostri punti di forza. Da indagini che abbiamo condotto abbiamo visto che al cliente tipo di Versys l’impiego in fuoristrada non interessava; era sufficiente che la moto potesse affrontare un breve tratto sterrato, cosa più che fattibile con la moto attuale. Montare un cerchio da 19” avrebbe penalizzato le doti stradali, il fattore divertimento che invece è considerato importantissimo dal pubblico di Versys, quindi abbiamo preferito restare fedeli alla nostra scelta iniziale»
E già che stiamo parlando di concorrenza, quali sono le rivali dei due modelli? Ci rispondono quasi all’unisono Wada e Tamura.
«Sicuramente per la 650 la Suzuki V-Strom, mentre la Honda NC (che abbiamo provato a suggerire, NdA) la vediamo solo parzialmente come un competitor – per lo più per l’uso urbano. La 1000 invece si scontra con la Triumph Tiger Sport, anche se da quando è iniziato il processo di sviluppo ad oggi Suzuki ha presentato la nuova V-Strom 1000, che frazionamento a parte è una moto che possiamo considerare come concorrente diretta. BMW S1000XR e Ducati Multistrada? Prezzo e dotazione le collocano su un livello superiore, ma riteniamo che a livello di comportamento dinamico la nostra 1000 sia assolutamente paragonabile»
Continuiamo il confronto con la concorrenza. Considerando l’attenzione rivolta ai consumi che i due modelli hanno ricevuto non sarebbe stato forse naturale pensare ad un comando acceleratore Ride-by-Wire?
«Anche in questo caso parliamo di una tecnologia molto interessante. Per la 650 il discorso è sostanzialmente legato al prezzo: adottare un sistema del genere lo avrebbe fatto lievitare troppo; per la 1000 ci siamo invece concentrati prevalentemente sulla riduzione delle emissioni in ottica Euro 4, riuscendoci anche con un comando tradizionale. Non escludiamo che possiate vedere un acceleratore Ride-by-Wire sul prossimo modello di Versys»
Le Case giapponesi sembrano in generale molto conservative, ultimamente, nell’introdurre nuove tecnologie, contrariamente a quanto avviene con i costruttori europei. Come mai questo atteggiamento?
«Principalmente per una questione di affidabilità, legata in gran parte alla mentalità giapponese. Nella nostra cultura creare prodotti inaffidabili, che possano tradire con una rottura un cliente che ha speso i suoi sudati risparmi in uno dei nostri prodotti sarebbe considerato quasi un affronto. Un cliente deluso si allontana dal marchio, ed è una pubblicità negativa a livelli quasi incomprensibili per un europeo. Ma capiamo che questa mentalità, oltre un certo limite, ci possa penalizzare perché agli occhi del pubblico sembra quasi che restiamo indietro rispetto alla concorrenza. Forse dovremmo trovare una giusta via di mezzo…»
Torniamo però a parlare di Versys, una famiglia in cui lo styling è stato profondamente rivisto. Una scelta facilmente comprensibile da noi europei, che non vedevamo nell’estetica delle crossover Kawasaki il loro punto forte. A cosa si sono ispirati per la definizione delle nuove linee?
«E’ vero: nella definizione dei modelli precedenti avevamo seguito un approccio troppo ingegneristico e troppo poco da designer: l’estetica era dettata esclusivamente dalla funzionalità. Lo sappiamo, c’era chi le amava e chi invece le odiava. Per le nuove però non possiamo dire di esserci ispirati ad altri modelli, pur definendo linee che ora sono sicuramente… più Kawasaki. In realtà la nuova estetica anche in questo caso non fa che seguire la diversa caratterizzazione dei modelli, più sportivi e protettivi – volevamo rendere le nostre Versys più dinamiche e dotate di comfort. Ora le linee sono più voluminose, ma allo stesso tempo più belle e funzionali»
Parliamo un po’ di tendenze future. La mobilità urbana sembra recitare un ruolo importantissimo nel mercato mondiale; la stessa Kawasaki è recentemente entrata nel segmento degli scooter con il J300. In che direzione pensano si possa andare?
«Lo stiamo studiando con molta attenzione: ad EICMA avete potuto vedere il nostro Concept J, che abbiamo pensato come una delle possibili soluzioni in un futuro non troppo remoto alle problematiche della mobilità urbana. Lo consideriamo però solo un primo passo, ne dovremo fare tanti altri, studiare, proporre, ripensare e capire. In questo momento posso dirvi che Kawasaki non è interessata a conquistare una quota di mercato significativa nel segmento scooter, anche se magari con la formula giusta i nostri fan potrebbero sicuramente apprezzare una proposta molto grintosa, sportiva e prestazionale»
E chiudiamo con una curiosità. Nella nostra chiacchierata abbiamo finito per divagare citando diversi altri modelli Kawasaki, e la disponibilità dei nostri interlocutori ci consente una domanda relativa alla filosofia della Casa di Akashi.
Kawasaki tradizionalmente non ha mai creduto troppo nei vincoli di cilindrata – il passato delle verdone è pieno di esempi, a partire dalla KLR 570, passando per la GPz600R (quando le concorrenti erano tutte 550) per finire, ovviamente, con le Ninja da 636 centimetri cubici e la Z750. E’ evidente che la definizione di un modello, in quel di Akashi, non parta dalla cilindrata. Ci permettiamo quindi di chiedere: come arrivano a definire la cubatura di un modello?
«La risposta è al tempo stesso molto semplice e molto complessa. Generalmente il ciclo di sviluppo di un nuovo modello Kawasaki parte dal capire cosa ci chiede il cliente. Cerchiamo di non pensare in termini di vincoli imposti dal mercato, dalle proposte della concorrenza o dai regolamenti sportivi: in una prima fase, certo, definiamo un motore con una cubatura di riferimento, poi sviluppiamo la ciclistica e successivamente arriviamo ad isolare il livello prestazionale che ci prefiggiamo. Dopodiché siamo in grado di capire che cilindrata ci serve per raggiungerlo, ed accordiamo di conseguenza motore e ciclistica»
Penso!
Il valore del lavoro...