Ben Spies: "Avrei voluto restare in AMA"
Ben Spies è stato uno di quei piloti un po' misteriosi - alla Freddie Spencer, per capirci. Velocissimo, con uno stile nuovo (a gomiti tutti in fuori, da crossista, da cui il soprannome Elbowz), capace di vincere al debutto e regalare alla Casa per cui correva - Yamaha - quel titolo Superbike che fino al 2009 le era sempre sfuggito, nonostante un dispiego di talenti non banale in sella.
Negli USA, dove è nato e cresciuto, ha esordito con le derivate di serie. Dopo un paio di stagioni in Superstock arriva nel team Suzuki-Yoshimura, dove batte subito quel Mat Mladin dominatore (quasi) incontrastato fino a quel momento. Tre titoli consecutivi, tante schermaglie dentro e fuori dalla pista e poi via, nel Mondiale, con la nuova Yamaha YZF-R1 crossplane. Poi la MotoGP, dove aveva fatto un paio di Wild Card con la M1 privata del team Tech 3, con cui a Indianapolis fa la pole e si piazza secondo. E nel 2011 la vittoria di Assen. Poi la brutta botta in Australia, con cui entra in una spirale negativa dalla quale non esce più: Ben perde fiducia nella moto, il team la perde in lui. E alla fine dell'anno, l'infortunio alla spalla - risultato ben più complesso di una semplice lussazione, con interessamento dei nervi - di fatto mette fine alla sua carriera.
Estremamente riservato, un po' soffocato dalla presenza ingombrante di quella mamma Mary con la quale ha un rapporto quasi morboso, Spies è sempre stato un po' misterioso, come appunto Spencer. Solo ora, grazie a un'intervista - sintetica ma significativa - pubblicata dal podcast di Motoamerica, si scoprono un paio di interessanti retroscena. Come il fatto che, fosse stato per lui, non sarebbe mai venuto a correre in Europa.
"Non mi fraintendete, l'anno del Mondiale in Superbike è stato perfetto" ha spiegato Spies. "Abbiamo vinto il titolo facendo cose fantastiche. Ma sinceramente, ero molto più felice quando correvo nell'AMA. Viaggiavo con mio cugino, su un camper con cui abbiamo girato per tutto il Paese. Il punto è che odio volare, era la cosa che mi dava più fastidio nella mia carriera al Mondiale. Non so perché, ma ne ho sempre avuto paura. Se potessi, non sceglierei mai l'aereo per spostarmi."
Viene da chiedersi come mai allora abbia scelto la carriera mondiale. Ma anche qui emerge un retroscena: la mostruosa crisi economica che già a fine 2007 ha colpito gli Stati Uniti - prima di espandersi in tutto il mondo - ha sostanzialmente messo in ginocchio il mercato statunitense delle sportive, determinando di conseguenza la rovina del campionato AMA, passato nel giro di pochi anni da una delle più interessanti serie nazionali a campionato in un campionato in fallimento, prima di venire rilevato dalla gestione Motoamerica. E la cosa ha costretto Spies a ripensare le sue prospettive.
"Quando l'economia è crollata, Mel Harris (il manager del team Yoshimura) fu costretto a non rinnovarmi il contratto, e mi suggerì di trasferirmi in Europa. Allora chiamai la filiale americana di Yamaha, cercando di trovare un accordo per correre con loro negli USA, ma anche loro mi hanno proposto di andare al Mondiale, in Europa. Così ho accettato e ho corso in Superbike, ma se fosse dipeso da me e gli eventi del 2008 non fossero accaduti, non sarei mai andato in Europa".
Una dichiarazione quasi paradossale, visto il successo ottenuto da Spies. Che però riconduce tutto al discorso iniziale. "Non è perché non lo volessi o perché dubitassi di essere competitivo al Mondiale. È che sono abbastanza introverso e adoro viaggiare con il mio camper, con cui posso portare il mio cane quando mi sposto per gli Stati Uniti. Non che avessi nulla contro l'Europa, ma sapevo che il mio modo di viaggiare sarebbe dovuto cambiare..."
Nell'AMA di quegli anni c'erano ingaggi a nove cifre...e si vinceva...
Resta un grande per quello che ha fatto in WSBK.