Valentino Rossi: 26 anni di storia della MotoGP
Fa quasi impressione dirlo: quella di domani, domenica 14 novembre 2021, sarà l'ultima gara di Valentino Rossi in MotoGP. E anche se - ammettiamolo - con i risultati degli ultimi anni Rossi ci ha involontariamente reso meno doloroso il distacco, sarà molto difficile per chi ha visto e vissuto in qualche maniera tutta la sua carriera non sentirsi inevitabilmente un po' più vecchi.
Su una cosa non ci possono essere divergenze fra sostenitori e detrattori del nove volte iridato, perché il calendario è lì e non mente. La carriera di Valentino, dall'esordio nel Mondiale a oggi, ha attraversato diverse epoche e cilindrate. Epoche che costituiscono tasselli importanti della storia del Mondiale, in cui quasi sempre Rossi ha lasciato la firma, e che ci piace ripercorrere oggi, per dare la misura della straordinarietà di una carriera tanto lunga.
La 125 ai tempi dei giapponesi
Piloti, non case. La prima stagione completa di Rossi al Mondiale, nel 1996, è nel bel mezzo di quel periodo in cui la scuola giapponese domina in lungo e in largo nella minima cilindrata. Aoki, Manako, Tokudome, Sakata, Saito, sono i riferimenti della categoria patrimonio, fino a qualche anno prima, di italiani e spagnoli.
Valentino Rossi, affascinatissimo dalla scuola giapponese - il suo primo soprannome, Rossifumi, è un omaggio al compianto Norifumi Abe - è l'unico in grado di interrompere la loro egemonia. Li studia, impara, e su un'Aprilia 125 riporta il Mondiale in italia cinque anni dopo il titolo di Alex Gramigni, firmando il secondo iride nella minima cilindrata per la Casa di Noale. I giapponesi non sono imbattibili, anche se, all'epoca, spesso lo sembravano.
L'Aprilia imbattibile
Vinto il titolo nel 1997, Rossi sale di categoria l'anno successivo entrando nella squadra Aprilia forse più forte di sempre. A Noale hanno perso il titolo l'anno prima, sconfitti da quel Max Biaggi che aveva firmato i primi tre iridi Aprilia in 250, e non vogliono lasciare nulla al caso. Capirossi, Harada, Rossi: la vittoria è affare privato dell'Aprilia, tranne per quel Gran Premio del Giappone in cui si afferma la giovane wild card Daijiro Kato. E quando non vince uno di loro, al Mugello, vince il collaudatore di lusso Marcellino Lucchi, che a quarant'anni suonati si toglie una delle soddisfazioni più belle della sua vita.
Per vincere serve un'Aprilia, ma bisogna anche essere il pilota migliore di una squadra che all'epoca annovera (logicamente) i piloti più forti del periodo. Ma sono profetiche le parole di Mick Doohan, che intervistato a caldo dopo quel GP dell'Argentina in cui Harada e Capirossi si giocano il titolo fra scontri e polemiche, risponde comunque: "Il migliore, comunque, è quello che oggi ha vinto la gara". E puntuale, l'anno dopo, Valentino vince il Mondiale.
Le 500 a due tempi
Il debutto in classe regina avviene nel team più ambito di tutti, quello capitanato da Jeremy Burgess e con la Honda, nelle ultime due stagioni delle 500 a due tempi. Rossi replica lo schema degli anni precedenti - prende le misure il primo anno, cadendo tanto per eccesso di confidenza ma rivelandosi già vincente - e poi si aggiudica il titolo quello successivo.
È l'ultimo periodo delle due tempi, moto leggendarie per il loro nervosismo - sia pure ingentilite dall'arrivo della benzina senza piombo e dalle prime gestioni elettroniche degne di tale nome - che creavano (e spaccavano) piloti altrettanto leggendari. Un'esperienza che Rossi si porta dietro in MotoGP, e che contribuirà sicuramente molto alla sua formazione e quelle sue doti di collaudatore che gli fruttarono il soprannome "The Doctor".
L'alba della MotoGP
L'inizio della MotoGP, nel 2002 fa quasi impressione a riviverlo adesso. Uno schieramento con solo quattro vere MotoGP a quattro tempi - Honda e Yamaha ufficiali, anche se nel corso dell'anno arrivarono una Honda in più e la Kawasaki - e il resto della griglia sulle 500 a due tempi, relegate al ruolo di comparse tranne che nei circuiti più tortuosi e tormentati come Assen e il Sachsenring.
Rossi è in sella alla RC211V che assieme al suo team avevano voluto e definito. Il primo prototipo portato da Honda ai test era un missile in rettilineo (pensato aerodinamicamente più per somigliare alla CBR600RR lanciata quell'anno che non per essere effettivamente efficace) ma poco efficace nel guidato, tanto da far dubitare di volerci davvero correre e non preferire piuttosto la 500. A Tokyo prendono nota e correggono il tiro, dando vita a una delle moto migliori mai create. Gli avversari possono poco, in compenso chi sale sulla RC 211V diventa subito velocissimo.
Il primo anno la Yamaha vince due gare con Biaggi, nel secondo solo la Ducati, con un po' di fortuna, vince una gara. Tutte le altre sono affermazioni Honda. Tanto da far pensare che solo un pazzo potrebbe abbandonare la sella più ambita della MotoGP...
L'era Yamaha
I quattro anni di Rossi con la Yamaha 990 e poi 800 molto significativi perché oltre a cementare la leggenda di Valentino - che vince il titolo all'esordio, e nel 2005 risulta quasi imbattibile - sono quelli in cui la MotoGP è cresciuta di popolarità (anche grazie al fenomeno Rossi) fino ad avvicinare i livelli attuali. In quel periodo il Mondiale fa il salto di qualità seguendo le orme della Formula 1 - nel bene e nel male - inizia a spingersi sempre più spesso fuori dall'Europa, si inizia a correre in notturna, e le griglie si riempiono con l'arrivo di team che vorrebbero replicare il modello della F1, dove costruttori indipendenti competono con le grandi case. La situazione cambierà poi radicalmente nel giro di poche stagioni, con l'arrivo della crisi economica, ma quello a cavallo fra il 2004 e il 2010 è forse il periodo di maggior fermento tecnico e sportivo della MotoGP.
Arriva anche una nuova generazione di piloti con cui Rossi deve scontrarsi. Vince, perde, si evolve nello stile di guida e nell'allenamento. Ducati vince il suo primo Mondiale, Honda firma l'ultimo anno di 990 con il compianto Nicky Hayden, arrivano fenomeni del calibro di Stoner, Lorenzo e Pedrosa. Un'epoca irripetibile, di cui Rossi, volenti o nolenti, è stato comunque l'unico protagonista a viverla dall'inizio alla fine.
La Ducati e il ritorno alle 1000
A fine 2010 Rossi, battuto da Lorenzo e semi-convalescente, tenta un altro cambio di casacca salendo sulla sella della Ducati che Stoner, nel frattempo, ha lasciato libera. Il matrimonio fra Rossi e la Desmosedici, a cavallo del cambio di regolamento che vede il passaggio dalle 800 alle 1000, non funzionerà. Troppo diverse le richieste di Rossi alla moto e le esigenze della Desmosedici dal suo pilota, ma fra i motivi c'è anche una MotoGP diventata sempre più complessa, sofisticata e raffinata.
Un'elettronica sempre più pervasiva e importante, gomme dal range sempre più ristretto e quindi sempre più univoche nella sfruttabilità, regolamenti sempre più restrittivi per contenere i costi (che comunque schizzano verso l'alto perché le case tentano in tutti i modi di aggirarli, vedi il cambio seamless...) fanno sì che chi resta indietro, o imbocca una strada sbagliata nello sviluppo, faccia sempre più fatica a recuperare. Nel frattempo il circus continua a crescere, in barba alla crisi, le riprese sono sempre più spettacolari, lo show in generale è sempre più apprezzato e bello. Ma è necessario ripristinare l'incertezza frenando le fughe in avanti...
Rossi e l'era Marquez
Valentino nel frattempo torna in Yamaha, dove deve riguadagnarsi la fiducia della Casa, che ha in Lorenzo il suo pilota di punta. È storia recente, Rossi tornerà alla vittoria nelle gare ma non riuscirà ad aggiudicarsi l'agognato decimo titolo. Nel frattempo è arrivato l'avversario più duro della sua carriera, quel Marquez che spesso appare come una sintesi della velocità e del controllo di Stoner e dell'astuzia tattica di Rossi stesso, e che di fatto definirà con il suo stile di guida e le sue prestazioni tutta un'epoca, che arriva fino a oggi.
Cambiano gli avversari, molto più giovani, cambiano le moto, cambia lo stile di guida, più fisico e "diverso", necessario per sfruttarle al meglio. Rossi riesce nell'adattare la guida cambiandolo ancora una volta. Lavora come e più di tutti gli altri messi insieme, e riesce nel miracolo di essere - a cavallo degli "anta" - un avversario credibile per piloti con la metà dei suoi anni, e puntare al podio in sella a moto che sono si e no lontane parenti non solo delle due tempi con cui è iniziata la sua carriera iridata, ma anche delle MotoGP su cui ha costruito il suo successo.
Il tempo fa il suo corso, però, e la spirale di calo di risultati e motivazione ci porta alle ultime due stagioni, in cui il Valentino Rossi che abbiamo visto è la pallida ombra di quello che anche solo negli ultimi anni prima del 2020 ha comunque conquistato podi, pole e qualche vittoria.
E così a Valencia, sul circuito forse meno amato da Rossi, quello che porta più brutti ricordi, quello in cui aveva annunciato già il suo primo addio - a Honda, nel 2002 - ci sarà l'ultima gara di Valentino. L'ultima conferenza stampa, l'ultimo giro d'onore, e sicuramente un saluto speciale al pubblico e a tutto il circus. Ci piacerebbe pensare che ci possa essere un ultimo podio, ma nemmeno il fan più accanito ormai si può aspettare un simile salto di prestazioni.
Quello che invece ci aspettiamo è un rientro a fine gara come si è già visto, sempre a Valencia, in uno dei giorni di quei brutti ricordi. E ci sentiamo facili profeti nel pensare che lo spettacolo che si vedrà in pitlane domenica, alle 15, non sarà molto diverso dall'immagine che c'è qui sotto e che tutti riconosceranno. Perché quando scrivi la storia per ventisei anni, quando smetti finisce poi che tutti, non solo noi, si sentono davvero un po' più vecchi.
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Angelo142, Verdello (BG)Nel 97 avrà pure riportato il titolo in italia ma Aprilia già l anno prima aveva vinto il titolo costruttori.e così via...
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Edouard BracameComunque c'è poco da dire, il più bel regalo per il suo ultimo GP gliel'ha fatto Marc Marquez... restando a casa.