Come è nata la Suzuki GSX-R 1000
Vi abbiamo ormai raccontato quasi tutto della nuova Suzuki GSX-R1000 e della Casa di Hamamatsu stessa. In occasione del nostro viaggio in Giappone, vi abbiamo portato con mano a… visitare il museo Suzuki, sulla pista test di Ryuyo, vi abbiamo spiegato nel dettaglio la filosofia di sviluppo dei loro modelli, per poi svelarvi finalmente tutti i dettagli della nuova GSX-R 1000 (e GSX-R 1000R) svelata a Colonia, per poi ripercorrere la carriera agonistica della stirpe supersportiva più longeva della storia motociclistica.
In attesa di toccarla con mano e vederla da vicino ad EICMA, fra poco più di una settimana, vi presentiamo l’ultima puntata del nostro speciale, in cui, con le parole di Moriya-san, chief engineer per le sportive Suzuki nonché responsabile del progetto GSX-R1000, vi racconteremo ancora qualcosa sulla genesi di un modello che crediamo farà storia. Per Suzuki e per il segmento in generale.
Come vi abbiamo già raccontato, nei circa 60 anni di storia di produzione motociclistica le corse hanno sempre rivestito un ruolo fondamentale per Suzuki, tanto da spingere Moriya-san a dichiarare che "la storia delle moto Suzuki va di pari passo con le corse". Se è vero che la prima moto – più una bici motorizzata che una vera moto, la Power Free del 1952 – è nata con intenti più utilitaristici che non sportivi, è altrettanto vero che non è passato molto prima che qualcuno decidesse di correrci, iniziando a collezionare record con la Diamond Free e con la Colleda CO già nel 1954, proprio quando Suzuki diventò “Suzuki Motor Company”.
Sempre più soffocata dal mercato interno, Suzuki ha deciso quindi di puntare all’estero rendendosi però presto conto di come fosse necessario partire da gare diverse da quelle che si correvano sul territorio nazionale – e in cui la Casa di Hamamatsu era impegnata fin da subito correndo nelle massime categorie – per migliorare il DNA delle proprie moto. E allora non c’era gara migliore del Tourist Trophy, per mettersi a confronto con le altre Case e sviluppare quindi il proprio prodotto. Suzuki non ci mette molto a vincerlo: si presenta nel 1960, nel 1962 vince la prima volta con Degner, e l’anno successivo replica con Mitsuo Ito.
Il resto è storia nota: arrivano le affermazioni di Barry Sheene con le 500 a due tempi, poi i nostri Lucchinelli e Uncini in quel periodo magico a cavallo fra gli anni 70 e 80, in cui le RG-Gamma sono virtualmente imbattibili. A fine anni 80 appare la leggenda Kevin Schwantz, poi è il turno di Roberts jr fino ad arrivare a Vermeulen e Viñales oggi.
Le gare sono state il banco prova che Suzuki ha sempre sfruttato per migliorare la produzione di serie: il telaio in alluminio e il raffreddamento SACS ad aria ed olio della GSX-R non sarebbero mai nati senza le corse in cui Suzuki ha sviluppato le sue XR, e i motori tricilindrici a due tempi delle GT non sarebbero mai arrivati senza le competizioni.
Negli ultimi anni, l’esperienza Suzuki l’ha accumulata fra il team SERT Endurance e la Superbike (soprattutto nei campionati nazionali più competitivi), dove ha conquistato qualcosa come come 20 titoli negli anni 2000, ma naturalmente anche la MotoGP, da cui però si è attinto con filosofie e processi quasi antitetici.
MotoGP ed Endurance sono praticamente agli opposti: in MotoGP si corre con la tecnologia più estrema, spremuta al massimo, mentre nell’Endurance è necessario privilegiare affidabilità e sfruttabilità del mezzo. Si corre con moto praticamente di serie, il cui potenziale è molto importante: una vittoria conquistata dopo gare molto lunghe indica grande affidabilità, ma anche prestazioni facilmente accessibili dal pilota. In gare da 8, 12 e 24 ore il pilota è molto stressato, quindi la moto dev’essere comoda e facile da sfruttare e non richiedere una guida troppo fisica, altrimenti il risultato non arriva.
Naturale che le informazioni arrivino secondo canali diversi: dai team Superbike ed Endurance arrivano richieste più pratiche, sui dettagli, che si possono soddisfare quasi subito. Dalla MotoGP arrivano soluzioni tecniche che arriveranno prima o poi sulle moto di serie (o si scopriranno inadatte alla produzione di larga serie), ma dopo anni di lavoro – pensate alla distribuzione variabile o all’albero crossplane di cui vi abbiamo raccontato nell’articolo relativo alla nuova GSX-R1000.
Il progetto della nuova GSX-R1000 è partito sette anni fa, parallelamente all’uscita dell’ultimo, vero cambio di modello che ha dato vita a quella K9 poi aggiornata nel 2011, quando il team di progetto – un sottoinsieme dei 1.200 dipendenti Suzuki che lavorano a Ryuyo fra collaudatori, ingegneri, designer e tutte le persone con ruolo amministrativo a sostegno dei tecnici – aveva già iniziato il lavoro in termini di definizione delle tecnologie da sfruttare, target prestazionali e selezione delle soluzioni tecniche.
Sette anni sono praticamente un’era geologica nel mondo delle sportive, anche con il rallentamento dello sviluppo degli ultimi anni dove le rivoluzioni si contano sulle dita di una mano, a causa dell’arrivo della crisi finanziaria che ha dato il colpo di grazia ad un segmento già in calo di vendite, e un terremoto che ha colpito Hamamatsu rallentando il lavoro dei tecnici.
Viene da chiedersi come si possa effettuare una stima prestazionale in fase di avvio di un progetto che si completerà così avanti nel tempo: pensate alla crescita prestazionale del settore rispetto a sette anni fa, quando – per dirne una – la BMW S1000RR non era ancora arrivata a farci prendere confidenza con potenze attorno ai 200 cavalli. Moriya-san sorride, e spiega come l’esperienza dei tecnici serva anche a questo: a prevedere quanto possano progredire determinati aspetti tecnici fino ad arrivare ad orizzonti tanto distanti. Ovviamente, mano a mano che le moto dei competitor vengono commercializzate, vengono acquistate, provate e nel caso si adattano i target prestazionali.
Sono molto importanti anche il feedback da parte delle filiali nazionali e – nel caso ovviamente delle supersportive, o comunque dei mezzi da competizione come le cross – dei team che le porteranno in gara. Per fare un esempio, viene chiesto agli importatori di chiedere ai clienti quanto vengono utilizzate le soluzioni più caratteristiche come i power modes, per capire se mantenerle, svilupparle oppure abbandonarle.
Per quanto riguarda gli altri input, Suzuki ha rapporti strettissimi con partner come Yoshimura, il team SERT e la squadra impegnata nella Superbike AMA, e raccoglie informazioni da tutti i piloti e le squadre impegnati con la GSX-R nel mondo. Inoltre, naturalmente, nel campionato All-Japan Suzuki schiera alcuni piloti giapponesi con assistenza ufficiale, e li coinvolge nello sviluppo dei prodotti, perché i piloti professionisti sono in grado di offrire un punto di vista diverso sia dai collaudatori che dai clienti finali, e quindi input importantissimi su moto che poi dovranno portare in gara.
Considerando lo spettro ampissimo di utilizzi a cui viene destinata la GSX-R, ci viene anche da chiedere se queste esigenze vengano tenute presente nel processo di sviluppo. Dopotutto, negli USA si vedono tante Gixxer trasformate in veri e propri dragster, in Gran Bretagna pullulano le repliche delle moto usate in BSB, i motociclisti tedeschi gli schiaffano sopra manubri larghi e le trasformano in sport-tourer… la risposta è abbastanza scontata: chiaramente vengono tenuti in considerazione tutti i diversi impieghi attraverso analisi di mercato e survey per la definizione dello sviluppo iniziale, ma una volta stabilito…come avrebbe dovuto essere questa nuova GSX-R1000, tecnici, designer e collaudatori hanno proseguito in una direzione unica definita all’inizio.
Ecco, vi abbiamo detto tutto: potete venire ad EICMA e toccare la moto con mano, perché ormai la conoscete come le vostre tasche, e vi resta solo da sedervici sopra per verificare come vi trovate in sella. Dopodiché, a noi ci resterà solo da provarla e raccontarvi come va…
202cv.