La quarantena di Romano Fenati, tra la paura del virus e una Vespa da sistemare

- Il nuovo pilota del team di Max Biaggi in Moto3 si racconta dal ritiro forzato casalingo
La quarantena di Romano Fenati, tra la paura del virus e una Vespa da sistemare

“Non rilascio interviste. In questo periodo sono impegnatissimo e non ho tempo. Ma no, dai! Scherzo ovviamente! Non ho molto da fare, come tutti di questi tempi, quindi dimmi pure. Anche adesso!” .

Comincia così la telefonata per programmare una intervista con Romano Fenati, portacolori del Max Racing Team nel Campionato del Mondo di Moto3. Una battuta, per alleggerire il momento e mettersi alle spalle anche uno spavento ancora fresco.

Ho avuto febbre, tosse, spossatezza. Insomma: tutti quei sintomi che vengono descritti come tipici del Covid-19. Mi è stato fatto il tampone e, per fortuna, era negativo, ma la paura è stata veramente tanta. In quelle settimane non c’erano particolari restrizioni, abbiamo girato molto e ho davvero temuto di averlo preso”.

Fenati racconta così i giorni che hanno preceduto l’esordio nel nuovo team in Moto3 in Qatar, chiuso al diciassettesimo posto. A svelare il retroscena è stato lo stesso pilota ascolano, raggiunto telefonicamente nella sua abitazione di Ascoli Piceno. Il pilota ventiquattrenne sta trascorrendo lì questi giorni di riposo forzato.

Il come lo abbiamo chiesto direttamente a lui…

Per me è quasi una esperienza nuova. Non posso parlare di una esperienza positiva perchè è dettata da una pandemia che coinvolge di fatto tutto il mondo e che rappresenta una tragedia per molti, ma nella mia vita sono stato sempre in giro, dietro alle corse in moto, e stare così a lungo in famiglia, con gli affetti di sempre, con la mia fidanzata, tra le mie cose, è una sensazione nuova e assolutamente piacevole da un punto di vista personale.

E come passi il tempo oltre a goderti la famiglia e gli affetti?

Mi alleno molto, con quello che ho e per come posso. Ho qualche attrezzo, faccio molti esercizi a corpo libero e cerco, insomma, di tenermi in forma per essere pronto. E poi, in garage, avevo un vecchio amore che mi aspettava dal 2011. La mia Vespa 50 Special, con il motore grippato e da rivedere. Questi giorni hanno rappresentato l’occasione per rimetterci mano e sistemarla.

Riportandola all’originale o truccata come la gran parte delle Vespe di gioventù?

Originale, è bella così. E ora il prossimo progetto potrebbe mantenersi all’insegna di Piaggio, visto che ho anche un vecchio Sì da rimettere a posto, ma per quello dovrei anche sistemare alcuni aspetti burocratici per poterlo guidare in strada: è fermo da anni ed ha ancora la vecchia targa. Il resto del tempo lo passo come tutti i ragazzi della mia età in questi giorni. E ci sono anche le videochiamate con i ragazzi del team e Max Biaggi.

Lo senti spesso? Che significa, per te, lavorare nel suo team.  E com'è come dirigente?

Sì, ci sentiamo spesso. E’ un pilota, Max è prima di tutto un pilota ed è così che si approccia a noi, favorendo, di fatto, un canale di comunicazione più immediato. E’ chiaro che è un onore e un privilegio lavorare con chi ha così tanto da darti. La sua pignoleria, la sua attenzione all’analisi, la sua cura dei dettagli sono incredibili. Un maestro campione prima ancora che un ottimo dirigente.

Il Qatar, per la Moto3, è stata la prima, ma questo lungo stop farà in modo che la ripresa sarà a tutti gli effetti un nuovo inizio. Secondo te quando?

In Qatar ci siamo trascinati dietro un problema che non siamo riusciti a risolvere, io stesso non ero perfettamente in forma per via dei malanni di qualche giorno prima, oltre al fatto che per noi era tutto nuovo, ma l’aver fatto il miglior tempo a fine gara ci ha fornito buonissime indicazioni sul potenziale che possiamo sviluppare e su quale è stato il nostro problema nello specifico: abbiamo troppo grip.

Guardando al futuro, invece, direi che ricominciare dal Mugello e al Mugello sarebbe pazzesco e emozionante. Ma non dobbiamo farci prendere dalla fretta. Noi, come tutti, dobbiamo avere rispetto per quello che sta accadendo e se c’è da fare il sacrificio di star fermi un po’ di più è giusto farlo. Anche perché il rischio non è solo ammalarsi, ma far ammalare gli altri. Ed è un rischio che certamente non vale la pena di correre. Sono un pilota, è chiaro che non vedo l’ora di rimettermi in sella, perché quella è la mia vita e la mia passione, ma adesso è il momento della razionalità e per quanto mi riguarda penso solo a tenermi pronto e in forma per quando ci diranno che sarà di nuovo l’ora di schierarci in griglia.

Sono convinto, però, che se stiamo a casa, se prestiamo tutti la massima attenzione, se ci atteniamo scrupolosamente alle indicazioni che ci vengono fornite, ognuno per la sua parte, riusciremo ad uscire più in fretta, e tutti insieme, da questo incubo.

Un incubo che accomuna il Paese e che ci chiede di stare “tutti a casa”. Ma tu sei marchigiano, e appena pochi anni fa ne hai vissuto un altro di incubo che, invece, ha costretto tanti marchigiani, così come gli umbri, gli abruzzesi e alcuni laziali, ad uscire “tutti fuori casa”…

Sì, il sisma del 2016 è stato un altro incubo. Per quanto riguarda la mia famiglia e me non abbiamo vissuto conseguenze dirette, viviamo ancora nella stessa abitazione che non ha subito danni, ma so bene, purtroppo, di quanta gente e quante comunità hanno sofferto e soffrono per quello che è accaduto in quei giorni del 2016.

Non ho seguito da vicino la ricostruzione e le sue dinamiche, e non sta certo a me analizzare queste faccende, ma so che qualcosa è stato fatto e che tanto, ancora tanto, è da fare. Però questi sono posti straordinari, con un potenziale incredibile e non ho dubbi sul fatto che questi territori ce la faranno a riprendersi anche da quel dramma.

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