La storia dei V4 Honda da corsa. Terza puntata
Nell’85, il motore raffreddato a liquido in versione base (vedi VF750F) rimase fondamentalmente immutato, ma ne venne modificato l’ordine di accensione, e arrivarono nuovi impianti di scarico tipo 4-in 2-in 1. Per irrobustire notevolmente il telaio, inoltre, il precedente a doppia culla in tubi quadri d’acciaio venne sostituito da una nuova struttura a diamante, costituita da due grosse e robuste travi d’alluminio. Questi miglioramenti consentirono alla RVF750 di vincere parecchie gare di livello internazionale, incluse le due mitiche icone dell’Endurance: il Bol D’Or francese e la 8 Ore di Suzuka, notoriamente importantissima per tutte le Case giapponesi. E nel 1986 Honda arrivò l’oggi leggendaria VFR750F, sviluppata in base all’esperienza fatta con la RVF. Completamente ridisegnato, il nuovo, compattissimo V4 godeva di un albero motore fasato a 180° e della distribuzione azionata da cascata d’ingranaggi, e le sue impressionanti prestazioni la resero in brevissimo tempo un must per gli appassionati delle moto sportive di tutto il mondo. Questo raffinato gioiello della tecnica venne poi naturalmente utilizzato su parecchie altre moto da corsa.
La racer replica per eccellenza
Dotata di un motore VFR750F preparato per le competizioni, la RVF750 dominò dunque un po’ dappertutto. Tuttavia, poiché l’allora costituita categoria TT-F1 prevedeva l’utilizzo di moto derivate dalla serie, erano logicamente permesse solo poche modifiche. “Volevamo incrementare il potenziale
della nostra moto, e fornire ai piloti un mezzo potenzialmente vincente” raccontava uno dei progettisti. A differenza delle “normali” moto da corsa derivate dalla serie, ecco dunque una nuova moto progettata secondo specifiche racing, quindi nata già potenzialmente vincente, ma comunque prodotta in serie. Denominata VFR750R/RC30 (la VFR750F era siglata RC24), la nuova arrivata godeva dello stato dell’arte della tecnologia da corsa, ed era chiaramente dotata di un potente V4 preparato per vincere da subito: questo grazie a nuovi alberi a camme più spinti e con ingranaggi più piccoli e leggeri, per consentire regimi di rotazione notevolmente più elevati; ma c’erano anche pistoni a due segmenti e addirittura bielle in titanio. Quanto alla ciclistica, svettavano un sofisticato forcellone posteriore monobraccio in alluminio, una carenatura in materiale molto leggero e parecchi altri particolari di pregio atti a realizzare la moto da battere nella sua categoria. Non solo: le RC30 non venivano assemblate su una normale linea di produzione, ma costruite a mano, una ad una, in HRC. Questa meraviglia debuttò nel 1987, e l’anno successivo una versione speciale dotata di un motore di derivazione RVF vinse il Campionato Mondiale Superbike con Fred Merkel.
RC45
Quella si che è una perla rara....spettacolare!