Massimo Clarke: "Aermacchi, le ali di Varese"
Dopo il termine della seconda guerra mondiale diverse aziende che avevano lavorato per le forze armate, fabbricando veicoli, aerei e componenti, sono state costrette a riconvertire le loro strutture produttive. Alcune si sono rivolte al settore motociclistico, che si stava rivelando molto vitale, data la forte necessità di mezzi di trasporto economici in quel periodo di ricostruzione. L’Aeronautica Macchi di Varese, pur continuando a rimanere attiva (ma a ritmo ridotto) nel settore avio, ha così iniziato a produrre validi motocarri, ben presto affiancati da motoleggere semplici e di basso costo, azionate da motori a due tempi. L’esordio, con tanto di marchio Aermacchi, è avvenuto al Salone di Milano del 1950, con la presentazione della 125 N, progettata da Lino Tonti, che poteva essere considerata una via di mezzo tra una moto e uno scooter a ruote alte.
In seguito alla ripresa economica, ben presto è stato evidente che iniziava ad esserci una notevole richiesta di modelli di maggiore cilindrata, con prestazioni più elevate e con motore a quattro tempi. Di particolare interesse appariva la classe 175, nella quale erano state leste a proporre ottime moto case come la Morini, la Parilla e la Bianchi. La Aermacchi è entrata in questo settore di mercato con un po’ di ritardo, come del resto la Ducati, ma lo ha fatto in maniera eclatante, con una moto carrozzata dallo styling avveniristico che, se fosse stata realizzata in un’altra epoca, avrebbe probabilmente avuto una ben diversa fortuna. Si trattava della Chimera 175, presentata alla fine del 1956, che dal punto di vista commerciale è stata un autentico fiasco. La stessa sorte peraltro è toccata ad altre moto carrozzate come la Motom 98 TS (anche lei oggi quotatissima) e la Parilla Slughi. Il pubblico non era ancora pronto per proposte così avanzate…
Diversi mesi dopo ha fatto la sua comparsa la Chimera 250, ma la sua fortuna commerciale non è stata diversa da quella della versione di minore cilindrata, della quale riprendeva l’architettura costruttiva e le soluzioni tecniche (in pratica cambiavano solo le misure di alesaggio e corsa, che passavano da 60 x 61 mm a 66 x 72 mm, e poco altro). Il motore era un monocilindrico orizzontale con distribuzione ad aste e bilancieri, lubrificazione a carter umido, cambio a quattro rapporti e trasmissione primaria a ingranaggi.
Spuntano le ali
Quasi subito è stato chiaro che il mercato richiedeva qualcosa di diverso, ovvero moto più semplici e meno ardite dal punto di vista stilistico. È stato così che il tecnico Alfredo Bianchi, progettista tanto del motore quanto della ciclistica, ha sviluppato nuove versioni della sua monocilindrica totalmente prive di carrozzeria, con il motore (che peraltro aveva un’estetica particolare, piacevole e grintosa allo stesso tempo) in bella vista. Al Salone di Milano del 1957 nello stand Aermacchi erano così presenti assieme alla nuova Chimera 250, tre modelli “nudi” di 175 cm3, denominati Ala Bianca, Ala Rossa (più sportiva) e Ala d’Oro, destinata ai piloti juniores e alle gare in salita. E c’era pure una 250, semplice e robusta “nuda” di impostazione turistica, che disponeva di 13,7 cv a 6500 giri/min. Nel 1959 ha fatto la sua comparsa l’Ala Verde, versione sportiva della 250, destinata a diventare grande protagonista della scena motociclistica italiana per tutto il decennio successivo. Il 1960 è stato un anno di importanza fondamentale per la casa lombarda (dal 1957 non solo lo stabilimento, ma anche gli uffici tecnici avevano sede sul lago di Varese, in località Schiranna). Non solo ha fatto la sua comparsa l’Ala d’Oro 250, ma la stessa ragione sociale della ditta è diventata Aermacchi-Harley Davidson, dato che in aprile la grande casa americana aveva acquisito il 50% delle azioni. In parallelo con i modelli destinati all’Italia (e ai mercati europei, come quello inglese), hanno iniziato così ad essere costruiti quelli per gli USA, in numeri che sono cresciuti fino a costituire oltre il 70% della intera produzione.
La moto di punta della gamma per tutti gli anni Sessanta è stata l’Ala Verde, caratterizzata da un serbatoio dalla forma inconfondibile oltre che da prestazioni di prim’ordine. Nel 1963 ha fatto la sua comparsa su questo modello il cambio a cinque marce, poi diventato disponibile anche per le altre 250 della casa. Questa moto era accreditata di una potenza di 16 cavalli a 6500 giri/min e aveva entrambe le ruote da 17 pollici. Il cilindro era in ghisa e l’albero a gomito, poggiante su due cuscinetti di banco a sfere, era formato da tre parti unite per forzamento. Le due valvole, inclinate tra loro di 70°, avevano un diametro di 34 mm alla aspirazione e di 28,5 mm allo scarico. La biella in acciaio da cementazione lavorava su rullini ingabbiati. Una particolarità interessante era costituita dal fatto che l’albero a gomito girava “all’indietro” (in altre parole, aveva un senso di rotazione opposto rispetto a quello delle ruote). Siccome la trasmissione primaria a ingranaggi era costituita da due sole ruote dentate (come nella stragrande maggioranza dei casi), la frizione girava in avanti e questo aveva reso necessaria l’adozione di un cambio del tipo con presa diretta, ovvero con il manicotto di uscita coassiale rispetto all’albero di entrata. La soluzione consentiva di ridurre la lunghezza del basamento (non si deve dimenticare che il motore aveva il cilindro orizzontale!), dato che la posizione dell’albero secondario del cambio non era più vincolata a quella del pignone della trasmissione finale. Le forcelle di innesto delle marce erano montate direttamente sul tamburo selettore. Alla alimentazione provvedeva un carburatore da 24 mm.
Nella seconda metà degli anni Sessanta l’Ala Verde ha subito una rivisitazione che ha portato alla adozione di una ruota anteriore da 19 pollici e di una posteriore da 18.
Nel 1967 è entrata in produzione l’Ala Blu, dotata di una linea filante e sbarazzina, caratterizzata da simpatico serbatoio a goccia. La versione GT di questa moto polivalente, munita di un cambio a cinque marce, è stata quella di maggior successo. Come l’Ala Verde, ha continuato ad essere fabbricata fino al 1970 (ma alcuni esemplari sono stati venduti anche nei due anni successivi), dopo di che le 250 sono state sostituite dai nuovi modelli di 350 cm3 (cilindrata ottenuta abbinando un alesaggio di 74 mm con una corsa di 80 mm), con cilindro in lega di alluminio e frizione a secco.
Pianeta USA
Per quanto riguarda i modelli destinati ai mercato americano, le cose sono andate diversamente. Le 250 con motore a corsa lunga (66 x 71 mm) sono state realizzate principalmente in due versioni, denominate Sprint C e Sprint H e dotate rispettivamente di ruote da 17 e da 18 pollici. Queste moto sono state costruite dal 1961 al 1966, anno della comparsa del cilindro in lega di alluminio con canna riportata in ghisa e della frizione a secco. Nel 1967 è entrato in produzione il motore a corsa corta (con le misure caratteristiche che passavano a 72 x 61 mm) e ha iniziato ad essere adottata anche una nuova testa, di grandi dimensioni e con un coperchio unico. Nel 1969 le 250 sono state sostituite dalla 350, che dunque negli USA è entrata in commercio con due anni di anticipo, rispetto all’Italia. Per il mercato americano è stato anche prodotto un certo numero di moto dotate di accensione a magnete.
Per anni le Ala d’Oro sono state importanti protagoniste della scena sportiva. La 250 si è imposta in quattro campionati italiani Juniores e in ben nove campionati della montagna. Numerose sono state pure le vittorie ottenute all’estero. Questa moto, unitamente alla versione di 350 cm3, ha anche corso nei Gran Premi, ottenendo piazzamenti più che lusinghieri e per diverso tempo è stata una delle migliori “armi” a disposizione dei piloti privati.
Le prime Ala d’Oro 250 erano in fondo dei modelli stradali modificati per essere impiegati in pista. Gradualmente però sono diventate moto sempre più specializzate per tale tipo di utilizzazione, allontanandosi rapidamente dalle normali realizzazioni di serie. Dai circa 26 cavalli a 9000 giri/min della versione del 1961 la potenza è passata a 29 a 9800 giri/min in quella del 1963, quando era già stato adottato un nuovo cilindro in lega di alluminio, seguito ben presto da un cambio a cinque marce, ed è stata approntata una variante di 293 cm3, evolutasi nella 350 dell’anno successivo. Nel 1965 è stata realizzata una nuova frizione a secco, dopo che da alcuni mesi aveva fatto la sua comparsa il motore 250 a corsa corta (72 x 61 mm); nella stagione seguente è stato adottato un nuovo telaio, con due tipiche piastre nella parte posteriore. Le ultime versioni dell’Ala d’Oro 250 avevano una potenza dell’ordine di 32-33 cavalli a 10.000 giri/min. Di questa moto, costruita in ben oltre 300 esemplari e uscita di produzione al termine del 1971 (ma nei due anni successivi ne sono state assemblate ancora otto), nell’ultima fase della evoluzione i tecnici del reparto corse della casa varesina hanno realizzato anche una variante con alesaggio portato a 74 mm e corsa ridotta a 58 mm.
Le monocilindriche di 250 cm3 hanno gareggiato anche nel cross, con versioni appositamente allestite, che hanno cominciato a prendere parte alle competizioni nel 1959 e che si sono sviluppate rapidamente, diventando molto competitive a livello nazionale, al punto da imporsi in quattro campionati italiani. Prodotte in un numero molto ridotto (dell’ordine di una ventina di esemplari), sono oggi assai ricercate dagli appassionati. Inizialmente avevano un telaio realizzato dalla stessa Aermacchi, ma dal 1961 sono state dotate di un bel doppia culla disegnato dallo specialista Muller. Le ultime sono state vendute nel 1963.
bymaxx
mi piace molto anche la 250 cross, non credevo che nel 59' si usassero forcelle a perno avanzato.
Ala blu GT