1000 Supersportive 2018: Aprilia RSV4RF vs Ducati Panigale V4S vs Yamaha YZF-R1M
Il panorama delle Supersportive vive un momento di schizofrenia. Se, da un lato, i dati di vendita hanno relegato le superbike ad un ruolo marginale nel bilancio delle Case, dall’altro il ritmo di aggiornamento tecnologico delle ammiraglie sportive è ripreso a pieno regime, e non conosce sosta. Dopo le due ondate di profondo rinnovamento degli anni scorsi – nel 2015 e poi, sotto la spinta dell’Euro-4, nel 2018 – si era venuta a creare una situazione di sostanziale equilibrio fra le moto di pari indole: le giapponesi più versatili e sfruttabili, e le europee più specialistiche e pistaiole, con le due (notevoli) eccezioni costituite rispettivamente da Yamaha e BMW, un po’ a cavallo fra le due categorie.
Poi è arrivata la Ducati Panigale V4 a seminare il panico. Non convenzionale dal punto di vista tecnico, con il suo motore Desmosedici Stradale e la soluzione ciclistica – evoluzione del monoscocca utilizzato sulla Panigale bicilindrica – del Front Frame, la V4 ha anche deciso di infrangere il limite dei mille centimetri cubici nella sua versione stradale (in attesa della inevitabile “R” a corsa corta) un po’ come succede nel mercato delle supercar, dove la cilindrata non viene considerata assolutamente un vincolo.
Grazie all’appoggio di Pirelli, che ci ha ospitato in una sessione di test privati sul circuito di Alcarràs, abbiamo quindi scelto di svolgere… prima di subito uno scontro all’ultimo sangue fra la Ducati Panigale V4S e la sua rivale elettiva, l’Aprilia RSV4RF.
Le accomunano lo schema motoristico, ma anche l’indole: entrambe puntano dritte alle prestazioni in pista, alla massima efficacia prestazionale e alle emozioni forti in circuito. Ma non poteva mancare la Yamaha YZF-R1M. Un po’ perché è stata aggiornata con il Model Year 2018, e un po’ perché già nella sua versione precedente era risultata la più veloce nella nostra maxicomparativa al Paul Ricard nel 2017.
Il tracciato di Alcarràs, tecnicissimo e con tante situazioni diverse, ci ha permesso di esaminarle a fondo mettendo in luce le profonde differenze fra le personalità di ciascuna, prima calzando le (incredibili) Diablo Supercorsa SP, in versione V3 per la Ducati e V2 per le altre, e poi mettendole tutte a pari livello con le Diablo Superbike in mescola SC1.
Infine, per tirare fuori il meglio da tutte e tre ci siamo rivolti anche stavolta ad Alfio Tricomi – ve lo presentiamo più avanti – per avere un riferimento cronometrico il più possibile imparziale ed affidabile. Iniziamo presentandovele, e poi descrivendovi come vanno.
Come sono fatte
Ve le abbiamo già raccontate in maniera esaustiva attraverso articoli e video durante le presentazioni stampa – Ducati Panigale V4S e Yamaha YZF-R1M sono di poche settimane fa, mentre l’Aprilia RSV4RF è immutata dall’anno scorso, quando con l’aggiornamento all’Euro-4 ha ottenuto in dote una sostanziosa iniezione di cavalleria – ma prima di parlare di come vanno, vediamo di rinfrescarci la memoria su come sono fatte le tre protagoniste della nostra prova.
Aprilia RSV4RF
Sembra incredibile: l’Aprilia RSV4 è sul mercato dal 2009, ma invece di invecchiare diventa sempre più prestazionale ed efficace. La sostanza è invariata: il propulsore quadricilindrico a V di 65° è stato affinato nella meccanica senza stravolgimenti, con una potenza lievitata dai circa 180cv della prima versione fino agli oltre 200 dell’attuale nonostante la rinuncia ai cornetti d’aspirazione a lunghezza variabile che contraddistinguevano la prima versione Factory.
Il motore, compattissimo, è ospitato da un telaio a doppio trave in alluminio con forcellone nello stesso materiale, da sempre pensato per l’impiego nelle competizioni tanto da proporre su un mezzo di serie le regolazioni di inclinazione del cannotto, altezza del perno forcellone e addirittura la posizione del motore nel telaio.
Il comparto sospensioni si affida ad una soluzione full-Öhlins (ammortizzatore di sterzo compreso) con forcella rovesciata NIX30 dotata di steli da 46 mm trattati al TIN e un monoammortizzatore TTX, entrambi privi di assistenza elettronica – una scelta precisa, per la maggior precisione nella taratura ed efficacia nell’impiego in pista – regolabili in tutti gli aspetti. L’impianto frenante, completamente Brembo, conta su una coppia di dischi da 330 mm lavorati dalle pinze monoblocco M50, con pompa radiale e raccordi in treccia metallica. Il tutto naturalmente asservito ad un ABS con funzione cornering.
La dotazione elettronica, unica rimasta a fare a meno di una piattaforma inerziale a sei assi, offre tre mappature per il ride-by-wire: T (Track), S (Sport), R (Race). Il pacchetto APRC comprende controllo di trazione (ATC, otto livelli, programmabile anche con funzione corner-by-corner attraverso l’app V4 Multimedia Platform, che offre un controllo completo su tutte le funzioni dell’elettronica di bordo), controllo di impennata (AWC, tre livelli), launch control (ALC), cruise control (ACC), limitatore di velocità (APT), tutti settabili e disinseribili indipendentemente e gestibili con il joystick sul blocchetto sinistro, che controlla anche la modalità di visualizzazione del cruscotto. Il quickshifter è attivo sia in innesto che in scalata.
Ducati Panigale V4S
Tutta nuova, e allo stesso tempo ben fedele ai canoni tecnici tipici di Ducati, la Panigale V4S. E’ vero, ha abbandonato il frazionamento bicilindrico, arrivato ormai probabilmente al vertice dello sviluppo possibile in un regime di normative anti-inquinamento sempre più stringenti, ma il Desmosedici Stradale, quadricilindrico V4 di 90° a funzione portante con distribuzione desmodromica è più Ducati che mai.
Il motore vanta diverse soluzioni mutuate dalla GP di Borgo Panigale, come la rotazione all’indietro di 42° per lasciare spazio ai radiatori ed ottimizzare compattezza e distribuzione dei pesi. Fuori categoria invece la cilindrata di 1.103 cc, con alesaggio da 81 mm – il limite regolamentare consentito in MotoGP – e corsa relativamente lunga, per valorizzare coppia ed erogazione. L’albero motore è controrotante, per sfruttare meglio l’inerzia delle masse rotanti in funzione della maneggevolezza, e presenta fasatura d’accensione irregolare Twin Pulse (0° - 90° - 290° - 380°).
La ciclistica evolve ulteriormente il concetto monoscocca della Panigale bicilindrica, con un telaietto anteriore denominato Front Frame fissato al semicarter superiore e alla testata posteriore, nonché un forcellone imperniato direttamente nel carter, così come la sospensione.
Sulla Panigale V4 S troviamo una forcella Öhlins NIX-30 e un monoammortizzatore posteriore Öhlins TTX 36, nonché l’ammortizzatore di sterzo della stessa marca, tutti gestiti dal sistema di controllo elettronico Öhlins Smart EC 2.0 dotato dalla nuova interfaccia OBTi, che gestiscono cerchi forgiati calzanti le nuove Pirelli Diablo Supercorsa SP con l’inedita misura posteriore da 200/60. Novità anche nell’impianto frenante, sotto forma della nuova pinza Brembo Stylema.
In tema di elettronica, la V4S eredita dalla 1299 Superleggera la piattaforma inerziale a sei assi, che le consente l’adozione di una gestione sofisticatissima, con ABS Cornering EVO, traction control DTC EVO, Slide Control DSC, Wheelie Control DWC EVO, il sistema di partenza DPL, il quickshifter DQS EVO attivo in innesto e scalata, il controllo del freno motore EBC EVO e la gestione elettronica delle sospensioni DES EVO, tutti sensibilmente evoluti rispetto alle versioni precedenti.
Yamaha YZF-R1M
Squadra che vince non si cambia, per la Casa di Iwata. Il propulsore rimane dunque il meraviglioso quadricilindrico Crossplane, con fasatura irregolare degli scoppi, carter in magnesio e distribuzione a quattro valvole per cilindro (in titanio quelle d’aspirazione, così come lo scarico) gestito dal sistema Ride-by-wire YCC-T e con cornetti d’aspirazione ad altezza variabile.
Il telaio è naturalmente il doppio trave perimetrale in alluminio Deltabox, con forcellone nello stesso materiale e reggisella in magnesio. Le sospensioni sono unità semiattive Öhlins NIX30 (forcella) e TTX36 (monoammortizzatore) in versione Smart EC 2.0, con ammortizzatore di sterzo della stessa marca. Comparto frenante Tokico, con pinze monoblocco e dischi da 320 mm all’avantreno e 220 mm dietro, con ABS cornering.
Allo stato dell’arte la dotazione elettronica, che fa affidamento su una piattaforma inerziale a sei assi introdotta sulla produzione di serie proprio da Yamaha, sulla R1M del 2015. Una soluzione che consente implementazione e gestione separate di Traction Control e Slide Control. A questi si aggiungono il Launch Control e naturalmente l’anti-impennata, il tutto regolabile direttamente dal cruscotto o con l’utilizzo di un dispositivo iOS o Android grazie alla CCU (Communication Control Unit) di serie sulla “M”. Naturalmente presente il quickshifter, attivo in innesto e finalmente anche in scalata, grazie all’aggiornamento globale dell’elettronica apportato con la versione 2018, che ha visto affinate le strategie dei controlli ma anche tanti piccoli dettagli di contorno che, come spesso accade, apportano miglioramenti sensibili al comportamento generale della moto.
I nostri rilevamenti
Abbiamo ovviamente pesato e messo al banco prova le tre protagoniste della nostra prova ad opera del nostro Maurizio Tanca, grazie alla collaborazione di Superbike SNC di Novate (MI) rilevando i risultati che pubblichiamo qui sotto.
I risultati al banco e sulla bilancia
Moto |
Peso a secco |
Potenza massima all’albero (DIN) |
Potenza massima all'albero (CE) | Potenza alla ruota DIN) |
Aprilia RSV4 RF |
197 kg |
200,7 cv |
198,8 cv | 184,2 cv |
Ducati Panigale 1299S |
190 kg |
-- |
214,7 cv | 198,6 cv |
Yamaha YZF-R1M |
186,8 kg |
199,7 cv |
197,6 cv | 183,1 cv |
Note sui rilevamenti: la YZF-R1M ci è stata consegnata con il silenziatore Akrapovic optional e priva di specchietti, portatarga ed indicatori di direzione, offrendo così valori migliori quanto a peso rispetto alla versione di serie. La potenza della Ducati è stata riportata all'albero applicando il coefficiente di correzione pari a 0,98 per la presenza dell'ingranaggio ozioso, che consente la soluzione tecnica dell'albero controrotante.
Il comportamento in pista
Vi raccontiamo, per ciascuna delle moto, la valutazione condivisa dal nostro team di tester (che per l’occasione ha coinvolto Francesco Paolillo, Edoardo Licciardello e lo “special guest” Alfio Tricomi) maturata dopo le prove sul tracciato di Alcarràs.
Aprilia RSV4RF
L’indole prettamente pistaiola dell’Aprilia emerge già a motore spento. Alta di sella come da tradizione delle sportive di Noale, carica sui semimanubri, con gambe alte e raccolte, fa già venire voglia di guidare di corpo ancora prima di scendere dal cavalletto. Le misure sono da fantino, perché la RSV4RF è la più compatta di tutte, e in sella fa sentire immediatamente su una moto da corsa.
Il motore era e rimane un capolavoro. Oltre alla spinta ai medi, con l’aggiornamento 2017 ha trovato una sostanziosa iniezione di cavalleria in alto. Alla prima apertura la spinta è corposa come solo quella di un V4 sa essere, ma invece di stemperarsi come faceva in precedenza, nonostante l’abbandono dei cornetti d’aspirazione a lunghezza variabile ora ruggisce fino all’intervento del limitatore con una grinta sconosciuta ai modelli precedenti. Un cambio di personalità che l’ha resa un po’ più impegnativa da gestire, un po’ più affilata, ma – a conferma della validità del progetto iniziale – non ha perturbato il meraviglioso equilibrio ciclistico dell’Aprilia.
La RSV4RF, che l’anno scorso al Paul Ricard era stata penalizzata da un assetto davvero “inchiodato” sul retrotreno, quest’anno si è dimostrata praticamente perfetta sull’asfalto di Alcarràs. Precisa, specialistica, mantiene quella magica capacità di azzeccare al primo colpo l’angolo di inclinazione necessario per inscriversi nella traiettoria desiderata: basta un colpo deciso al semimanubrio interno e ci si trova lì, dove si vuole essere, esattamente dove stava puntando lo sguardo.
La frenata, pur se c’è chi è riuscito a fare meglio, rimane mozzafiato – tra l’altro, l’Aprilia ha perso la tendenza a scaricare il retrotreno in staccata che aveva nelle primissime versioni, e grazie ad una gestione del freno motore perfettamente a punto consente di inserirsi in curva a velocità pazzesche. Agilissima, è la più rapida nei cambi di direzione, ma tutto questo ben di Dio si paga con un impegno psicofisico superiore rispetto alla concorrenza: così rigida e reattiva, la RSV4RF “sente” moltissimo la posizione del corpo del pilota. Non ci si può impigrire come, ad esempio, sulla Yamaha. Bisogna guidare tecnici e precisi, pena risposte scoordinate da parte della moto.
La gestione elettronica resta d’eccellenza: se ne percepisce l’intervento solo dal lampeggiare delle spie sul cruscotto, diversamente non si ha mai l’impressione di venire rallentati dall’intervento dei controlli. E se pensiamo che tutto il progetto, quindi anche l’elettronica, sono i più datati dal punto di vista concettuale, c’è da togliersi il cappello: a tutt’oggi nessuna concorrente regala l’illusione di trovarsi in sella ad una moto da corsa con targa e fari come sa fare lei. Non invidiamo i tecnici che avranno l’ingrato compito di sostituirla.
Ducati Panigale V4S
Se ci si distraesse un attimo, in sella alla nuova Panigale V4S si potrebbe giurare di essere sulla bicilindrica. Solo la maggior larghezza fra le ginocchia tradisce la diversa configurazione motoristica: dove la 1299 risultava anoressicamente magra, la V4 è un po’ più muscolosa su spalle e torace – la differenza che passa, se ci perdonate la divagazione, fra un ciclista e un triatleta.
Manubri larghissimi, posizione delle pedane arretrata e rialzata, la Panigale è paradossalmente la più bassa di sella delle tre, risultando quella forse più abitabile. E la prima presa di contatto, una volta in movimento, ci racconta una moto molto più accessibile di quanto non fosse la 1299: più dolce nelle risposte e più armonica nelle reazioni, meno brutale e feroce, la V4 accoglie il pilota con tutt’altra accessibilità. Ma attenzione, perché prima di passare a darle del “tu” è meglio aspettare qualche giro.
La voce allo scarico è la declinazione quadricilindrica del ruggito della V2, gasante e grintosa. Non lo diciamo a caso, perché pur con un equilibrio generale subito percettibile, è il motore il vero protagonista dello spettacolo. Aiutato da una rapportatura praticamente perfetta, il quattro cilindri bolognese spinge come una furia a qualunque regime, dimezzando la lunghezza dei rettilinei. La potenza, l’allungo, sono percettibilmente superiori alla concorrenza, ma è forse la schiena del motore ai medi a stupire maggiormente. Ad ogni riapertura la Panigale V4 schizza in avanti come un proiettile, e fa sembrare vuoto e lento qualunque altro propulsore della categoria.
La pista diventa di colpo più stretta e corta: se già in sella ad una "mille" attuale tutte le piste risultano quasi inadeguate, sulla Panigale V4 il senso di accelerazione aumenta di uno step. Ancora più impressionanti, per certi versi, le prestazioni dell’impianto frenante: nonostante si arrivi alla staccata nettamente più veloci rispetto alla concorrenza, a pari impegno ci si trova a dover riprendere in mano l’acceleratore in inserimento perché si arriva inevitabilmente “corti”.
L’inserimento è svelto, ma più armonico e progressivo di quanto ci ricordiamo quello della bicilindrica, e in percorrenza si ha decisamente più feeling, anche se la V4 forse offre qualcosa in meno in termini di confidenza rispetto alla concorrenza. E’ una moto pensata per sfruttare al meglio il massimo dell’aderenza disponibile (“ha fame di grip”, ha commentato il suo sviluppatore Alessandro Valia), ed è quella che in effetti è migliorata nella maniera più sensibile una volta calzate le slick Pirelli. E nei cambi di direzione, la V4 danza con un equilibrio davvero invidiabile: non ha forse la sveltezza dell’Aprilia, ma la precisione e la progressività dell’azione sono da riferimento.
In uscita di curva, complice un’elettronica davvero spettacolare – soprattutto con le slick, sfidiamo chiunque non sia un pilota “vero” a percepirne l’intrusione anche ai livelli più bassi – la Panigale vola. Bisogna solo evitare tassativamente di attaccarsi al manubrio, perché per le sue radicali scelte tecniche la Panigale V4 tende a muoversi un po’, soprattutto nell’accelerazione, sui tre quarti di spalla della gomma: niente di nervoso o preoccupante, ma c’è una sensazione di galleggiamento che tende a non mettere troppo a proprio agio – niente paura, allentate la presa sul manubrio e lavorate con le gambe sulle pedane, e tutto torna immediatamente alla normalità.
Così facendo, tra l’altro, potete sfruttare appieno la già citata capacità della Panigale V4 di scaricare potenza a terra anche grazie alla sua tendenza a chiudere la curva senza rialzare: l’albero controrotante le conferisce una capacità di seguire la traiettoria impostata senza doverla “tenere giù” a gas spalancato.
A differenza della bicilindrica, la V4 si presta infatti a valorizzare diversi stili di guida. Dove la 1299 capiva un solo linguaggio – una guida spigolata, per sfruttare quell’incredibile coppia del suo motore che però mal si conciliava con uno stile più rotondo e di percorrenza – la V4 la si può guidare come si vuole, risultando comunque molto efficace. Ma se riuscite a farla voltare in maniera da raddrizzarla subito in uscita e spalancare il gas, non ci sarà pista su cui non vi sembrerà che le curve si siano di colpo avvicinate.
Yamaha YZF-R1M
La YZF-R1M la conosciamo bene, ed è una delle nostre preferite fin dalla sua prima versione, quella del 2015. Ci accoglie in sella con la sua posizione atipica: semimanubri chiusissimi, da GP d’altri tempi, e pedane rialzate ma più avanzate rispetto alla concorrenza europea. Una sistemazione sicuramente più accogliente, e forse relativamente meno stancante nella conduzione stradale che però, allo stesso tempo, rende un filo più ostica la guida di corpo in pista, dove le gambe si trovano ad un’angolazione un po’ forzata e si fatica leggermente di più nelle lunghe percorrenze da piegati.
Il latrato del motore crossplane è come sempre esaltante: cupo e minaccioso come un bicilindrico, in alto è cattivissimo. Non serve spremerlo più di tanto, anche perché il suo meglio il quadricilindrico di Iwata lo offre ai medi regimi; sa spingervi fuori dalle curve con una progressione pastosa ma esaltante, nonostante una rapportatura tradizionalmente lunga che, su un circuito tormentato come quello di Alcarràs, costringe a ripensare un po’ i rapporti in funzione di ogni curva. In alcuni tratti fa risparmiare una cambiata, in altri penalizza un po’ l’uscita.
Già che parliamo di cambio, vale la pena di sottolineare come l’aggiornamento elettronico che ha portato all’arrivo del quickshifter ha comportato alcune modifiche di contorno – dettagli banali, come il gommino o la cella di carico – che hanno determinato una corsa più corta e precisa del comando.
Un fulmine in inserimento, tanto che alle prime curve coglie un po’ in contropiede quando ci si sale dopo essere scesi dalle rivali, in percorrenza offre tantissima confidenza, anche perché le sospensioni semiattive Öhlins, già riferimento nella versione precedente, sono ulteriormente migliorate e sembrano far sparire le irregolarità dell’asfalto, le numerose “buche” di cui è cosparso il tracciato di Alcarràs. Anche le perturbazioni dell’assetto vengono riprese ed azzerate quasi istantaneamente, infondendo nel pilota quella sicurezza che gli permette di spingersi sempre un po’ più in là nella ricerca del limite.
In uscita di curva il motore, assecondato alla perfezione da un’elettronica ormai davvero a punto, permette di sfruttare appieno la stabilità intrinseca della R1M, trovandosi a fare tanta strada senza quasi accorgersene. Dove invece la Yamaha paga qualcosa è – storicamente – nei cambi di direzione, dove l’inerzia dovuta alla configurazione motoristica la rende un po’ più faticosa e meno efficace. Anche in questo caso, però, un assetto leggermente differente delle sospensioni semiattive e una forcella un pelo più sfilata nelle piastre hanno migliorato sensibilmente il quadro generale, pur senza riuscire ad avvicinare l’agilità delle concorrenti.
Ancora perfettibile l’impianto frenante: qui ad Alcarràs, dove le due staccate più impegnative avvengono in salita e non stressano quindi più di tanto i freni, la Yamaha non ha sofferto come altrove, mantenendo corsa e potenza del comando a manubrio. Rimane però un impianto che costringe a tirare forte sulla leva: è più legnoso e meno modulabile nel comando, che rispetto allo stato dell’arte montato su Aprilia e Ducati paga pegno in termini di feeling e confidenza del pilota.
Il miglior pregio della YZF-R1M resta il ridotto impegno fisico e psicologico con cui aiuta il suo pilota ad andare sempre più veloce. Un comportamento che, fra l’altro, facilita la ripetibilità della prestazione: è quella sulla quale è più facile percorrere sempre le stesse traiettorie e girare costantemente in prossimità del proprio miglior passo.
I tempi ad Alcarràs
In una comparativa che coinvolge proposte supersportive – pur ribadendo il valore relativo del riferimento cronometrico – non possiamo evitare di sottoporre queste ultime al giudizio del tempo sul giro. Come l’anno scorso, per avere un confronto del tutto equanime e libero da preferenze o abitudini del pilota, ci siamo rivolti a Pirelli che ci ha prestato Alfio Tricomi, collaudatore della Casa milanese (è lui che “firma” assieme a Luca Salvadori e Fabrizio Lai le gomme che poi arrivano al Mondiale Superbike, oltre alle proposte stradali della Casa milanese) e pilota di livello nazionale.
Alfio, oltre ad avere un polso destro d’eccellenza, conosce a menadito tanto le gomme utilizzate che il tracciato di Alcarràs, così come naturalmente le tre protagoniste del nostro confronto. Dopo una mattinata per rifare conoscenza con le tre moto, Alfio ha effettuato il suo time attack.
L’ordine d’uscita è stato sorteggiato, con un esito che ha visto partire Yamaha per prima, seguita da Ducati ed infine Aprilia. Per ciascuna Tricomi ha effettuato un giro di lancio, tre passaggi cronometrati e il giro di rientro. Abbiamo tenuto solamente il giro migliore per ciascuna, stabilendo la classifica che potete leggere qui sotto.
Moto |
Best Lap |
|
1 |
Ducati Panigale V4S |
1’37”60 |
2 |
Yamaha YZF-R1M |
1’38”28 |
3 |
Aprilia RSV4RF |
1’38”30 |
Come sempre, ci preme ribadire come il risultato abbia un valore significativo ma comunque relativo. Al cambiare del pilota o del tracciato la classifica potrebbe variare di conseguenza, anche se alla luce delle impressioni di guida abbiamo maturato la convinzione che tracciati più convenzionali e regolari rispetto a quello tormentato e tecnicissimo di Alcarràs, con ogni probabilità, concederebbero un maggior vantaggio alla Panigale V4S, che potrebbe far valere maggiormente le sue doti.
Allo stesso modo, ci piacerebbe concedere un secondo posto ex-aequo a Yamaha ed Aprilia, un po’ perché due centesimi sono effettivamente un margine risicatissimo – una cambiata azzeccata o meno, una minima sbavatura – e un po’ perché ripensare al fatto che l’Aprilia sia una moto costantemente affinata nel corso delle stagioni ma con un progetto che risale a nove anni fa è un argomento che fa veramente riflettere su quanto fosse valido lo schema di base.
Tutte le moto sono state utilizzate con la mappa/riding mode più prestazionale, con assetto adeguato alle richieste del pilota da parte dei tecnici della rispettiva Casa e settaggi dell’assistenza elettronica personalizzati.
Conclusioni
Lo so, sembriamo un po’ dei dischi rotti perché lo ripetiamo sempre: il livello raggiunto da queste tre supersportive è pazzesco ed equilibratissimo. Il segmento forse non godrà più del successo di vendite di qualche anno fa, ma è ancora importantissimo e sta recuperando quel ruolo di punta di diamante tecnica e tecnologica per tutte le Case produttrici.
Ognuna di queste tre potrebbe far vivere felice anche il più viziato dei giornalisti, abituato a provare il meglio del meglio che le Case sfornano anno dopo anno. Se già in un confronto diretto diventa difficilissimo trovare difetti più che banali alle tre protagoniste di questo servizio, prese singolarmente sono moto sbalorditive, capaci di esaltare e gratificare anche il più esperto ed esigente dei piloti.
Pur con un’evidente curiosità per le prestazioni ed il fascino magnetico della nuova Ducati Panigale V4S, che è stata la più impegnata delle tre, nessuna è mai rimasta ai box a lungo o trascurata dai tester: al rientro di ogni uscita volevamo costantemente prenderne un’altra per confrontarle, consolidare le nostre sensazioni ma anche, semplicemente, godere delle diverse emozioni che ognuna delle tre sa regalare.
Proprio per questo, se il vostro cuore batte per le superprestazioni di questo segmento, se avete l’opportunità di portarle in pista e se naturalmente non vi mancano le capacità economiche, fisiche e mentali per poter godere di mostri del genere, vi consigliamo di scegliere tenendo solo in relativa considerazione i riferimenti cronometrici. Che offrono sì un buon indice delle prestazioni di questi mezzi, ma raccontano solo una parte della storia.
Il nostro obiettivo è quello di raccontarvi come e quanto vanno, ma vi suggeriamo anche di provarle appena possibile – tutte e tre le Case offrono l’occasione di farlo attraverso demo ride o corsi di guida – e farvi una vostra idea in merito a quale sia la più adatta alle vostre caratteristiche di guida o anche solo ai gusti personali: perché anche questa volta, alla fine, sono quelli che determineranno quanto sarete soddisfatti della vostra scelta.
Maggiori informazioni:
Moto: Aprilia RSV4RF, Ducati Panigale V4S, Yamaha YZF-R1M
Meteo: Sole, 14°
Luogo: Circuit d’Alcarràs (Spagna)
Terreno: Pista
Foto: Fabio Principe
Video: Luca Catasta, Antonio Mulas
Telecamere giroscopiche onboard: MicroGimbal
Sono stati utilizzati:
Caschi
Tute
Alpinestars GP Pro for Tech Air
Guanti
Stivali
Qui su moto.it non si sbilanciano ma in altre testate giornalistiche è stata la R1 M a "vincere"...
La cosa interessante da quello che dicono i tester è che sono diventate "facili" quindi anche i poveri mortali possono andare forte abbastanza in sicurezza e senza il rischio di uccidersi alla prima curva...