Suzuki V-Strom 650XT ABS
Uscita di produzione la mitica Honda Transalp, la Suzuki V-Strom 650 ora condivide con la sola Kawasaki Versys di pari cilindrata il sotto-segmento delle cosiddette “enduro stradali” di media cilindrata, anche se la Casa giapponese in realtà la colloca nel segmento delle enduro tourer da 650 a 800.
Una moto polivalente molto apprezzata dall’utenza, questa bicilindrica Suzuki, nata nel 2004 e ristilizzata nel 2012, ed oggi proposta in questa versione XT (sigla che a molti forse potrà sembrare fuori luogo in Casa Suzuki, o no?…), a maggior ragione dedicata ai viaggiatori a tutto campo, quelli cui piace deviare frequentemente al di fuori dell’asfalto per esplorare luoghi poco accessibili con moto da granturismo pesanti ed impegnative. Ecco il perché delle belle ruote a raggi con i cerchi tipo tubeless, che peraltro saranno presumibilmente molto gradite anche da semplici appassionati del classico, in quanto considerate irrinunciabili su una vera motocicletta.
Ma per sottolinearne ancor più l’orientamento maggiormente on-off , sulla V-Strom 650XT debutta anche il famoso “becco” già riproposto sulla sorellona da un litro di cilindrata: un vezzo non certo casuale per la casa di Hamamatsu, che ha voluto rifarsi ai celebri prototipi DR-Z portati in gara alla Parigi-Dakar dal compianto Gaston Rahier dal 1988 al ’91, ma anche alle monocilindriche di maggior cubatura mai prodotte in serie, ossia le famose DR-Big 750 ed 800 allora in voga.
Nostalgie dakariane a parte, va detto che chi la becco-filosofia non la digerisse proprio potrà tranquillamente riportare il musetto della nuova XT allo status quo, sostituendo pari pari l’indesiderata protuberanza con i ricambi originali della “vecchia” V-Strom 650, che costano poco più di 50 euro. Logicamente è possibile anche l’operazione opposta oppure, ovvero rendere beccuta la propria V-Strom ultima serie, con una spesa di poco superiore ai 70 euro. Va però sottolineato che in entrambi i casi va messa in conto almeno un’ora di manodopera. E anche che l'operazione non è ovviamente fattibile sulla V-Strom 1000.
Disponibile in grigio, bianco e bordò metallizzato, la nuova V-Strom 650XT costa 8,590 euro, franco concessionario ed ABS compreso: esattamente come la versione City della precedente V-Strom, che gode di alcuni accessori, ABS compreso, e 400 euro in più rispetto alla 2014 standard, entrambe dotate di ABS di serie. Teniamo tuttavia a sottolineare che, volendo maggiormente favorire la XT sui percorsi sterrati, l’ABS avrebbe dovuto essere disinseribile.
Estetica e finiture
Dunque l’estetica della nuova V-Strom non è stata stravolta, semmai leggermente diversificata. E Le finiture generali dell’insieme rimangono dunque di buon livello. La bella sella mantiene la seduta anteriore a 835 mm da terra – ferma restando la possibilità di sceglierla più alta o più bassa di 20 mm – e, una volta sbloccatane la serratura piazzata a sinistra, sul parafango posteriore, dà accesso alla batteria, i fusibili, e a un discreto portaoggetti rettangolare per i documenti, gli attrezzi, un antifurto meccanico o altro. Ricordiamo che anche l’antifurto immobilizer, con chiave codificata, è montato di serie. Che il serbatoio è di metallo, con pannelli di plastica ai lati, e che dal 2012 la sua capacità è stata ridotta da 22 a 20 litri, per snellirlo nella parte posteriore.
Continuiamo invece a criticare la povera cartuccia del filtro olio piazzata in bella vista, a fianco del collettore di scarico inferiore, in balìa degli eventi: logico suggerire assolutamente il montaggio dello “sperone” protettivo opzionale, che vedete sulla nostra moto assieme agli utili paramani, anch’essi accessori a parte. Paramani peraltro perfettibili, perlomeno il sinistro, visto che in effetti impedisce l’accesso al registro manuale del cavo frizione, oltretutto protetto anche da un cappuccio in gomma. È anche vero che appena più avanti troviamo l’altro registro che svolge la stessa funzione, che però richiede l’uso degli attrezzi.
Ribadiamo la nostra lode per il notevole impianto d’illuminazione anteriore, con i due fari attivi contemporaneamente sia col fascio anabbagliante che con l’abbagliante. Passando alle regolazioni disponibili, la leva del freno anteriore dispone della classica rotellina a scatti, mentre la forcella gode di registri di precarico su entrambi gli steli, mentre l’ammortizzatore posteriore gode sempre della pratica manopola esterna per il precarico molla, ma è regolabile anche nell’idraulica in estensione.
Confermato anche il plexiglas regolabile in altezza e contemporaneamente in inclinazione, la cui sommità è arretrata di 30 mm rispetto ai modelli pre-2012: l’operazione non è immediata, ma basta svitare 4 viti e riposizionarlo di più in alto di 24 mm (arretrandone nel contempo di 8 il bordo superiore), oppure più in basso, avanzandolo contemporaneamente di 18 mm.
Manca il cavalletto centrale, senz’altro reclamato da molti, e comunque disponibile tra gli optional.
Strumentazione e comandi
Il cruscotto è diventato senz’altro un componente molto importante di una moto, a livello estetico, ma soprattutto funzionale. E quasi sempre fornisce numerose informazioni, come questo della V-Strom 650. Anch’esso rinnovato tre anni fa, ed invariato sulla XT, è molto più compatto e asimmetrico, ma tuttavia ben più completo rispetto al modello originario.
A fianco del contagiri analogico – con scala da 0 ad 11.000 e zona rossa da 10.000 – figura un display digitale rettangolare le cui funzioni vengono consultate tramite l’ex pulsante per il lampeggio, quindi usando l’indice sinistro. Il computer di bordo riporta la velocità istantanea, il livello del carburante a barre con annessa spia digitale della riserva, il termometro a barre del liquido refrigerante, l’ora, la temperatura ambientale, il contachilometri totale, i due trip A e B con relativi indicatori di consumo medio e l’indicatore della marcia inserita (un must di Suzuki fin dagli anni 70). Sopra al tutto figurano le spie luminose degli indicatori direzionali, del folle, dell’ABS, dell’iniezione e dell’abbagliante.
Nel contagiri è inserita però anche la spia luminosa dell’indicatore di gelo (si accende sotto i 3°C e si spegne sopra i 5), unitamente alla spia rossa di allarme surriscaldamento del motore. Da notare che è possibile anche regolare la retoilluminazione su ben 6 livelli di intensità.
Quanto alla precisione del tachimetro, i 50 km/h effettivi corrispondono a 55 indicati; a 90 effettivi l'indicazione è di 97, e si viaggia in autostrada a 130 reali col tachimetro a 139/140.
Quanto ai blocchetti elettrici sul manubrio, sul sinistro figura il deviatore rettangolare del “Pass” (lampeggio) affiancato dal comando rosso dell’hazard, che inserisce la 4 frecce simultanee (oltre ovviamente ai comandi delle frecce e del clacson. A destra, invece, troviamo solo il pulsante rosso per lo spegnimento d’emergenza del motore, e quello per l’avviamento.
Gli accessori
La V-Strom è nata per fare un po’ di tutto, a maggior ragione questa versione XT. Quindi gli accessori ad essa dedicati sono parecchi, come si può facilmente riscontrare visitando il sito della Casa giapponese. Dove troviamo l’adesivo para-serbatoio; le strutture tubolari paramotore in nero opaco o titanio/oro; l’elegante bauletto da 42 litri, e relativa piastra di fissaggio metallica; le moto valigie laterali con relativi supporti, tubolari e non; le borse morbide interne per bauletto e moto valigie; i paramani; il puntale inferiore nero; la presa a 12 Volt; le manopole termiche con regolatore;
il cavalletto centrale; l’antifurto elettronico, e relativo cablaggio; il plexiglas Touring con spoiler superiore orientabile; il paracatena in alluminio satinato nero, con logo “V-Strom”; le due selle alternative; la staffa per l’eventuale navigatore.
Il Motore
Il ben noto bicilindrico Suzuki a V (o ad L) di 90°, bialbero raffreddato a liquido e da 645 cc, è in attività dal lontano 1999, quando esordì sulle divertenti SV650 protagoniste anche di un frequentatissimo trofeo Monomarca, poi trasferito sulla più civettuola naked Gladius, che le sostituì nel 2009. E nel 2004, dopo aver lasciato imperversare per anni le varie Honda Transalp, Africa Twin, Yamaha Superténéré 750 e BMW GS, tanto per citare le “endurone” bicilindriche più in auge in quegli anni, Suzuki decise finalmente di utilizzare il suo pregevole “seiemezzo” per la versione in minor (si fa per dire: le moto erano praticamente gemelle…) della V-Strom 1000 nata due anni prima.
Per questo motore Suzuki dichiara 69 cv (50,5 kW) a 8.800 giri, e un valore di coppia massima di 6,1 kgm (60 Nm) a 6.400 giri.
I valori indicati dal nostro banco prova non si discostano dunque più di tanto da quelli rilevati nella nostra precedente prova della V-Strom: siamo a 71,2 cv all’albero (52,3 kW) a 9.013 giri, con una coppia massima di 6,5 kgm (63,7 Nm) a 6.390 giri, valori che riportati alla ruota diventano rispettivamente 65,2 cv (47,9 kW) e 6,0 kgm (58,8 Nm).
Cavalleria non stravolgente, certo, ma erogata con grande dolcezza e linearità (basta dare un’occhiata ai nostri grafici) decisamente più che sufficiente per divertirsi un sacco anche nella guida brillante. Oltretutto la V-Strom 650 è nota anche per ila sua tendenza a consumare poco, se usate nel modo giusto.
I nostri rilevamenti in merito parlano di una percorrenza media di 17,5 km/l in città, che salgono a 21,3 sul nostro percorso extraurbano tipo. A 130 km/h effettivi costanti, in autostrada, la V-Strom ha percorso invece 18 km/l. Il consumo medio di questa prova è dunque risultato leggermente superiore rispetto a quella pubblicata nel gennaio del 2014: i 20km/l precedentemente rilevati infatti sono scesi a 18,9, probabilmente anche a causa del basso chilometraggio della moto da noi usata.
La velocità massima rilevata, con pilota eretto, però, è stata di 185,5 km/h effettivi (198 indicati) a 8.900 giri, con l’indicatore di consumo incerto tra i 10,5 e gli 11 km/l.
La ciclistica
Anche la ciclistica della V-Strom nuova versione non ha subito mutamenti epocali. Del resto, si tratta di un robusto e validissimo telaio a doppio trave in alluminio - con cannotto inclinato di 26°, e avancorsa di 110 mm – asservito da sospensioni piacevolmente efficaci: la forcella, come già detto regolabile in precarico, vanta steli da 43 mm e un’escursione di 150 mm, sufficiente per affrontare con una certa tranquillità sconnessioni anche di una certa importanza; e il monoammortizzatore posteriore a doppia regolazione, che tramite biellismi di progressione (fusi in alluminio) lavora con un bel forcellone a bracci nervati rettangolari in alluminio estruso, consente alla ruota motrice una corsa di 159 mm. Fermi restando il gruppo frenante Tokico, che verte su due dischi anteriori da ben 310 mm (con pinze a due pistoncini paralleli), e sul posteriore da 260 mm con pinza a pistoncino singolo, assistiti dall’ABS di serie. L’unica variante che caratterizza la nuova XT riguarda dunque solo le ruote, come peraltro già detto. Via le ruote in lega, dunque, per i fuori stradisti più esperti giustamente limitative in quanto troppo rigide e delicate, qui sostituite dalle nuove unità a raggi d’acciaio con cerchi in alluminio, saggiamente di tipo tubeless; quindi ben più sicure di quelle con camere d'aria in caso di malaugurata foratura, peraltro riparabile con molta più facilità: a patto, naturalmente, di avere a bordo un apposito kit di riparazione e gonfiaggio, o magari qualche semplice vite Parker, che potrebbe risolvere, almeno temporaneamente, una foratura poco importante (ma le bombolette d’aria pressurizzata sono comunque necessarie).
I nuovi cerchi in questione, realizzati dalla giapponese D.I.D. (Daido Kogyo CO. Ltd), ben nota anche per le catene da moto ed altro, in realtà non sono una novità recentissima, anzi. Tant’è che esordirono nell’85 sulle Honda XL 600 RM ed LM, e più avanti sulla custom CMX450, ma anche su qualche Yamaha custom, tipo la Virago 750. Per poi diffondersi più avanti sulle moto da trial, ma solo posteriormente. Si trattava di cerchi dotati di un’alta nervatura centrale nella quale i raggi si infilano al contrario, perché i nipples sono alloggiati sulle apposite bordature dei mozzi.
Ultimamente, DID fornisce la nuova versione di questi cerchi alla Yamaha, che li monta sull’attuale Superténéré 1200: si tratta questa volta di modelli a doppia nervatura - dove i raggi vengono equamente suddivisi tra destra e sinistra per irrigidire meglio l’insieme - che in questo caso equipaggiano entrambe le ruote.
La V-Strom 650 XT, invece, monta un cerchio anteriore a doppia nervatura e un posteriore a nervatura centrale (come quelli delle XL che, giusto per la cronaca, orgogliosamente equipaggiano anche la mia vecchia Transalp 600…): una differenziazione probabilmente dovuta al peso molto inferiore della Suzuki rispetto alla poderosa Yamaha, che in fuoristrada chiaramente sollecita parecchio di più le ruote. Mentre davanti la soluzione della doppia nervatura va a conferire maggior rigidità e precisione di guida, comunque utili alla V-Strom anche in fase di frenata e inserimento in curva.
Naturalmente le misure del materiale rotabile sono rimaste immutate, sempre con le Bridgestone Trail Wing radiali da 110/80x19” davanti e 150/70x17” dietro.
Godersi la V-Strom 650XT
La nuova V-Strom 650 non ha logicamente perso nulla della sua grande piacevolezza d’utilizzo. Non pesa un’esagerazione, e in sella ci si sta molto comodi, davanti e dietro, e si poggiano per bene i piedi a terra. Personalmente preferirei avere il manubrio leggermente più vicino, ma poca roba. Questa è una delle moto che davvero favoriscono l’uso a tutto campo, e che non mette mai in difficoltà, se non chi sia davvero piccolo di statura (ma la sella ribassata può essere in parte una soluzione). I comandi sono tutti dolci e sottomano/piede, e, grazie all’angolo di sterzo favorevole, muoversi nel traffico, anche col serbatoio pieno, è un gioco da ragazzi. Il carattere del bicilindrico Suzuki poi non è certo una scoperta: le sue doti di malleabilità sono note da un bel pezzo, e rimane decisamente un riferimento in questa fascia di cilindrata. La frizione è morbida e precisa allo stacco, e il cambio normalmente è molto fluido ed efficace, mostrando qualche inciampo – forse dovuto ai pochi chilometri percorsi dalla nostra moto – solo guidando in mezzo nel traffico intenso a velocità bradipo, in particolare nel passaggio dalla seconda alla terza.
Anche l’esame pavè – quello tosto, altrimenti è una passeggiata - merita un’ampia sufficienza, perché la taratura di base scelta da Suzuki consente alle sospensioni di lavorare soddisfacentemente un po’ ovunque, sia andando a spasso che guidando più sportivamente. Il che viene molto facile ed istintivo, in sella a questa moto, che mette tutti a proprio agio con quel suo fare da tranquilla viaggiatrice, che però sa anche cacciar fuori per bene gli artigli su un impegnativo passo di montagna, come su un bel misto, lento o veloce che sia. Complice, naturalmente, anche un motore che in sesta è in grado di riprendere da appena sotto i 2.000 giri, delizioso nell’esprimersi con brio tra i 3.000 e i 7.000 giri, e tranquillamente utilizzabile per lunghi tratti di misto con rapporti alti senza dover utilizzare per forza il cambio, nel caso si propenda per la tranquilla passeggiata panoramica.
Personalmente ho riscontrato ancora la già a me nota sensazione di leggerezza dell’avantreno – che però sparisce dopo mezz’ora - che continuo ad attribuire al profilo “svelto” della stretta gomma anteriore. Stretta ma sincera, e ben assecondata dalla posteriore anche quando si alza il ritmo e le pieghe si fanno sempre più accentuate. L’impianto frenante anteriore non è di quelli esagerati nel caso si vada di gran fretta, il comando è un po’ spugnoso, e quello della nostra moto ha avuto bisogno di qualche strizzatina prima di fornire decelerazioni soddisfacenti. Ma su moto del genere, pur con una forcella ben calibrata, ma comunque con una impronta a terra non esagerata anteriormente, solitamente è molto meglio un impianto che richieda un po’ di sforzo sulla leva, ma che goda di una discreta modulabilità, piuttosto che trovarsi con un mordente esagerato. Anche se è vero che l’ABS, che dietro come sempre si fa sentire molto prima (per via dell'alleggerimento del retrotreno in decelerazione) anteriormente si conferma molto ben calibrato.
Gli stessi trasferimenti autostradali, quasi sempre noiosissimi, si digeriscono bene in sella a questa moto: sia il sottoscritto (alto 1,76) che il co/tester Francesco Paolillo (1,80) siamo concordi nel giudicare già soddisfacente la protezione garantita dal parabrezza nella posizione standard, cioè la mediana. In effetti si avverte un po’ d’aria lambire casco, spalle e braccia, ma senza che il capo si metta a ciondolare fastidiosamente, ed il collo ne risenta. E naturalmente anche qui il motore gira fluido, silenzioso e senza vibrazioni mentre si viaggia costantemente sui 130 effettivi: quindi col contagiri a circa 6.300, mentre è oltre i 7.000 che qualche vibrazione inizia a farsi sentire.
La ciclistica è sempre sincera e confidenziale, e anche sui curvoni percorsi ad alta velocità la moto rimane piacevolmente stabile, senza scomporsi significaanche sorpassando autobus o camion, piuttosto che in presenza di vento sostenuto. Abbiamo provato la V-Strom XT anche lungo un sentiero in terra battuta spesso mista a ghiaia, discretamente accidentato e con qualche dosso pronunciato: nessun problema, ovviamente, nel percorrerlo tranquillamente, specie guidando in piedi. Ma volendo affrontarlo un po’ più alla garibaldina è chiaro che immediatamente la ruota posteriore abbia subito da ridire, perdendo continuamente trazione e mettendosi a saltellare nervosamente sulle piccole asperità, e che le braccia poco allenate dopo un po’ inizino ad accusare i colpi: del resto, con le gomme “ibride”e gonfiate a pressione standard, abbinate alla taratura non adeguata delle sospensioni (specialmente dietro), non poteva essere che così.
Tornando all’ABS, avevamo già riscontrato in precedenza come se la cavasse bene anche su sterrati ben battuti. Ma l’esperto fuori stradista desideroso di spremere la sua XT sulla terra ad andature a lui più congeniali, sicuramente l’antibloccaggio lo vorrebbe disinseribile.
Vista dal ponte di comando l'estetica, invece, mi piace alquanto.
Due cose. Il pulsante per il lampeggio l'avrei lasciato al vecchio posto e poi l'altezza della sella. Sono alto 171 cm, ho installato la sella ribassata e ho comunque qualche difficoltà a gestirla nelle bassissime andature quando non nei tornanti a destra, Che la sella sia ribassata non aiuta molto in quanto essendo un po' larga anche di telaio, questo fattore non risolve l'allargamento delle gambe e quindi la difficoltà a toccare a terra se non con un piede solo. Spero che Suzuki ci faccia un pensierino...
Nonostante ciò, confesso che mi ci sto affezionando.