Motorsport e Coronavirus: Fuoristrada a porte chiuse?

- La faccenda è serissima, socialmente potrebbe essere cruciale. Non tutto è chiaro, molto sembra esserlo… troppo. Un po’ di delirio autorizzato sotto forma di riflessioni disorganizzate. La difesa viene dal passato
Motorsport e Coronavirus: Fuoristrada a porte chiuse?

Italia, Pianeta Terra, 7 Marzo. A un giorno dalla festa della Donna. In modo da non dimenticarcene poiché ci ricordiamo delle donne ma non sempre della loro festa. Pensieri liberi, magari ai confini del delirio, sull’argomento unico, forte, di questo momento che sembra protrarsi oltre i limiti del sopportabile.

Accade sovente quando la materia è importante, globalmente coinvolgente e sfuggente: l’informazione è poco sistematica e spesso ancor meno coerente, sicuramente ridondante e sensazionalista, non sempre attendibile perché inevitabilmente emotiva, assai poco “scientifica”. Ecco perché pensieri liberi, magari deliranti perché sconnessi e casuali, impertinenti.

Se ne sono sentite e lette di tutti i colori. Bar e parrucchieri sono tornati ad essere aree di dibattito acceso, neanche Azzurra o il Moro, Bearzot, le Olimpiadi o Mike Tyson. La sensazionale dirompente del giorno, per noi toscani dell’Ovest, è Pisa-Livorno a porte chiuse.

La partita di Calcio va sul palcoscenico dell’Arena ma platea, gallerie e palchi reali sono vuoti. Torna d’attualità Juventus-Inter,
l’escalation di considerazioni, opinioni, accuse, condanne, decisioni poi generalizzate. Il Mondo si ferma, si congela, si auto costruisce un fermo economico memorabile e ammonitore, vanno avanti il Calcio e la Santa Messa domenicale, non quella feriale.

Il Calcio è nato sui campini ed è esploso negli stadi, le sponde del catino colmo di appassionati incombenti sul prato e con il fiato sul collo degli attori. Ora si salva la partita e si nega lo spettacolo dal vivo. Domanda: non era più giusto, e coerente, fermare il mondo anche sotto questo aspetto? Deve andare avanti il sistema negando la fisicità della partecipazione dei tifosi, o si pensa di favorirli
introducendoli alla mitezza della quarantena calcistico-televisiva? Non so, io non guardo la televisione e non seguo il calcio, sono fuori dal mondo e quel Pisa-Livorno è una colorita memoria storica bi-provinciale un tempo assurta ad onori di “cultura”!

Penso al mondo della Gare che si ferma anch’esso, anzi prima di altri mondi. Si potrebbe pensare che arriveremmo a far disputare il Mondiale di Enduro o Rally-Raid, il WRC o la Dakar a porte chiuse? Le prime tre risposte che mi vengono in mente sono goliardiche, ironiche, sarcastiche. Datemene voi altre tre più prudenti e consone alla pesantezza dell’atmosfera.

Il pensiero concreto che ne deriva, tuttavia, è che siamo vittime di una diffusione di senso di panico inconsueta, perché non eravamo preparati, non potevamo certo. Ma anche esagerata. Perché il panico è esagerazione.

Fermarsi un attimo? Riflettere con calma e fare alcune considerazioni? Il problema Coronavirus è grave. Grave perché lascerà strascichi agghiaccianti e grave come tutti i problemi che possono far scivolare nel dramma la vita di una famiglia, anche una soltanto. La qualità pesa individualmente come la quantità.

Certo i numeri fanno paura. Talvolta sembra che il contatore impazzito non voglia fermarsi, neanche rallentare. In Cina si direbbe fermato, da noi no. Altre volte mi viene da pensare che la differenza è che per una volta ci siamo soffermati a contare. Quanti contagi, quante vittime hanno mietuto altre influenze trattate routinariamente tra un vaccino e quello successivo nel crescere della virulenza?

Oggi è “colpa” dei cinesi, no dei tedeschi, no degli italiani, fermata sul nascere la nuova Via della Seta, ma a rischio di blocco ben
altre vie economiche, di collasso ben altre crisi
.

Eppure si continua con interventi di emergenza, hotel che diventano ospedali, soprattutto chiusure e sospensioni, e invece mi sembra che uno dei pochi concetti largamente condivisi sia che con poche regole, non sconosciute perché arrivate dall’infanzia, si può prevenire. Ci si può difendere. Con forza e precisione. All’antica, erigendo un muro, una barriera tra noi e il fronte del virus.

Lavarsi le mani, stare a un metro, avere attenzione del proprio “potenziale distruttivo” starnutendo, tossendo con attenzione nell’attenzione per i vicini.

Poche regole efficaci, una difesa migliore ancora del “famigerato” catenaccio. Semplice, forte.

E il Fuoristrada come esempio ideale. Non a porte chiuse ma a mente aperta. In Svezia, a una Gara di Enduro, sono rimasto sbalordito. In mezzo al nulla, un campo vicino all’argine oltre il quale si disputava la Prova Speciale, una fila di persone lunga cento metri che finiva davanti a una sedia. Gli spettatori facevano la fila, mettevano la moneta in un cestino, strappavano il proprio biglietto e passavano oltre l’argine. Non reti, transenne, guardie, protezione civile.

Educazione.

Perché invece di chiudere lo stadio, il cinema, piazza del Duomo, non si vende un biglietto ogni due poltrone, non si fa la fila un metro uno dall’altro, un metro tra tutti al tornello d’entrata?

Il Fuoristrada non ha stadi. È l’esempio della libertà. Potrebbe essere un esempio di autodifesa responsabile e vincente contro il Coronavirus. Un metro di distanza, ci si parla e si commenta lo stesso alla curva del WRC, si è abbastanza vicini alla scena dell’Extreme, si ascolta e si vivono ugualmente le vibrazioni della passione.

Senza paura! Con il buonsenso di chi evita il corona spacciatore di falsi dollari, il pranzo a bordo alitalia, l’incetta di amuchina e la fuga sul pianeta sconosciuto.

visto da noi
  • Stefano.Bertuccioli
    Stefano.Bertuccioli, Ceranesi (GE)

    Complimenti, bel pezzo che dovrebbe far riflettere un sacco di persone che evidentemente non sono e non saranno mai come te, ma anche come me e tanti altri in questo paese.
    Mi spiace, ma certe regole per i latini, noi in primis, non saranno mai attuabili. I popoli mediterranei sono così da secoli e non penso sia un'emergenza di un paio di mesi a poter cambiare la loro cultura ed il loro approccio all'educazione civica così diverso rispetto al mondo anglosassone, nordico o orientale.
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