Vincent Philippe: “Nell'endurance la squadra fa la differenza”
Se non siete fan dell’Endurance è quasi necessario che siate attenti seguaci del Motomondiale da più di 15 anni perché il nome Vincent Philippe vi dica qualcosa. Il francese (è nato a Besancon l’11 gennaio del 1978) ha infatti qualche trascorso nella 250: fra 1998 e 1999 conquista due titoli nazionali mentre corre anche nell’europeo e fa la wild card nel Mondiale.
Il 2000 sembra il momento buono: Vincent passa in pianta stabile al Motomondiale nientemeno che nelle fila del Team Gresini, affiancando il debuttante Daijiro Kato. Il giapponese però dispone di una NSR ufficiale, il francese solo di una moto privata con ciclistica TSR, e i risultati non sono all’altezza delle aspettative; finisce a punti solo quattro volte, collezionando numerosi ritiri e piazzamenti di scarso rilievo. Nel 2002 ci riprova, stavolta con un’Aprilia, ma la musica purtroppo non cambia.
Cambia invece la sua vita quando decide di passare – da buon transalpino – all’Endurance in sella alla Suzuki del team ufficiale. Vince la 24 ore di Le Mans al primo anno, nel 2003, e il suo primo Bol d’Or nel 2004; l’iride arriva l’anno dopo e non smette praticamente più di vincere, visto che a parte il 2009 l’albo d’oro del Mondiale Endurance riporta il suo nome. Otto titoli iridati, quindi, ma anche sette vittorie al Bol d’Or – un dominio quasi ininterrotto prima della micidiale tripletta Kawasaki – che lo collocano al vertice delle classifiche dei plurivincitori per la classica francese a pari merito con una leggenda come Dominique Sarron.
Abbiamo avuto occasione di incontrarlo alla sede Dainese durante la realizzazione di un servizio che vedrete a breve. E abbiamo potuto scambiare con lui qualche chiacchiera su di lui e sull'Endurance in generale, specialità che purtroppo in Italia conosciamo ben poco.
La stagione 2014 purtroppo è iniziata male, con un ritiro al Bol d’Or a causa di una brutta caduta (risultata in un trauma cranico e frattura al polso sinistro) quando il team si trovava al quarto posto avendo già perso tempo per una scivolata di un suo compagno di team. Cosa è andato storto?
«Siamo stati proprio sfortunati» attacca Vincent con un sorriso amaro, guardandosi il cerotto che copre i segni dell’operazione al polso. «La nostra moto quest’anno ha un po’ di svantaggio rispetto alla concorrenza, ma l’esperienza del team ha compensato ed eravamo preparatissimi. Potevamo fare davvero bene. Sono partito benissimo, alla prima curva sono passato per primo, e quando ha iniziato a piovere siamo stati i migliori nella gestione delle soste. Eravamo in testa con oltre quattro giri di vantaggio dopo la caduta del team Honda, ma Nigon è scivolato. E’ rientrato ai box, sono ripartito io e nonostante il distacco potevamo recuperare, ma mi è caduto un pilota davanti, l’ho centrato e ci siamo dovuti ritirare. L’Endurance è così, e sicuramente il campionato non parte sotto i migliori auspici, però al Bol è toccato a noi, magari la prossima volta capiterà a Yamaha, o a Kawasaki – basta un attimo per riequilibrare il campionato »
La moto nell’Endurance sembra meno importante rispetto alla squadra, ai piloti e alla strategia di gara. Riesci comunque a vedere punti forti e deboli delle varie moto partecipanti? Chi sono i favoriti? Quali le moto più competitive in pista?
«Considerazioni corrette, alla fine è il pacchetto a fare la differenza più di quanto non possa ogni singolo aspetto. Kawasaki, per esempio, al momento ha qualcosa di più quando si guarda solo il cronometro ma è anche un po’ più impegnativa. E contano tantissimo l’affidabilità, l’affiatamento con gli pneumatici (il Mondiale Endurance non si corre in regime di monogomma, NdR), le condizioni della pista o anche la facilità di guida. La Suzuki, in quest’ottica, è ancora molto competitiva: è molto equilibrata e tutti i piloti la trovano facile da guidare»
«E’ più o meno lo stesso discorso per le gomme; Michelin in determinate condizioni è estremamente performante, mentre le Dunlop è la più costante e prevedibile su tutto l’arco del campionato. Ormai abbiamo raggiunto un ottimo affiatamento con Dunlop, la nostra moto è perfettamente accordata a quelle gomme, e abbiamo sviluppato l’elettronica portandola ad un ottimo livello, quindi tranne in casi disastrosi come al Bol d’Or riusciamo a portare a casa punti importanti su tutte le piste. Non è un caso: se guardate la griglia, Suzuki è la marca più rappresentata essendo la moto più affidabile, economica da preparare e facile da guidare. E la cosa è importante, guardate il team Yamaha Austria: hanno tecnici e piloti che vengono dalla velocità e si vede, sono sempre un po’ tirati di motore e a rischio di rottura o di caduta»
Tu e il team Suzuki state dominando da lungo tempo il Mondiale Endurance, considerato a buona ragione uno sport di squadra. Tu però sei stato la costante di questi ultimi nove anni: qual è il tuo segreto?
«Tante cose. Sicuramente ai primi posti metterei la professionalità, la forma fisica e tanta esperienza in tante specialità diverse. Poi la mia capacità di mettermi sempre in discussione per migliorare, ma anche e soprattutto il grande piacere che provo ancora quando gareggio – mi piace vincere, ma mi piace proprio anche solo guidare la moto. Vado molto in bicicletta e pratico tanto sci di fondo per essere al top della forma fisica alle gare: spesso mi chiedono di partire per primo perché la mia velocità nella corsa – oltre a qualche segreto che non voglio svelarvi – mi consente spesso di guadagnare qualche secondo alla partenza. E non è raro che possa dare una mano al team facendo un doppio turno alla guida quando qualcuno dei miei compagni ha qualche problema, sia fisico che magari con particolari condizioni della pista o del meteo»
Il regolamento dell’IDM dovrebbe essere abbastanza simile a quello delle Evo nel Mondiale: credi che il riavvicinamento alle moto di serie sia positivo per le Superbike? I privati diventeranno più competitivi?
«Il regolamento attuale del Mondiale Superbike è troppo permissivo, e ha reso il campionato troppo costoso ed impegnativo, oltre a causare un forte squilibrio fra i team ufficiali dei costruttori e quelli privati, anche i migliori. Guardate l’Aprilia, è praticamente un prototipo… Il regolamento Evo è un bene: riequilibrando le prestazioni si capirà meglio chi è che va davvero forte. Detto questo, devo però anche ammettere che le Superbike attuali, che ho provato l’anno scorso a Magny Cours (partecipò come wild card, chiudendo con un ottimo sesto posto, NdR) sono davvero belle da guidare, potentissime e divertenti…»
Quindi hai fatto un pensiero ad un rientro in SBK, magari con il nuovo regolamento?
«Qualunque opportunità mi offrano per correre l’accetto sempre volentieri, io più sto in moto più mi diverto» ride allegro Vincent. «Il problema viene un po’ dalla moto: a me piace correre potendo puntare a risultati importanti, e il regolamento Evo di fatto vincola molto le prestazioni al modello del modello di serie: se quello è performante anche la moto da gara andrà forte, se no… insomma, con la Suzuki attuale sarebbe difficile fare meglio del sesto posto dell’anno scorso con un regolamento Evo. Magari potrebbe essere un incentivo allo sviluppo per le case giapponesi, che ultimamente sono rimaste un po’ indietro rispetto alla concorrenza europea»
Obiettivi per il 2014, ma a questo punto… per il 2015? L’ottava vittoria al Bol d’Or?
«Chiaramente per il 2014 punto a riconfermarmi campione del mondo, e mi piacerebbe fare bella figura nell’IDM. Perché non la Superbike francese? Ci ho corso per quattro anni in passato. Ora però Suzuki ha un progetto molto interessante per i giovani, con un team Junior che nasce per far crescere piloti e tecnici per poi lanciarli verso il Mondiale; abbiamo parlato di un mio coinvolgimento ma non avrebbe senso. Preferisco lasciare appunto il posto a piloti giovani – che senso avrebbe un “team junior” con un pilota come me, di trentacinque anni? Se un giorno diventasse “team senior” ne riparleremo. Nel 2015? Gli stessi del 2014, poi chi lo sa…»
Sempre con Suzuki?
«I rapporti con i miei partner nelle gare per me sono importantissimi, e li vedo sempre come affari a lungo termine. Con il team SERT, ma anche con Dainese e Shark, che mi dà i caschi, lavoro benissimo da sempre: ho tutto quello che mi serve per puntare alla vittoria, ed è questo che conta per me. Certo, mi capitano spesso proposte per cambiare, ma che senso avrebbe? Magari guadagnerei un piccolo vantaggio per una o due stagioni, ma dovrei anche ricominciare da capo, e a lungo termine chissà? Finché i miei partner mostrano la mia stessa determinazione nel vincere, e cercheranno di darmi tutto quello che mi serve per farlo, non vedo alcun motivo per cambiare!»