L'editoriale di Nico

Nico Cereghini: “Il gioco di squadra fa parte del nostro sport?”

- Se ami questo sport, devi sapere che anche gli ordini di scuderia fanno parte del motociclismo da sempre. Il nostro sport è un po’ individuale e un po’ di squadra: passione, spettacolo e anche business. Difficile è trovare un equilibrio accettabile
Nico Cereghini: “Il gioco di squadra fa parte del nostro sport?”

Ciao a tutti! Voglio parlare di gioco di squadra per tentare di mettere un po’ d’ordine in una materia tanto attuale quanto scivolosa. Premetto che si tratta di una faccenda complicata e in fondo irrisolvibile: il motociclismo è uno sport individuale ma contemporaneamente anche di squadra, il pilota non corre a piedi ma in sella a una moto sulla quale un costruttore ha investito mezzi e ambizioni. Da lì un mucchio di ambiguità. Non pretendo di risolvere la questione, vorrei offrire una prospettiva storico-politica.


Intanto, faccio notare che nel motociclismo il gioco di squadra è sempre esistito. Quando serviva, naturalmente: cioè quando una casa aveva due piloti di prim’ordine e la concorrenza era potente. In Gilera con Duke e compagni negli anni Cinquanta, in Yamaha tra Read e Ivy negli anni Sessanta, in Morbidelli tra Pileri e Bianchi nei Settanta… Insomma, tutte le volte che i due piloti ufficiali si equivalevano per talento e c’era il forte rischio che, a lasciar fare ai due litiganti, il titolo andasse a un altro marchio.


Certamente alla MV, con Hailwood e Ago nel 1965, non ci fu bisogno di ordini di scuderia: le concorrenti più temibili erano le belle ma datatissime Matchless monocilindriche e, comunque andasse, difficilmente il titolo mondiale della 500 sarebbe sfuggito al conte Agusta. Allora funzionava così e nessuno si scandalizzava. 


La cosa può piacere o non piacere, ma qualche volta il gioco di squadra è necessario e questa di oggi è una di quelle volte. A lasciar fare a Bagnaia e Bastianini (o Martin o qualunque altro ducatista), c’è il forte rischio che i piloti si scannino tra loro e il titolo che manca dal 2007 non si vinca più.  C’è chi protesta in nome dello sport, ma io dico che questo sport è sempre stato così. E c’è chi obietta che un conto è dare ordini a due compagni di squadra e un altro conto pretendere obbedienza dal pilota di un altro team. Qui faccio notare due cose: se l’obiezione è in nome della sacralità dello sport allora mi sembra -come mi pare di aver dimostrato- piuttosto ingenua; se invece è in nome della correttezza dei rapporti tra squadre e piloti io dico: ci importa realmente? Che se la vedano tra loro.


Concordo, non è bello vedere Davide Tardozzi che corre ingrugnito verso il muretto del team Gresini nella fase più calda della gara a Motegi. Questa ce la potevano risparmiare e indubbiamente si può fare molto meglio di così, ma ritengo che tra soci in affari (perché anche di questo si tratta: Ducati di qui e Gresini di là) e tra futuri (e intelligenti) compagni di box si può trovare una intesa. Sempre che la si voglia, naturalmente. 

  • noveundici
    noveundici, Empoli (FI)

    Dal 2015 di squadra per nazioni.
  • dexxus955
    dexxus955, Modena (MO)

    Nell'ultimo week-end di superbike, kawasaki nella superpole race ha fatto gioco di squadra, se la stessa mossa l'avesse fatta Rinaldi con Bautista...Apriti cielo.
    C'è sempre questo masochismo latente verso tutto ciò che è Italiano, che siano piloti, mezzi o commentatori, perchè anche questi non devono essere tifosi, devono essere imparziali...Non conosco l'olandese, ma dubito che i commentatori di F1 in quel paese non siano tifosi di Verstappen
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