Le intuizioni tecniche valide ieri e oggi
Nella storia del motorismo non mancano certo gli schemi tecnici che, dopo anni e anni di largo impiego, sono in seguito scomparsi dalla scena. Alcuni di essi potrebbero andare bene anche oggi, ma da lungo tempo il loro posto è stato preso da altri più convenienti sotto l’aspetto economico o della razionalità costruttiva, o magari più adatti ai moderni motori ultraveloci sotto altri punti di vista. Di quando in quando però qualcuna di queste soluzioni torna a esser presa in seria considerazione.
Testate divise in due parti
Fino a tutti gli anni Cinquanta nei motori da competizione sono state largamente impiegate le teste costituite da due parti unite mediante viti; un accurato posizionamento dell’una rispetto all’altra era assicurato da apposite spine calibrate. La testa vera e propria era sormontata da un “castello” nel quale erano alloggiati i due alberi a camme (di norma collegati da una serie di ingranaggi) e le punterie, che in genere scorrevano all’interno di guide in bronzo. Era il periodo nel quale le molle a spillo dominavano la scena e, usualmente, lavoravano all’aperto, cosa che consentiva di sostituirle agevolmente in caso di rottura.
La scelta di realizzare una testa vera e propria più un castello (ovvero un sopratesta) presentava vantaggi dal punto di vista realizzativo e degli interventi. In particolare, il lavoro della fonderia era nettamente più semplice. In certi casi anche alcune lavorazioni e alcune operazioni meccaniche potevano risultare agevolate. Non si deve comunque pensare che negli anni Cinquanta mancasse la tecnologia necessaria per realizzare fusioni molto complessa (basta pensare ai quadricilindrici Gilera e MV). La Ducati sui suoi motori da competizione con distribuzione mono e bialbero impiegava la soluzione in due parti, mentre per i monocilindrici desmo utilizzava una testa in un sol pezzo. Negli anni Sessanta la soluzione è andata perdendo progressivamente il favore dei tecnici; le ultime moto da Gran Premio che l’hanno impiegata sono state le Jawa bicilindriche bialbero, le CZ e la fantastica Morini 250, che ha corso fino al 1967 (anno nel quale ha conquistato il suo ultimo titolo italiano seniores). Avevano una testa e un sopratesta i primi motori quadricilindrici a cinque valvole realizzati dalla Yamaha durante gli anni Ottanta.
Queste osservazioni riguardano solo il settore moto, ma non si può non accennare almeno a un paio di motori automobilistici a quattro cilindri realizzati a suo tempo dalla BMW; nel primo sopra la testa venivano piazzati due “portacamme” in lega di magnesio, in ciascuno dei quali erano alloggiati un albero a camme e otto punterie (nella versione turbo questo motore ha conquistato il mondiale di Formula Uno nel 1983). La Fiat ha impiegato a lungo una soluzione analoga per i suoi motori bialbero, con portacamme ovviamente in lega di alluminio. Il secondo quadricilindrico BMW di serie di 2,3 litri, di poco posteriore, la cui testa era divisa in due parti sovrapposte; in quella superiore trovavano posto i due alberi a camme con le relative punterie (proprio come nelle Yamaha FZ a cinque valvole dello stesso periodo). Questa soluzione ha trovato impiego anche in alcuni motori automobilistici da competizione del passato.
È interessante segnalare che alcuni anni fa una nota azienda ha proposto una testa per motori automobilistici fortemente sovralimentati realizzata proprio con lo schema in questione. In questo caso per la parte inferiore si impiegava una lega di alluminio dalle elevate caratteristiche meccaniche a caldo, costosa e non facile da fondere, mentre per la parte superiore si utilizzava una lega notevolmente più economica e dalla grande colabilità, che però non aveva un comportamento analogo alle alte temperature.
Le corse e le calotte riportate
In un passato non molto lontano diverse teste sono state dotate di calotte, in ghisa o in bronzo, nelle quali venivano ricavate le pareti delle camere di combustione, il foro per la candela e le sedi, ossia le superfici di appoggio delle valvole. Questa soluzione è stata impiegata tanto in modelli di serie quanto in modelli da competizione. Nel primo caso si impiegavano in genere calotte in ghisa, che venivano incorporate nella testa all’atto della fusione. In tal modo era talvolta possibile abbassare lievemente i costi di produzione. Calotte di questo genere sono state impiegate in diversi motori Gilera di tipo utilitario degli anni Cinquanta. E non si deve dimenticare che ci sono stati ciclomotori come il Cucciolo e il Motom che, nella versione con testa e cilindro in un sol pezzo, impiegavano una canna cieca che veniva presa di fusione e il cui fondello costituiva la calotta, con sedi per le valvole e foro per la candela.
Di particolare interesse è l’adozione di calotte in ghisa nei bicilindrici monoalbero Honda degli anni Sessanta, costruiti in numeri imponenti. Pure nel CB 450, con distribuzione bialbero e valvole richiamate da barre di torsione, si impiegavano calotte in ghisa prese di fusione. Questa stessa soluzione è stata utilizzata dalla Laverda per vari anni sui suoi famosi bicilindrici 750.
Anche in diversi motori da competizione le teste erano munite di calotte riportate. Nei primi Mondial erano in ghisa ma in seguito come materiale è stato preferito il bronzo, dotato di una conduttività termica molto più elevata. Queste calotte, incorporate all’atto della fusione, sono state impiegate sui policilindrici Honda da Gran Premio degli anni Sessanta e sui Benelli. Erano invece installate con interferenza le calotte dei motori MV a tre cilindri e dei successivi quadricilindrici.
Grazie a questa soluzione, se le valvole erano molto grandi (come d’obbligo nei motori da corsa), veniva minimizzato il rischio che si formassero delle crepe nella zona tra le sedi. Inoltre, per quanto riguarda la MV, nella malaugurata eventualità di danneggiamenti in un solo cilindro, magari causati da una “sfollata”, era possibile sostituire la relativa calotta, senza dover buttare via le testa completa.
Pure in questo caso merita un cenno il settore automobilistico. Negli anni Novanta la BMW non ha corso ufficialmente in Formula Uno; i suoi tecnici però hanno lavorato per tenersi al passo coi tempi anche nel settore dei motori da competizione. Tra l’altro hanno realizzato un V12 da Gran Premio di 3500 cm3 nel quale ogni testa era dotata di sei calotte riportate in bronzo al berillio.
Dalle racing di ieri alle odierne
Nelle Honda policilindriche da GP degli anni Sessanta le punterie non erano installate in fori ricavati direttamente nella testa, ma venivano inserite in appositi blocchetti di guida, fissati alla testa stessa per mezzo di viti. Questa stessa soluzione, che veniva adottata per semplificare la fusione, le lavorazioni e il montaggio, è stata impiegata anche dalla Benelli e dalla MV Agusta, quando è passata alle quattro valvole per cilindro. Qualcosa del genere è stato fatto anche nei motori di Formula Uno aspirati degli anni Duemila, nei quali i perni dei bilancieri a dito venivano inseriti in blocchetti di lega di alluminio ricavati dal pieno che venivano fissati alla testa mediante viti. Non so dire se questa soluzione venga impiegata anche nei motori delle MotoGP e delle Formula Uno odierne, ma mi sembra molto probabile che qualcuno la utilizzi, se non quasi tutti.