Massimo Clarke: "Storia delle Honda CB 500, 350 e 400 Four"
Dopo il grande successo della CB 750 Four, probabilmente nessuno si aspettava che la Honda avrebbe realizzato delle quadricilindriche di minore cilindrata, anche perché produceva già degli apprezzati modelli bicilindrici di 350 e 450 cc. E invece l’apparizione della CB 500 Four nella primavera del 1971 è stata una autentica sorpresa, che ha davvero aperto una nuova pagina nella storia del motociclismo, quella delle “medie” a quattro tempi con più di due cilindri.
L'inedita CB 500 Four
Dal punto di vista tecnico la nuova media di casa Honda non era una versione in scala ridotta della 750, con la quale condivideva in fin dei conti solo il numero e la disposizione dei cilindri, oltre alla distribuzione monoalbero con comando a catena, ma era frutto di un progetto completamente nuovo. Perfino il sistema di lubrificazione era diverso; passava infatti da quello a carter secco del modello di maggiore cilindrata a uno più semplice, a carter umido. Altre differenze a livello di scelte tecniche di base saltavano subito all’occhio. Il motore della 750 era a corsa lunga, mentre quello della 500 era un superquadro. Per quanto riguarda la distribuzione, erano stati aboliti i due castelli, fissati superiormente alla testa, che supportavano l’albero a camme e nei quali erano inseriti gli assi dei bilancieri; questi ultimi ora erano installati nel coperchio della testa stessa (e i supporti dell’albero a camme erano ricavati per metà nella testa e per metà nel coperchio). Il risultato era una maggiore compattezza e una migliore razionalità costruttiva, con un inferiore numero di componenti e di lavorazioni.
Completamente diversa, poi era la trasmissione primaria, che in questo caso era di tipo “misto”, realizzata cioè con uno schema al quale la Honda è rimasta fedele a lungo, anche per altri modelli apparsi successivamente. Dal centro dell’albero a gomiti partiva una catena silenziosa, e questa era una interessante novità per il settore motociclistico. Benché in campo auto fossero ben note da tempo e avessero avuto significativi impieghi (soprattutto negli USA) già assai prima della seconda guerra mondiale, sui veicoli a due ruote gli organi di trasmissione di questo tipo non si erano diffusi. Questa catena dentata (nettamente più robusta di una a rulli, a parità di larghezza) trascinava in rotazione un albero ausiliario, che a sua volta trasmetteva il moto alla campana della frizione per mezzo di una coppia di ingranaggi, oltre ad assicurare il collegamento con il motorino di avviamento e ad azionare la pompa dell’olio.
L’albero a camme veniva comandato da una catena a rulli collocata centralmente, sulla quale agivano un pattino antisbattimento e un tenditore a lamina, del tipo semiautomatico. Periodicamente occorreva allentare il dado di bloccaggio della vite di registro; una molla calibrata provvedeva quindi a fare assumere alla lamina tenditrice la corretta curvatura e pertanto ad impartire alla catena la giusta tensione. Tenendo ferma la vite (collocata nella parte posteriore del blocco cilindri) si serrava nuovamente il dado e l’operazione era conclusa. I perni dell’albero a camme poggiavano direttamente sull’alluminio della testa e del coperchio, e la cosa stupì molti appassionati dell’epoca. Eppure questa soluzione, senza cuscinetti volventi e senza bronzine, veniva impiegata da anni in motori automobilistici come i bialbero delle Alfa Romeo Giulietta e Giulia… L’angolo tra le due valvole di ogni cilindro (quella di aspirazione era da 27,5 mm e quella di scarico da 23 mm) era leggermente inferiore a quello impiegato sulla CB 750; da 58° si passava infatti a 56°. L’alesaggio di 56 mm era abbinato a una corsa di 50,6 mm. Il blocco cilindri era dotato di canne in ghisa installate con interferenza. L’albero a gomiti in acciaio forgiato poggiava su cinque supporti di banco e lavorava interamente su bronzine.
Per questo quadricilindrico, che veniva alimentato da una batteria di quattro carburatori Keihin da 22 mm e aveva un rapporto di compressione di 9:1, la casa dichiarava una potenza massima di 50 cavalli a 9000 giri. La CB 500 Four, grazie alla modernità e alla robustezza del suo motore, si prestava molto bene anche alle elaborazioni. Per diversi anni è stata grande protagonista delle gare per le derivate di serie. In Italia vanno ricordate quelle ottimamente preparate dalla Samoto e dalla scuderia Ianniccheri di Roma e dagli appassionati concessionari Carpeggiani di Forlì e Segale di Vigevano.
Arriva la 350 Four
Nella primavera del 1972 ha fatto la sua comparsa la CB 350 Four, con motore dotato di una architettura molto simile a quella della 500. Vi erano però alcune differenze significative. Tanto per cominciare questo quadricilindrico era a corsa lunga; in secondo luogo il cambio era nettamente diverso. Le forcelle di innesto delle marce infatti non erano montate direttamente sul tamburo selettore, come nella 500, ma su un asse parallelo ad esso. Inoltre l’angolo tra le valvole aveva subito una leggera riduzione, passando da 56° a 54°, valore davvero contenuto, per un motore dell’epoca. Il tenditore della catena di distribuzione era sempre del tipo sul quale si doveva intervenire periodicamente per liberare una vite di bloccaggio e consentirgli di disporsi in una nuova posizione (all’ottenimento della corretta tensione provvedeva anche in questo caso una molla calibrata). Il disegno e la disposizione della molla e del registro, ora piazzato anteriormente, erano però diversi. Per il resto venivano riprese le soluzioni e il disegno d’assieme del motore di 500 cc. L’alesaggio era di 47 mm e la corsa di 50 mm. La moto, che secondo i dati forniti dalla casa disponeva di 32 cavalli a 9500 giri, era sicuramente valida e godibile, ma le prestazioni non erano granché e l’impostazione complessiva era di stampo anche troppo turistico. Occorreva qualcosa di più sportiveggiante.
E' il turno della 400 Four, a sei marce
È stata così realizzata la CB 400 Four, presentata verso la fine del 1974, che utilizzava una versione riveduta del quadricilindrico della 350, con cambio a sei marce, alesaggio portato a 51 mm e una potenza dichiarata di 37 cavalli a 8500 giri. L’estetica era molto differente, e di certo più aggressiva, anche se forse non più bella; ad accentuare il carattere più sportivo contribuiva il complesso di scarico del tipo quattro-in-uno. Questo modello agile e guizzante ha avuto una ottima accoglienza da parte del mercato e ha rapidamente raggiunto una grande diffusione.
Anche la CB 400 Four ha trovato impiego, maggiorata a 500, nelle gare per le derivate di serie (le preparavano in particolare la Samoto e la Sidam, entrambe concessionarie a Roma negli anni Settanta).
La meno diffusa CB 550 Four
Dalla CB 500 Four è stata derivata la meno fortunata CB 550 Four, rimasta in listino fino al 1979. Il motore era identico, eccezion fatta per l’alesaggio, che era stato portato a 58,5 mm. La potenza era di 50 CV a 8500 giri/min. Il canto del cigno di questa gloriosa famiglia di motori si è avuto con la CB 650, apparsa nel 1979, quando oramai a dominare la scena erano i modelli con motore bialbero. Il suo quadricilindrico era in pratica quello della CB 500 con diverse misure di alesaggio e corsa (passavano a 59,8 x 55,8 mm) più alcune modifiche di dettaglio. La potenza veniva indicata in 63 cv a 9000 giri.
( anche se ha poi sempre optato per le due cilindri Ducati )
...Tony di Asti