Nico Cereghini: Schwantz compie 50 anni, auguri!
Kevin Schwantz ha vinto soltanto un titolo, in 500 nel 1993, eppure è rimasto nel cuore dei motociclisti. Guardate quanti bimbetti sono stati chiamati Kevin anche in Italia negli anni Novanta! Perché? Risposta facile: perché lui dava sempre tutto, non faceva calcoli, e la sua guida era la più spettacolare.
Nato il 19 giugno 1964, il texano di Paige aveva cominciato con il trial, il dirt-track ed il motocross. C’era la stoffa, e già c’era anche il numero 34 preso dalla zio che vendeva moto e che faceva qualche gara. Scoperta la bellezza dell’asfalto, non ha più smesso. Superbike dell’AMA con la GSX-R Suzuki 750, tante vittorie, tante cadute, nessun titolo è vero, però negli States era già adorato. Spencer nell’83 lo diceva: «Se Schwantz viene qui nel mondiale, vince a mani basse». E dopo un paio di assaggi sposò il nostro campionato nell’87, a 23 anni con la Suzuki 500 ufficiale, raccomandato da Barry Sheene che lo aveva visto correre il Transatlantic Trophy. Un anno per acclimatarsi, la moto era un po’ indietro, poi dall’88 la prima vittoria a Suzuka. Da allora, un totale di 25 successi. E 29 pole, 26 giri veloci, 51 podi.
Posso dirvi che Kevin è stato per conto mio il più simpatico della 500 “americana”: allegro, disponibile, professionale ma anche capace di non prendersi troppo sul serio. Un texano atipico, perché i suoi connazionali hanno fama di essere cow-boys amichevoli ma piuttosto rozzi; mentre lui è un tipo sensibile, addirittura timido. Uno di quei timidi che in moto si scatena. La sua guida funambolica ha fatto scuola: angoli secchi al posto delle traiettorie rotonde, staccate furibonde come quella di Hockenheim nel ’91 ai danni di Rainey, che vedete qui sotto; lui girava più lento, ma stretto, e poi gas spalancato. Efficacissimo, anche se era quasi sempre al limite: le sue fratture sono state, purtroppo, ancora più numerose delle vittorie.
Facevamo allora dei bei servizi televisivi sulle differenze di guida, in quella fantastica 500 degli anni Novanta, e lui non sapeva spiegarmi i suoi gesti. «Pesto sulle pedane? Non me ne accorgo, vado d’istinto, forse mi viene dal cross, chissà». Per capire, analizzavamo ogni frame: per far derapare la moto caricava la pedana interna alla curva, invece dove serviva motricità pestava su quella esterna. Però, con quelle curve così appuntite dell’erogazione della potenza, l’high-side era pronto a fregarlo.
grazie a Schwantz ! ! !
ma c'era un pilota col numero 34 che guidava la moto in modo diverso dagli altri, staccate, sorpassi, derapate, impennate... sono rimasto incantato!!!
è così che è iniziato il mio amore x le moto e per quel fenomeno che poi seppi essere Kevin Schwantz!
a distanza di quasi 30 anni nel mio garage c'è ancora il suo poster, accanto alla mia moto.
8 ore di suzuka
Rea con la Honda ufficiale ha girato in 2'07" 857